Fermato il tycoon

Perché per i giudici i dazi di Trump sono illegali

La Court of International Trade dà ragione ai 12 Stati che avevano fatto ricorso contro le tariffe di The Donald. Che si infuria: “Colpo di Stato”

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

30 Maggio 2025 alle 07:00

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AP Photo/Evan Vucci
AP Photo/Evan Vucci

Parafrasando J.F.K, viene da dire che c’è un giudice a New York. Anzi, più d’uno. Nuova battuta d’arresto per i dazi di Donald Trump. La Court of International Trade, tribunale federale con sede a New York e competente in materia di commercio estero e dogane, ha annullato i cosiddetti dazi “reciproci” voluti dall’amministrazione, giudicandoli illegittimi.

Nel provvedimento pubblicato mercoledì, i giudici hanno stabilito che Trump ha abusato dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa), la legge del 1977 invocata per giustificare l’imposizione di tariffe su gran parte dei prodotti importati. “La legge non autorizza il presidente a imporre una sovrattassa illimitata su merci provenienti da quasi tutti i Paesi del mondo”, si legge nella sentenza. I dazi, almeno del 10% erano stati introdotti da Trump nel cosiddetto “Liberation Day” con l’obiettivo dichiarato di riequilibrare la bilancia commerciale statunitense. Ma secondo la corte, il ricorso all’Ieepa non può sostituirsi al potere legislativo del Congresso, l’unico organo autorizzato a decidere in materia tariffaria. Secondo Everett Eissenstat, vicedirettore del Consiglio Economico Nazionale durante il primo mandato di Trump, la decisione “ha un impatto drammatico sulle dinamiche a breve termine relative all’agenda tariffaria e commerciale del presidente. La storia è tutt’altro che conclusa, ma oggi si apre un capitolo significativo nella sua evoluzione”. Per la Casa Bianca, le relazioni commerciali ingiuste hanno “decimato le comunità americane, abbandonato i nostri lavoratori e indebolito la nostra base industriale di difesa, fatti che la Corte non ha contestato”.

Gli avvocati del Dipartimento di Giustizia hanno provato a difendere con fermezza la legalità della strategia di Trump, ribadendo ripetutamente alla Corte che non aveva il diritto di esaminare le azioni del presidente, una posizione che ha sconcertato i giudici più volte nel corso di settimane di discussioni. La tensione è emersa ripetutamente nei giorni scorsi quando una coalizione di 12 stati, guidata dall’Oregon, ha chiesto ai giudici di emettere un’ingiunzione permanente che avrebbe bloccato i dazi di Trump. “Il presidente ha identificato l’emergenza e ha deciso i mezzi per affrontarla”, ha dichiarato alla corte Brett Shumate, avvocato del Dipartimento di Giustizia, che ha aggiunto che l’obiettivo dei dazi era quello di “portare i nostri partner commerciali al tavolo” e creare una leva politica per un possibile accordo. “Potrebbe essere un piano molto ingegnoso, ma deve rispettare la legge”, ha risposto la giudice senior Jane A. Restani, nominata alla Corte commerciale dal presidente Ronald Reagan.

La decisione nasce da una serie di cause intentate da piccole imprese, come il distributore di vini V.O.S. Selections, e da dodici stati americani guidati dall’Oregon. “La sentenza riafferma che le nostre leggi contano e che la politica commerciale non può dipendere dall’umore del presidente”, ha dichiarato il procuratore generale dell’Oregon Dan Rayfield. Furente la reazione della Casa Bianca, che ha annunciato ricorso contro la sentenza: “Non spetta a giudici non eletti decidere come affrontare adeguatamente un’emergenza nazionale”, ha dichiarato un portavoce dell’amministrazione. “Il presidente Trump si è impegnato a mettere l’America al primo posto e a utilizzare ogni leva del potere esecutivo per affrontare questa crisi e ripristinare la grandezza dell’America”. Il consigliere presidenziale Stephen Miller ha parlato di “colpo di stato giudiziario”.

La sentenza della Corte statunitense è stata accolta con euforia dai mercati globali. A Wall Street i future si sono impennati, il dollaro e i rendimenti del Tesoro sono saliti. Precedentemente alla sentenza, Trump aveva intimato alle aziende statunitensi che offrono software per la progettazione di semiconduttori di smettere di vendere i loro servizi ai gruppi cinesi, solo l’ultimo tentativo dell’amministrazione Usa di rendere più difficile per la Cina sviluppare chip avanzati. Il portavoce del ministero del Commercio cinese, He Yongqian, è tornato l’altro ieri a chiedere a Washington di “annullare completamente i dazi unilaterali e ingiustificati”. “Non ci sono vincitori in guerre dei dazi o guerre commerciali – ribadiscono da Pechino -. Il protezionismo fa male agli interessi di tutti”.

Intanto, l’imprenditore miliardario Elon Musk, a capo di Tesla e SpaceX tra le altre cose, ha confermato che lascerà il suo incarico di capo del Doge, il Dipartimento per l’efficienza del governo degli Stati Uniti, un ruolo che era stato creato appositamente per lui dal presidente Donald Trump per rivoluzionare l’amministrazione del paese con tagli radicali. Nelle scorse settimane Musk aveva già molto il suo impegno nel Doge, e la fine definitiva del suo incarico conferma il suo progressivo allontanamento dalla politica più attiva, dopo mesi in cui si era dato molto da fare per sostenere Donald Trump. È un allontanamento dovuto sia alla volontà di dedicarsi maggiormente alle sue aziende, che per via del suo coinvolgimento in politica avevano avuto un grosso danno di reputazione, sia per diversi contrasti avuti con vari membri dell’amministrazione Trump.

Inoltre, il Doge non ha ottenuto risultati sostanziali, nonostante per alcune settimane i suoi collaboratori abbiano creato il caos in vari uffici governativi con licenziamenti indiscriminati e spesso bloccati dai giudici. L’unico effetto concreto si è avuto con lo smantellamento di Usaid, l’agenzia di aiuti internazionali, con ricadute devastanti per centinaia di milioni di disperati nel mondo. Un addio velenoso quello di Musk a Trump: “Deluso dal Big Beautiful Bill, vanifica il lavoro del Doge”. Amen.

30 Maggio 2025

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