L'ex presidente della Camera

“I bambini di Gaza piccoli scheletri, Meloni abbandona i palestinesi nella loro ora più buia”, parla Laura Boldrini

La parlamentare dem ha partecipato alla carovana solidale, fermata a Rafah, alle porte della Striscia. “Porto con me racconti terribili, non ci hanno permesso di varcare il cancello perché Israele non vuole testimoni”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

23 Maggio 2025 alle 08:00

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Photo credits: Paola Onofri/Imagoeconomica
Photo credits: Paola Onofri/Imagoeconomica

La solidarietà in movimento ha sfidato le bombe d’Israele e ha provato a raggiungere Gaza. Fermata a Rafah, alle soglie dell’inferno. Resta un fatto politicamente, oltreché umanamente, significativo che onora l’Italia. L’Italia che non ha mai chiuso gli occhi o silenziato la voce di fronte a una tragedia che non ha eguali dal secondo dopoguerra. La missione “Gaza oltre il confine” si è tenuta dal 16 al 19 maggio. È stata organizzata da Aoi, Arci e Assopace Palestina. Hanno partecipato 15 tra parlamentari italiani ed europarlamentari, docenti universitari di diritto internazionale, operatrici e operatori di Ong e associazioni e giornalisti. Per un totale di 60 persone: la più grande delegazione internazionale che si sia mai spinta fino alle porte di Gaza. Della delegazione ha fatto parte Laura Boldrini, già Presidente della Camera, parlamentare del Partito democratico e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo. L’Unità l’ha intervistata.

Vedere da vicino, il più vicino possibile, la tragedia di Gaza. È l’esperienza da lei vissuta con la carovana solidale. Che cosa porta con sé da questa esperienza?
Porto con me i racconti terribili degli uomini, delle donne e dei bambini di Gaza che abbiamo incontrato, innanzitutto. Ci hanno chiesto di riportare ovunque le loro storie, di farle conoscere e noi ci siamo impegnati a farlo. Le loro testimonianze sono terribili. Ci hanno parlato di amputazioni di arti eseguite senza anestesia, di giornate trascorse in preda ai morsi della fame, alla perenne ricerca di cibo. Ci hanno descritto la felicità (la felicità!) di trovare cibo per animali da dare ai propri figli nel tentativo di evitare che muoiano di fame. Ci hanno raccontato il dolore provato difronte a bambine e bambini che si spengono ora dopo ora e diventano piccoli scheletri senza le forze necessarie neanche per mettersi in piedi. Ci hanno descritto cosa significa vivere con il costante rumore delle bombe che si avvicinano sempre di più, delle fughe nel cuore della notte senza poter prendere niente e senza sapere dove andare, della paura paralizzante, della disperazione. Della certezza che prima o poi, toccherà a te. E nonostante ora siano al sicuro in Egitto, vivono con il senso di colpa di essersi salvati mentre a Gaza si continua a morire. Porto con me l’angoscia provata in quei magazzini della Mezzaluna rossa egiziana, pieni zeppi di cibo, di medicine, di ambulanze, di pannolini, di ogni tipo di bene di prima necessità e che sono bloccati, ad Al-Arish, a pochi chilometri da Gaza mentre il cancello che separa l’Egitto dalla Striscia rimane bloccato, invalicabile per chiunque lasciando morire di stenti, di malattie, di sete le persone che vivono a Gaza. Volevamo oltrepassarlo, quel cancello, abbiamo chiesto tutti i permessi alle autorità israeliane e abbiamo chiesto al governo italiano di fare pressione perché entrassimo. Ma l’autorizzazione non è mai arrivata perché il governo di Israele non vuole testimoni non vuole l’Onu, non vuole le Ong, non vuole giornalisti, non vuole osservatori internazionali che possano constatare i crimini che sta commettendo.

Due milioni di palestinesi vivono in una condizione infernale. A Gaza si muore di bombe, ma anche di fame e di impossibilità di cura. L’Europa moltiplica vertici sull’Ucraina, mette in campo i “volenterosi” in armi. Ma per Gaza non ci sono “volenterosi” a Bruxelles e nelle cancellerie europee.
L’annuncio di Netanyahu, domenica sera, di voler riaprire agli aiuti sembrava aprire una flebile speranza per le persone che tentano di sopravvivere nella Striscia e che per circa 80 giorni non hanno ricevuto nulla né un pezzo di pane, né un litro d’acqua né un’aspirina. Poi abbiamo capito come stanno le cose: non c’è niente di umanitario nella decisione di Netanyahu e l’ha dichiarato lui stesso. “Non dobbiamo arrivare a una situazione di carestia, non sarebbe utile né dal punto di vista pratico, né da quello diplomatico. Semplicemente, non ci sosterrebbero”. In altri termini, migliaia di morti per fame e stenti sarebbero d’intralcio al suo scellerato piano di invasione della Striscia, di cacciata di tutti i palestinesi, di pulizia etnica. Il giorno dopo dell’annuncio sono entrati nove tir di aiuti. Nove. Sa quanti ne entravano quotidianamente prima del 7 ottobre? Ben 500. Data la gravità della situazione attuale, ne servirebbero migliaia ogni giorno. Ma c’è di più. L’Onu ha dichiarato che nulla è stato ancora distribuito per impedimenti dovuti a diverse ragioni, tra cui restrizioni operative imposte dall’Idf. Cioè, i convogli sono entrati dal valico di Karem Shalom, ma sono rimasti fermi lì. Di cosa stiamo parlando? E poi c’è l’idea, irricevibile, della distribuzione degli aiuti tramite l’esercito. Su questo il personale dell’Onu che abbiamo incontrato al Cairo è stato chiarissimo e ha lanciato un allarme che va preso molto sul serio. Non è accettabile una gestione militare degli aiuti umanitari che passi, per di più, dall’identificazione tramite scanner facciali delle persone che li ricevono senza, per altro, tenere in conto le vulnerabilità. Sarebbe un precedente pericolosissimo anche per altre situazioni. Davanti a tutto questo orrore, qualcuno dei leader europei, negli ultimi giorni, sta timidamente alzando la voce. Finora il silenzio è stato totale e assordante fatta eccezione, in Ue, sono lo spagnolo Pedro Sanchez e il Taoiseach irlandese Simon Harris. Un silenzio complice che abbiamo voluto rompere con la nostra missione “Gaza oltre il confine”, cercando di portare fino alle porte di Gaza la voce di chi, da un anno e mezzo, chiede la fine dello sterminio del popolo palestinese.

È di un paio di giorni fa, infatti, una presa di posizione di Macron, Starmer e Carney che hanno minacciato “misure concrete” contro Netanyahu. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dato flebili segnali di vita politica criticando gli “eccessi” di Netanyahu. Ma l’Italia può cavarsela così?
Ovviamente no. Tajani come suo solito, galleggia. Dopo quasi 60mila morti, con la Striscia rasa al suolo e il chiaro intento di invaderla completamente, dopo 70 giorni di blocco totale degli aiuti, parla di “eccessi”? È una catastrofe! È lo sterminio programmato e studiato di un intero popolo. Come si fa a parlare semplicemente di “eccessi”? Ormai è acclarato che l’Italia sta continuando a vendere armi a Israele con l’alibi che non sarebbero usate contro i civili. Una barzelletta, se non ci fossero di mezzo migliaia di vite di bambini, donne, anziani. Con i bombardamenti indiscriminati e l’invasione della Striscia, come si può sostenere che le armi italiane non vengono usate contro i civili? Macron, Starmer e Carney hanno detto quello che andava detto già più di un anno fa, ma almeno l’hanno detto, finalmente. L’Italia dovrebbe associarsi a loro. Nell’ultimo giorno della nostra missione, al Cairo, abbiamo incontrato rappresentanti della Lega Araba. Oltre a esprimere apprezzamento per la nostra iniziativa a Rafah e per il lavoro che facciamo ogni giorno, hanno auspicato che l’Italia rafforzi i legami con i paesi arabi e anche che ritrovi quel ruolo diplomatico che per decenni l’ha resa mediatrice e amica sia del popolo palestinese sia del popolo israeliano. La diplomazia italiana di Giorgia Meloni ha completamente abbandonato i palestinesi nella loro ora più buia: una vergogna di cui la storia le chiederà il conto.

Alla luce di quanto visto e ascoltato nei giorni caldi di Rafah, come reagisce a chi in Italia di fronte alla denuncia dei crimini di guerra e contro l’umanità reiterati da Israele, continua a parlare di atteggiamento pregiudizievole, tirando fuori l’accusa di “antisemitismo”?
Non c’è niente di pregiudizievole e niente di antisemita. A queste persone vorrei dire di ascoltare le storie dei sopravvissuti e delle sopravvissute di Gaza. Ma vorrei dire anche di ascoltare le tante voci di ebree ed ebrei di tutto il mondo che chiedono la fine dell’assedio alla Striscia e la fine dell’occupazione illegale in Cisgiordania. Intellettuali, ma anche persone comuni, giovani e perfino ex militari dell’IDF che hanno visto con i loro occhi quello che accade a Gaza e nei territori occupati. Sono antisemiti anche loro? È antisemita Yair Golan, leader dei democratici israeliani, che due giorni fa ha dichiarato che Netanyahu uccide i bambini “per hobby”?
Appiattire la contestazione al governo israeliano sull’antisemitismo è un errore che non giova neanche alla giusta lotta contro l’antisemitismo stesso, che c’è e nessuno lo nega. Continuare a sminuire l’orrore o a giustificarlo è l’arma migliore messa nelle mani degli antisemiti veri.

Onorevole Boldrini, l’opposizione, che su tanti temi sembra divisa, su Gaza è riuscita a presentare una mozione congiunta firmata dai leader di Pd, M5S e Avs.
È la dimostrazione che i temi che ci uniscono, in realtà, sono tanti. Ma mi permetto di dire che la situazione a Gaza è talmente grave e catastrofica che quella mozione avrebbe dovuto riportare le firme dei leader di tutti i partiti, maggioranza e opposizione. Davanti a 53mila vittime, 17mila bambini morti, 28mila donne e ragazze, a 218 giornalisti uccisi e più di 433 operatrici e operatori umanitari massacrati, alla distruzione di ospedali, case, perfino campi profughi, ai bombardamenti sulle tende, come si può restare indifferenti? La nostra mozione chiede impegni che molti di noi chiedono da molti mesi. E, finalmente, martedì scorso abbiamo saputo che su pressione di 17 paesi membri l’Ue rivedrà l’accordo di associazione con Israele che si basa sul rispetto dei diritti umani. Una mossa che andava fatta molto tempo fa. Indovini chi non è tra i 17? L’Italia, insieme alla Germania. Una vergogna assoluta. E non è ancora sufficiente: bisogna sospendere il commercio di armi con Israele, come ha fatto la Spagna, bisogna mettere le sanzioni al governo di Tel-Aviv e bisogna riconoscere lo Stato di Palestina. Come ci hanno detto i rappresentati della Lega araba, finché non si garantirà l’autodeterminazione del popolo palestinese non ci potrà essere una soluzione giusta.

23 Maggio 2025

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