Il caso del 21enne
Chi è Edan Alexander, l’ostaggio e militare israelo-americano liberato da Hamas: perché è stato rilasciato
“Negoziati seri porteranno risultati concreti”. Il 21enne israelo-americano è il primo soldato dell’Idf, maschio e in vita, a essere liberato. Trump: “Passo in buona fede verso gli Usa e i mediatori”.
Esteri - di Umberto De Giovannangeli

«Edan Alexander, l’ostaggio americano ritenuto morto, sarà rilasciato da Hamas. Grande notizia!». Il presidente americano Donald Trump continua così a celebrare la liberazione di Alexander, da lui stesso confermata l’altra notte descrivendola come «una notizia monumentale» e ringraziando «tutti coloro che hanno contribuito a renderla possibile». Il presidente ha definito il gesto «un passo in buona fede verso gli Stati Uniti e gli sforzi dei mediatori – Qatar ed Egitto – per porre fine a questa guerra brutale».
Hamas ha dichiarato che le brigate Al-Qassam hanno rilasciato il soldato israeliano catturato. Il rilascio è avvenuto dopo i colloqui con il governo americano. «Confermiamo che negoziati seri e responsabili porteranno risultati concreti nel rilascio dei prigionieri (rapiti). Confermiamo la volontà del movimento di avviare immediatamente i negoziati per raggiungere un accordo globale per un cessate il fuoco duraturo e invitiamo l’amministrazione Trump a proseguire i suoi sforzi per porre fine alla guerra» . Hamas ha consegnato agli operatori della Croce Rossa l’ostaggio israelo-americano, 21 anni, a nord della città di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza meridionale. È il primo soldato dell’Idf, maschio e in vita, rapito il 7 ottobre 2023, ad essere liberato. Yael Alexander, la madre di Edan era arrivata in Israele su un volo con l’inviato del presidente Trump, Adam Boehler. La famiglia ha annunciato che, dopo il rilascio, Edan volerà in Qatar e lì incontrerà Trump e l’emiro del Qatar.
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Intanto a Gaza si continua a morire e a soffrire. Le popolazioni nella Striscia di Gaza sono a rischio carestia a causa della ripresa dei combattimenti, i valichi di frontiera sono ancora chiusi e il cibo è pericolosamente scarso. La fame e la malnutrizione si sono intensificate notevolmente da quando, il 2 marzo, è stato bloccato l’accesso a tutti gli aiuti, annullando i chiari progressi umanitari registrati durante il cessate il fuoco all’inizio dell’anno. Secondo il rapporto dell’Integrated Food Security Phase Classification (IPC) pubblicato ieri, 470.000 persone a Gaza stanno affrontando una fame catastrofica (IPC Fase 5) e che l’intera popolazione sta vivendo una situazione di insicurezza alimentare acuta.
Il rapporto prevede anche che un numero allarmante di 71.000 bambini e più di 17.000 madri avranno bisogno di cure urgenti per la malnutrizione acuta. All’inizio del 2025, le agenzie hanno stimato che 60.000 bambini avrebbero avuto bisogno di cure. “Le famiglie di Gaza stanno morendo di fame mentre il cibo di cui hanno bisogno è fermo al confine. Non possiamo farli arrivare a causa del nuovo conflitto e del divieto totale di fornire aiuti umanitari imposto all’inizio di marzo”, ha dichiarato la Direttrice Esecutiva del World Food Programme Cindy McCain. “È indispensabile che la comunità internazionale agisca con urgenza per far affluire nuovamente gli aiuti a Gaza. Se aspettiamo che venga confermata la carestia, per molte persone sarà già troppo tardi”.
Dichiara Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia: “Se la guerra continuerà e non verrà consentito l’ingresso di cibo e altri beni essenziali di cui la popolazione è ormai quasi completamente priva, la carestia sarà inevitabile e sarà una delle più gravi al mondo. La comunità internazionale assiste alle immani sofferenze che colpiscono oltre 2 milioni di persone, in gran parte bambini, senza fare un passo. Da oltre 2 mesi l’assedio totale imposto da Israele su Gaza impedisce l’ingresso di qualsiasi fornitura: non solo cibo, ma anche acqua pulita e medicine, mentre migliaia di camion carichi di aiuti umanitari pronti ad essere distribuiti sono bloccati ai valichi di frontiera. Ridurre Gaza alla fame è un atto deliberato, finemente progettato, non accidentale ed è per questo inconcepibile permettere che accada”. “I nostri operatori e partner dentro la Striscia – continua Pezzati – sono testimoni di scene che si stenta a descrivere: intere famiglie che deperiscono e muoiono di fame, bambini così denutriti da non aver nemmeno più la forza di piangere, intere comunità che non hanno acqua o cibo. In un campo profughi dove abbiamo distribuito settimane fa gli ultimi pacchi alimentari disponibili, appena 2 famiglie su 500 in questo momento hanno ancora un po’ di farina per fare il pane”.