L'ex segretario di Rifondazione Comunista

Intervista a Fausto Bertinotti: “Papa Francesco isolato, ma ha messo in ginocchio i potenti della terra”

Dicono che non fosse un uomo dell’Occidente. No, non lo era. E neanche la sua teologia. La sua era la teologia del popolo, diversa da quella della curia e diversa da quella della “liberazione”

Interviste - di Graziella Balestrieri

29 Aprile 2025 alle 08:00

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Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica
Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica

“Papa Francesco non è stato un papa di sinistra, non è stato un papa comunista”. A dirlo è Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera ed ex segretario di Rifondazione Comunista e dirigente della Cgil. “Bisogna stare molto attenti ad appropriarsi delle idee e del cammino di un uomo – dice Bertinotti – di un papa che è stato ultimo tra gli ultimi, che ha riversato la parola del Vangelo in mezzo al suo popolo, come si riversa l’amore. L’amore per gli altri però, mai per sé stesso. Di chi si chiede chi c’è dall’altra parte del muro e anche perché esiste quel muro. Un papa che ha raccolto al suo funerale il mondo intero, in ogni sua forma, razza, diversità. Un papa diverso, certo, amato, ma un papa profondamente solo. Solo nella sua lotta davanti alla guerra, solo davanti alle armi dei potenti. Però quei potenti con la sua morte li ha fatti inginocchiare, tacere, e finalmente li ha fatti sedere a parlare di quella parola quasi scandalosa: PACE. Seduti su quelle seggioline, come comuni mortali, piccoli, uomini, almeno in quel momento. È morto il Re, Viva il Re, anzi no. E’ morto papa Francesco, Viva papa Francesco! E viva ancora papa Francesco nelle carceri, nella disperazione dei migranti, nei poveri, nelle periferie abbandonate nel mondo e del mondo, viva papa Francesco nei potenti della terra che a volte dimenticano di essere anch’essi polvere”.

Chi era?
Credo di poter dire: unico tra i papi della modernità. Uso una formula di San Paolo: “Un uomo in questo mondo, non di questo mondo”. Cioè un pontefice che ha fatto della scelta della incarnazione la cifra del suo pontificato, cioè la discesa nella vita e nel popolo. C’è stata molta discussione sulla sua dotazione teologica. La teologia di Francesco era la teologia del popolo, una teologia che si è differenziata sia da quella, diciamo, classica, sia dalla teologia della liberazione: metteva in luce, anche attraverso questa sua origine, proprio l’idea che il suo impianto teologico si leggesse nella vita e nel popolo, nella immersione nel popolo. In questo senso, proprio l’incarnazione, si può dire, era il modo concreto con cui si trasmetteva anche il messaggio teologico.

Anche perché il Papa è il Vicario di Cristo…
E’ proprio questa immersione nel popolo e nella vita quotidiana che testimonia la parola del Cristo. Questa modalità è una modalità particolarmente difficile da leggere nel mondo intellettuale in Occidente. È molto più facile leggerla nel Sud del mondo. E’ stato detto che il Papa è stato un uomo non dell’Occidente: lettura corretta, per sua fortuna. Perché questa, diciamo, esternità del Pontefice è stata molto importante gli h concesso una libertà speciale. Lui stesso lo ha detto: “siete venuti a me a prendermi dalla fine del mondo”. Questa sua partenza dalla fine del mondo e l’idea della incarnazione attraverso la quale dare conto non solo dell’impianto teologico, ma della fede e della pratica di fede, ne ha fatto un Pontefice assolutamente straordinario, specie in questo nostro tempo e specie per chi l’ha guardato dall’Occidente. Veramente è sembrato il suo pontificato essere il più semplice da leggere per la sua immediatezza, per il carattere umano del pontefice, per il suo costante movimento verso la gente comune. In realtà è invece un pontefice il cui pontificato non è per l’Occidente di facile interpretazione, perché è un pontefice non occidentalista. Questa è, secondo me, una chiave importante della lettura del suo pontificato.

Anche perché l’Occidente ha perso di vista l’umanità, pensiamo alla visione sui migranti
Dici bene, perché l’Occidente adesso aggiunge alle sue responsabilità storiche del colonialismo una svolta regressiva che da qualche tempo sta mettendo in discussione le parti progressive e di civiltà che sono vissute dentro l’Occidente. Cioè, il messaggio di libertè, fraternitè, egalitè, il contributo del movimento operaio, l’idea dei diritti della persona, le costituzioni democratiche, queste pagine della storia che si sono accumulate attraverso la lotta in Occidente, oggi sono messe radicalmente in discussione da parte delle classi dirigenti occidentali che sembrano essere tornate all’impianto colonialista, a partire dalla guerra.

L’opposizione alla guerra è stato un tratto decisivo del suo papato.
Che è la ragione prima del messaggio francescano, l’opposizione alla guerra, ovvero la pace. Torniamo a san Paolo: “Siamo uomini in questo mondo, non di questo mondo”. Questa sua condizione la si è vista persino nell’elemento conclusivo della sua vita e persino nel modo con cui è vissuto nel suo funerale. Era così potente questa sua immagine, questo suo modo di essere, che viveva anche da morto e vive sia in questa presenza popolare, in questa fiumana di gente, di giovani e di non giovani, che affluisce al suo funerale mettendo in mostra, peraltro, una parte di società che la politica e le comunicazioni di massa non ci consentono di vedere. Però uno gli dovrebbe dire: ma dove sta, in tutti gli altri giorni che non siano quelli del funerale, tutta questa gente? Tutta questa marea di giovani, dove sta? Quello che ha messo in luce questa affluenza di persone è un mondo sconosciuto, che prende corpo e visibilità in un’occasione eccezionale.

Questo ne fa un leader non solo spirituale ma anche politico, forse l’unico vero leader?
L’ultimo grande leader mondiale, l’ultimo. Qui c’è un equivoco che, secondo me, va chiarito specie da noi della sinistra e sarà bene battere in breccia perché è del tutto infondato. Cioè, la definizione secondo cui il papa sarebbe stato un papa di sinistra o addirittura comunista. Veramente è un errore interpretativo grave perché è un rovesciamento della realtà. Non è che il papa sia stato di sinistra, è che il messaggio di papa Francesco è apparso al mondo di sinistra, orfano della grande politica, come un messaggio che rappresenta anche le sue istanze. Cioè, non è che il papa è di sinistra, è che la sinistra ha letto nel Papa le parole che voleva sentire. È proprio un rovesciamento della realtà. Questa cosa però è importante da dire perché costituisce anche un elemento di disegno politico-mentale, che rifiuta l’appropriazione di ciò che non è appropriabile e che invece ti dovrebbe indurre a riflettere criticamente anche su di te. Perché? Perché c’è stata questa solitudine del pontefice? Abbiamo parlato fin qui del papa di popolo, giusto? E invece c’è un altro lato che è di solitudine ed è quello nei confronti dei potenti.

Arriviamo dunque ai funerali del papa…
Se si potessero leggere in termini politici, si dovrebbe parlare di una rivincita del papa sui potenti. I potenti però non l’hanno ascoltato. Non lo hanno ascoltato quando con la “Laudato Sii” aveva indicato la strada del cambiamento del modello di sviluppo, della critica ripetuta, ferma, ostinata per questo rifiuto di intraprendere la via del cambiamento di un modello che è di rapina nei confronti, per usare le parole della pontefice, del creato, e di distruzione di umanità. Non lo hanno ascoltato e però la potenza del messaggio francescano li costringe a inginocchiarsi di fronte alla sua bara. Molti hanno messo l’accento sull’ipocrisia, ma è meno importante l’ipocrisia che invece la potenza della memoria del pontefice che schiaccia per un momento solo, naturalmente, i potenti sotto il peso di un messaggio che li sovrasta.

Non è l’ipocrisia ma è il fatto che tutti dovevano essere lì…
Esattamente; il fatto che tutti dovevano essere lì e muti. Coloro che avevano usato nei suoi confronti le forme più sprezzanti oppure le proposizioni più radicali, da Donald Trump al presidente argentino Milei, dovevano tacere. Io in questo funerale ho visto delle cose che parlano della Chiesa di oggi e del lascito di papa Francesco. Perché papa Francesco contro che cosa si è battuto? Contro l’ingiustizia del mondo, va da sé, ma soprattutto contro la scristianizzazione che è una tendenza del tutto evidente in Occidente. Basta andare domenica mattina in una chiesa e ce ne si rende conto. Il Papa sceglie di combattere la scristianizzazione tornando al Vangelo. E tornava al Vangelo attraverso la pagina, secondo me, più vicina all’attualizzazione del Vangelo che la Chiesa Cattolica abbia conosciuto: il Concilio Vaticano II. Il papa in qualche misura fa rivivere la grande apertura di Giovanni XXIII, quel suo rivolgersi al popolo già allora, che fu una evoluzione teologica, e agli uomini di buona volontà, cioè a credenti e non credenti.

Quando papa Francesco nel suo ultimo libro “Spera” dice “la più grande fabbrica di migranti è la guerra” e poi “che essere cristiano non vuol dire solo non faccio del male a nessuno ma è chiedersi se si fa del bene”.
Ed è appunto questo contro l’individualismo mercantile che è tutto occidentale: è la nuova frontiera dell’occidente. Papa Francesco propone l’altro, l’altra, l’altro come misura dell’umanità che è veramente una rottura radicale con l’aria che si respira, uso la formula di Camus, “l’aria del tempo”; l’aria del tempo è l’aria della guerra, della diseguaglianza, del potere oppressivo sopra il popolo. E il papa resiste all’aria del tempo, non si fa soverchiare né influenzare e cammina per la strada, per una via che è una via tutt’affatto diversa.

La foto che ritrae Trump e Zelensky, durante i funerali di Papa Francesco, che significato ha?
Intanto la foto parla di questi due, seppure diversamente potenti ridotti a piccole figure soverchiate dalla grandezza della cattedrale. L’immagine è impressionante! Come se fossero spogliati del potere, delle armi e messi su due seggioline, ridotti alla condizione semplicemente di persone. Questo rende impossibile la previsione sul futuro, perché quando si alzano da quelle sedie e escono dalla cattedrale riprendono l’insegna del potere e dunque della politica e a quel punto torniamo a prima di quella fotografia. Però va detto certamente che rispetto a qualche tempo fa, quando tutto l’Occidente era sovrastato dall’idea della guerra per vincere, seppure in questa forma obliqua, il tema della fine della guerra torna d’attualità . Anche questo incontro in Vaticano dice che siamo in un tempo diverso rispetto a quello in cui non sembrava che ci fosse spazio per la critica dei pacifisti, e che l’unica prospettiva fosse la guerra fino alla vittoria, e quindi il rischio persino di una guerra mondiale .

Quale sarà linea che la Chiesa seguirà e che sceglierà dopo papa Francesco?
Io penso che la linea di tendenza che prevarrà sarà un’idea di continuità ma di ridimensionamento. Cioè uno smussare gli spigoli in modo da attenuare, se non di cancellare, i durissimi contrasti che una parte della curia ha prodotto nei confronti di papa Francesco. Già questo secondo me è un rischio, non voglio neanche prendere in considerazione quello invece della svolta radicale a favore dei conservatori, che secondo me francamente non vedo come possa affermarsi, anche perché sul versante, diciamo dei prelati che possono essere considerati per molti versi conservatori, questa soverchiante presenza del terzo mondo, impedisce che su due terreni, come quello della povertà e dell’immigrazione, si torni indietro. E poi ci sono altri terreni che invece sono delicatissimi e penso a quelli dei diritti civili, del ruolo della donna nella chiesa, in questo campo Francesco si è mosso con molta prudenza.

Il 27 aprile sono stati 88 anni dalla morte di Antonio Gramsci.
Ha fondato questo partito comunista, assolutamente originale. Ho in mano in questo momento un libretto del 1954, che si chiama Taccuino del propagandista e porta in contro copertina uno scritto di Togliatti riferito a Gramsci che si intitola così: “per un accordo tra comunisti e cattolici per salvare l’umanità”. Questa è l’eredità di Gramsci: un’idea, una presenza, che si pone il problema dell’egemonia e del cambiamento.

Ogni anno, durante il 25 aprile si chiede alla presidente Giorgia Meloni di dichiararsi antifascista: perché?
Il problema non è una dichiarazione della presidenza del Consiglio: il problema è di come si affronta la persistenza nella società italiana di una componente che con un’articolazione diffusissima va da una rivendicazione di continuità col fascismo a una sorta di neutralità nei confronti tra fascismo e antifascismo, venata da indifferenza, cioè proprio quello contro cui si scagliava il liberale Piero Gobetti: è questa cosa che andrebbe contrastata a fondo culturalmente. La resistenza della presidente del Consiglio a dirsi antifascista non è rilevante in sé, ma perché è parte di questa componente della società italiana che non riesce mai a capire il valore fondativo dell’antifascismo nella vita del paese, questo è il punto. Ed è un punto che si capì benissimo negli anni Sessanta, e che poi è andato perso. Penso all’inizio degli anni Sessanta, a partire dai fatti di Genova, e dalla nascita di una generazione, che infatti fondò Nuova Resistenza. Dopo quella grande stagione si è persa l’idea di questo combattimento politico culturale, contro l’indifferenza, l’ignavia, e una qualche complicità politica con il fascismo.

Molti non sanno chi sono stati i Partigiani…
Questa è una conseguenza della mancanza di conoscenza della storia dell’antifascismo. Per esempio , io continuo a dire che il monumento costituente della Repubblica italiana sono le lettere dei condannati a morte dell’antifascismo. Quel volume ancora commovente raccolto da Giovanni Pirelli, dovrebbe essere “IL libro” della Repubblica Italiana.

Lo ha ribadito anche il presidente Mattarella dicendo “è sempre tempo di Resistenza” ….
Ma dopo cosa accade nelle scuole italiane? Cosa accade nella cultura italiana?

Molti giovani non sanno bene cosa è accaduto…
Semmai viene raccontata una cronaca, non una storia. E il problema è riguadagnare l’idea della storia dell’antifascismo e della Resistenza, appunto affermandone la sua sacralità fondativa.

29 Aprile 2025

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