25 aprile tra ammissioni e polemiche
Meloni con sobrietà, la Liberazione della premier: “Fascismo tradì la democrazia”
La premier non si dichiara apertamente antifascista, ma fa un passo avanti, anche nella prospettiva di accreditarsi in Europa. Ma il Pd incalza: “Perché tanti freni?”
Politica - di David Romoli

Quella di Giorgia Meloni sembra e probabilmente è una strategia precisa: a ogni adeguata ricorrenza, sia il 25 aprile o la giornata della Memoria, fa un passo ulteriore sulla via della denuncia piena del fascismo e dunque dell’allontanamento dalle sue stesse radici. Che non sono il Pnf ma il Msi, partito per il quale la denuncia del fascismo, nonostante la compiuta adesione alla democrazia, non sarebbe stata immaginabile.
Con il comunicato di ieri il percorso è di fatto completato: “In questa giornata, la nazione onora la sua ritrovata libertà e riafferma la centralità di quei valori democratici che il regime fascista aveva negato e che da settantasette anni sono incisi nella Costituzione repubblicana”. Non basterà a tutti. Gli appunti sono facilmente prevedibili. Neppure in questa occasione la leader di FdI dice apertamente che l’antifascismo aveva ragione. Però declina l’enunciato senza ambiguità ed è difficile negare la portata del passo compiuto ieri. Non la nega infatti il Pd Verini, uno dei pochi a commentare: “Bene le parole di oggi della Meloni ma perché tanto imbarazzo, tanti freni a mano tirati?”. Riconosce il merito, con riserva, persino Bonelli: “Poteva dire di più, per esempio che l’Italia è una repubblica antifascista. Ma almeno ha pronunciato le parole “regime fascista”. “Nessun credito” invece per Riccardo Magi se la premier non traduce le parole in fatti. Come? Invitando a votare ai referendum di giugno. Applaude invece a scena aperta Calenda: “Dichiarazione inequivocabile e appropriata e va riconosciuto per ricostruire un clima di confronto, anche duro”.
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Il “confronto” è in tutta evidenza uno degli obiettivi che la premier si propone marcando sempre di più la sua distanza da qualsiasi suggestione non solo fascista ma anche neofascista o postfascista. Lo dice lei stessa nella medesima dichiarazione, esortando alla “concordia nazionale”. Dal punto di vista della legittimazione agli occhi dell’elettorato le credenziali di antifascismo riconosciute dalla controparte non le servono. La pregiudiziale antifascista per i votanti italiani è franata da un pezzo. Ma ha bisogno di un ponte per dialogare, se non con l’opposizione tutta, almeno con l’arcipelago centrista e soprattutto quella pregiudiziale ha invece ancora tutto il suo peso nelle capitali europee. La Meloni del 2025 non è quella che vinse le elezioni nel 2022. I suoi obiettivi, le sue ambizioni, il palco sul quale mira a diventare protagonista assoluta sono cambiati. Conquistato il governo in Italia, forte di un consenso che due anni e mezzo a Palazzo Chigi non hanno intaccato, la premier mira ora a imporsi come centrale nella politica europea e persino mondiale. Oggi il solo incontro certo nell’agenda di Donald Trump sarà con lei e la cosa è significativa.
Ma per candidarsi a giocare quella parte Giorgia deve scrollarsi di dosso ogni sospetto di vicinanza anche solo emotiva al passato. Un passo alla volta però, perché una parte della sua base va adeguatamente preparata, mitridatizzata, per evitare l’effetto devastante che lo strappo del 2003, quelle parole sul “fascismo male assoluto”, ebbe su Fini. Le sole parole politicamente significative della giornata sono state quelle di Sergio Mattarella. Da Genova il presidente ha fatto il possibile per collegare la Resistenza al presente, spesso citando papa Francesco: “Non ci può essere pace soltanto per alcuni o benessere per pochi lasciando miseria, fame, guerra e sottosviluppo agli altri. È la lezione di Francesco”. Un colpo, nello stile obliquo proprio del capo dello Stato anche a chi pensa di salvaguardare la pace sacrificando l’Ucraina, probabilmente.
Ma l’ossessione di Mattarella è soprattutto l’Europa: “Anche dalle diverse Resistenze nacque l’idea dell’Europa dei popoli, oggi incarnata dalla sovranità popolare espressa dal Parlamento di Strasburgo. Furono esponenti antifascisti coloro che elaborarono l’idea d’Europa unita, contro la tragedia dei nazionalismi che avevano scatenato le guerre civili europee”. In questo momento la preoccupazione principale del presidente è in tutta evidenza che un’Unione ancora molto fragile non regga all’impatto delle crisi che si sono scatenate su tutti i fronti. Ma se solo le parole della premier e del presidente hanno un peso politico e non solo retorico il discorso cambia per quanto riguarda le manifestazioni. La piazzata dei gruppi radicali propal che a Milano hanno fischiato gli esponenti dell’Anp chiedendo che al loro posto parlassero i palestinesi peseranno su un’ala del Pd già preoccupatissima per lo sbilanciamento della leadership sul lato di Giuseppe Conte, il leader che in Italia è riuscito ad accreditarsi come unico rappresentante determinato della protesta contro la guerra a Gaza.