L'ex direttore di Avvenire

Intervista a Marco Tarquinio: “Francesco è stato isolato dai potenti, è stato il Papa della pace e degli ultimi”

"Il nome di Dio non sia più la lama dei nostri coltelli. Dopo Bergoglio temo la contronda, C’è una sinistra addomesticata al pensiero unico"

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

27 Aprile 2025 alle 11:20

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Photo credits: Andrea Panegrossi/Imagoeconomica
Photo credits: Andrea Panegrossi/Imagoeconomica

Marco Tarquinio, europarlamentare, già direttore di Avvenire, il giornale della Conferenza episcopale italiana: “È caduta la Stella polare. Detenuti, migranti, disarmo. Le sue sassate contro il potere”. Così l’Unità ha titolato a tutta pagina in ricordo di Papa Francesco.
La metafora della stella polare cadente è bellissima e apocalittica. L’accetto perché le stelle cadenti sono lo scrigno dei nostri desideri migliori. E papa Francesco ha saputo davvero interpretarli e indirizzarli verso il bene della pace e della fraternità, del rispetto e dell’accoglienza dell’altro anche e soprattutto nella povertà, nella fragilità e nella diversità più scomode e dure. Non so se il misericordioso e ruvido Francesco tirasse “sassate contro il potere”, certo ha sovvertito il modo di esercitarlo, il potere. Anche solo il potere di parola, così determinante e subdolamente oppressivo nel nostro mondo spaesato e iperconnesso. Anche solo il potere spirituale e morale di chi, un capo religioso come lui, può aiutare a distinguere il bene e il male, con nettezza e quella tenerezza per l’umanità che spinge a non escludere o lasciare indietro nessuno e a non considerare nessuno perduto, qualunque errore abbia commesso.

Il Papa degli ultimi. Il Papa della discontinuità. Le definizioni si sprecano. Lei che da direttore di Avvenire ha avuto modo di interloquire con Bergoglio, come riassumerebbe la sua figura e il suo pontificato?
Il Papa della pace, prima di tutto. Pace tra le persone e per le persone, rinunciando al metodo della violenza. Pace tra gli Stati di nuovo inclini all’antica e atroce pratica della guerra in tutte le forme che la nostra modernità consente. Pace tra il Nord ricco, sviluppato, democraticamente e demograficamente invecchiato e immiserito, e il Sud globale, povero perché depredato, assediato dalle autocrazie, ma giovane e vitalissimo. Pace tra le religioni, perché il nome di Dio non diventi mai più la lama dei nostri coltelli e il blasfemo alibi dell’odio, della discriminazione e e della sopraffazione. Pace nella ’“economia che uccide”, che abbiamo organizzato o subito, dando per lunghi decenni priorità alle merci piuttosto che alla dignità assoluta delle donne e degli uomini. Pace con la natura, “casa comune” di tutte le creature, “che ci precede e ci è stata data” e che dobbiamo saper custodire per amore di tutta la vita e con senso di responsabilità per il tempo dei figli e delle figlie che già viene. In tutto questo c’è continuità con lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II e c’è una novità dirompente. Nel linguaggio e nel servizio ecclesiastico ed ecclesiale della cattolicità, recuperando e dando come compimento alla semina dei preti della “stola e del grembiule”, per dirla con don Tonino Bello. Ma la novità c’è anche nell’esempio offerto a chiunque, anche ai grandi e piccoli politici. Francesco ha mostrato che cosa significa incontrare e ascoltare tutti e scegliere sempre la parte degli ultimi…

Dunque, davvero Papa della pace e Papa degli ultimi…
Sì, ma degli ultimi riconosciuti e chiamati per nome e non solo evocati con pietismo e comoda vaghezza. E i nomi degli ultimi per molti sono nomi aspri e persino impronunziabili. Vale per le destre illiberali che tornano a infestare la società globale e anche per pezzi di una sinistra addomesticata “al pensiero dominante che tende a farsi unico”, espressione tipica di Francesco. E ripetiamoli, allora, i nomi degli ultimi mai taciuti da papa Bergoglio: i migranti e i carcerati, messi accanto perché le due condizioni più volte coincidono, i poveri senza reddito, senza terra e senza più tetto, i lavoratori sfruttati, le persone sole o isolate da abbandoni, da errori, dalla rottura della loro rete di relazioni, dalla “cultura dello scarto”, le vittime delle guerre, dei razzismi e dei pregiudizi, i vecchi considerati inutili e costosi da curare, i bambini usati e abusati, le donne ridotte a cose…

Ora tutti si inchinano al feretro papale. Ma molti di costoro non avevano lesinato critiche in vita a Francesco: pacifista incallito, “filo-putiniano”, addirittura antisemita per aver espresso orrore e sdegno per il martirio di Gaza. Come la mettiamo?
Il nostro è anche il tempo delle sfrontatezze e dei senza vergogna… ma voglio fare uno sforzo, e prendere il buono che può esserci in certi messaggi di cordoglio e di rimpianto. Senza dimenticare, però, quelli che il loro astio per Francesco anche in questi giorni lo hanno ostentato o comunque non sono riusciti a nasconderlo: politici, giornalisti, opinionisti, uomini di chiesa… Penso, per esempio, a Netanyahu e alla sua decisone di far cancellare le condoglianze dell’attuale governo di Israele per la morte del Papa. Assurdo e scandaloso. Francesco è stato limpidamente vicino ai fratelli ebrei e, insieme, tenace oppositore di ogni ingiustizia e ferocia. Tanto da interrogarsi pubblicamente sul crescente rischio di un vero e proprio genocidio nelle terre palestinesi teatro di pulizia etnica. Tanto da fare il possibile, sino alla fine, ormai quasi senza più voce, per fermare l’orrore e per restare in contatto con la gente, cristiana e musulmana, stretta attorno alla derelitta parrocchia di Gaza. Penso, a teologi e anche cardinali, come Gerhard Müller, che si sono precipitati a spiegare che “non si eleggerà il successore di Francesco, ma il successore di Pietro”. Una verità assoluta, e anche una banalità, ma che usata così diventa la manifestazione di una volontà di restaurazione nella Chiesa e, dunque, nelle modalità dell’annuncio cristiano e del dialogo con gli uomini e le donne del nostro tempo. Io, penso, per quel che vale, che un “cambiamento d’epoca” è appena iniziato e c’è da andare avanti con umiltà e con chiarezza, con forza e con amore. L’amore che oggi troppo manca. Qualcuno, magari, dirà che anche questa è una banalità, ma è almeno è a fin di bene… anche se viene da un piccolo laico.

Francesco è stato un leader globale, ascoltato dai popoli ma non dai grandi della Terra. Un profeta disarmato?
Il Papa è per definizione “profeta disarmato”. La cosa straordinaria è che Francesco ha saputo essere sia uno straordinario uomo di Dio sia un “esperto in umanità”, per usare un’espressione di Paolo VI. È stato, insomma, una guida che riusciva a vedere profondo e lontano e al tempo stesso a parlare con un linguaggio semplice e vicino, tenero e ruvido com’è un po’ ovunque il modo del popolo. È vero, parecchi grandi non lo hanno ascoltato, compreso e apprezzato anche quando hanno fatto a gara per stargli intorno, ma alcuni sì. Penso in particolare a Barack Obama, a Shimon Peres, a re Carlo d’Inghilterra, al grande imam di Al-Azaral-Tayyeb, al nostro presidente Mattarella… Francesco ci ha anche ricordato e dimostrato che non occorre essere d’accordo su tutto per lavorare insieme, con pazienza e senso del dovere e del limite, al bene possibile e necessario.

Quanto è cambiata la Chiesa con lui?
La risposta classica a questa domanda è: “Ecclesia semper reformanda!”. Ed è una risposta vera. La Chiesa da più di duemila anni continua a cambiare, ma custodendo l’essenziale, cioè la Parola che è Gesù Cristo. C’è però dell’altro da dire. Perché Francesco ha dato una scossa radicalmente evangelica alle comunità cristiane, e arrivo a dire che essa ha toccato non solo quelle cattoliche. È cambiato il clima, e stavolta è una cosa ottima, e c’è chi non si rassegna a questo. E vorrebbe alzare quella che io chiamo una contronda. Eppure, diversi processi di riforma sono ormai avviati e Francesco stesso ci ha spiegato e rispiegato che è più importante avviare processi, abitando il tempo, che occupare spazi.

C’è qualche processo di riforma che le sembra più decisivo?
La fermezza del Papa latinoamericano contro la tendenza a trasformare la Chiesa in una “dogana dello spirito” con tanto di iperzelanti doganieri intenti a scrutare e a giudicare senza misericordia fede e vita altrui. Ci ha detto e ripetuto che la Chiesa è una madre che si fa vicina, si china e risolleva chi è caduto o viene tirato giù. Ecco, credo che papa Francesco abbia alzato una volta per tutte il pesante tappeto sotto al quale era stata a lungo nascosta la “polvere” delle persone e dei cattolici irregolari, a cominciare dai divorziati risposati, dai conviventi, dalle persone omosessuali… Finalmente nessuno può più sostenere a cuor leggero che nella Chiesa e per la Chiesa quelle “periferie esistenziali”, cioè quelle condizioni umane, sono “polvere”.

E ora? È iniziato il “toto successore”
È naturale. E io consiglio di ascoltare con attenzione gli echi che arriveranno dalle Congregazioni generali, il denso prologo del Conclave. Sono semi-aperte a differenza dei giorni decisivi delle votazioni nella Cappella Sistina. Il collegio cardinalizio è ancora più ampio e diversificato di quanto non fosse nel 2013, quando venne eletto Francesco. Molti cardinali si ascolteranno e si conosceranno solo in quei momenti. Dodici anni fa – lo scoprimmo poi grazie al cardinale cubano Ortega che fece pubblicare a L’Avana un appunto regalatogli dal futuro Papa – Jorge Mario Bergoglio “conquistò” la fiducia dei suoi confratelli con uno splendido intervento in cui c’erano i grandi temi del suo futuro pontificato: la misericordia di Dio e i poveri, Cristo “Sole” in una Chiesa “Luna” e “in uscita” da abitudini e recinti, la gioia del Vangelo, le periferie esistenziali e geografiche dell’umanità, la pace e la giustizia,… Io spero, e, da cattolico, prego per un nuovo Papa che continui in modo diverso, certo, ma deciso il percorso avviato da Francesco. Ne abbiamo bisogno in un mondo pieno di attese e aggredito da presunzioni, pregiudizi, prepotenze, guerre e da grandi della terra che si credono Dio e vorrebbero mettersi al suo posto.

27 Aprile 2025

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