80 anni fa si chiuse l'incubo nazifascista
Repubblicana e democratica: 80 anni fa l’Italia finalmente libera dall’incubo nazifascista
A Sud gli angloamericani sbarcarono nel luglio del ‘43, il Centro fu sgomberato dai tedeschi nel ‘44. Ma ci vollero due anni di lotta partigiana per riconquistare il Nord. E costruire la Repubblica dalle macerie
Politica - di Simona Colarizi

Oggi celebriamo gli ottant’anni del 25 aprile 1945 con una nota di sconforto di fronte all’Europa teatro di una guerra che dura ormai da più di tre anni, da quando la Russia di Putin ha aggredito e invaso l’Ucraina, uno stato libero e indipendente. I colloqui tra Trump e Putin per arrivare alla pace hanno evocato molti ricordi storici della Seconda guerra mondiale, quando le tre potenze future vincitrici del conflitto si sono più volte incontrate per decidere la strategia militare e stabilire le regole di quale sarebbe stato il futuro dell’Europa dopo sei anni di distruzioni e di stragi. Lo scenario internazionale è infatti indispensabile per leggere anche quella pagina di storia incancellabile che ha portato alla nascita dell’Italia repubblicana e democratica, fondata su una Carta Costituzionale che ancora oggi garantisce il vivere civile degli italiani.
La storia del 25 aprile
È necessario cominciare da quel lontano 1941, quando ancora la guerra della Germania nazista e dell’Italia fascista aveva compiuto un ulteriore balzo in avanti con l’invasione nel giugno dell’Unione Sovietica, così da nazificare l’intera Europa dall’Atlantico al Mar Nero. Nell’agosto di quello stesso anno le potenze democratiche, Gran Bretagna e Stati Uniti, si erano alleate alla dittatura di Stalin che aveva controfirmato la Carta Atlantica con la quale Roosevelt e Churchill avevano fissato gli obiettivi della guerra contro Hitler e Mussolini: ridare ai popoli dell’Europa pace, libertà, democrazia, autodeterminazione dei popoli. Obiettivi mai raggiunti dopo il conflitto e principi troppo spesso violati dai potenti del mondo nel corso degli anni a venire, ma sulla base dei quali dal 1941 in poi tutti i partiti dell’antifascismo italiano riuscivano a formare uno schieramento unitario, culminato nell’agosto del 1943 nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) – Dc, Psi, Pci, liberali, repubblicani e azionisti – specchio dell’alleanza internazionale tra i tre futuri vincitori della seconda guerra mondiale.
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A partire dal 10 luglio 1943 la situazione dell’Italia era completamente cambiata con lo sbarco in Sicilia degli eserciti angloamericani e di seguito la caduta del fascismo, la resa agli alleati, la fuga del re, il ritorno al potere di Mussolini e l’occupazione nazista del territorio nazionale, trasformato in fronte di guerra tra eserciti alleati e tedeschi. Le operazioni militari sarebbero durate per altri due lunghi terribili anni durante i quali l’Italia restava spaccata in due, mentre a tappe americani e inglesi risalivano la penisola. L’11 febbraio 1944 le truppe del Führer si erano ritirate dalla gran parte del Mezzogiorno dove le popolazioni non morivano più sotto i bombardamenti, anche se rischiavano di morire di fame. I cittadini dell’Italia centrale dovevano invece aspettare l’ottobre 1944 per mettersi alle spalle gli orrori della guerra e dell’occupazione tedesca e solo il 25 aprile 1945 anche le popolazioni del Nord – da Massa Carrara a Rimini, dove si erano snodati i 320 chilometri della linea gotica – erano finalmente libere.
Va sottolineato quanto queste discrasie temporali – quasi due anni – tra chi viveva a Palermo e chi a Milano, avessero avuto effetti politici che hanno inciso nella storia di questo periodo cruciale nel quale erano state poste le radici della nuova Italia repubblicana, democratica e antifascista. In questa Italia spaccata in due si accendevano i primi fuochi di resistenza armata, l’8 settembre del 1943 a Roma, difesa per pochi giorni da volontari in borghese e da soldati, guidati da ufficiali dell’esercito regolare, fedeli alla parola data dal sovrano agli alleati; altrove dove qualche comandante di piazzaforte pagava con la vita il suo rifiuto di consegnare ai tedeschi i contingenti dell’esercito italiano; in altre zone collinari e montuose dove senza alcun coordinamento, si formavano gruppi tra soldati sbandati e civili fuggiti dalle loro case per non cadere nelle mani dei nazisti. Infine in ottobre, a Napoli, già assediata dalle truppe americane, era l’intera popolazione a dar man forte agli alleati nel dare la caccia vicolo per vicolo ai tedeschi in fuga. Col passare dei mesi, nel Centro-Nord si faceva più forte e coordinata la resistenza organizzata nelle brigate partigiane, ognuna con uno specifico colore politico tanto che alcuni autorevoli storici hanno scritto di resistenze appunto al plurale, anche se poi a ben vedere i tanti soldati dispersi si erano aggregati alla prima formazione armata incontrata nella loro fuga per sottrarsi alla cattura dei nazifascisti. Là dove operavano i partigiani quasi non esistevano “zone grigie” di attendismo né complicità con i tedeschi e i collaborazionisti fascisti. Alla sopravvivenza degli antifascisti in armi era indispensabile la solidarietà e la complicità delle popolazioni, anche loro partecipi a pieno titolo della resistenza in molti casi pagata con la vita e il sacrificio di un’intera comunità civile.
Sono pagine da non dimenticare, anche se fin dall’inizio il CLN era ben consapevole che a decidere le sorti della guerra in Italia sarebbero stati gli eserciti degli alleati. La resistenza propriamente politica è dunque una pagina da ripercorrere, troppo spesso sorvolata dal fascino dell’epopea partigiana intessuta di battaglie, di eroismi e di sacrifici. Mentre Roma restava ancora sotto il tallone nazista, a Napoli appena liberata era esploso il conflitto con il governo Badoglio nominato dal re che i partiti antifascisti si rifiutavano di riconoscere. La fuga di Vittorio Emanuele III l’8 settembre era stata solo l’ultima gravissima colpa di un sovrano compromesso col fascismo che non riusciva neppure a riscuotere la legittimazione degli alleati, malgrado la dichiarazione di guerra dell’Italia nell’ottobre 1943. Speculare il problema degli antifascisti anche loro alla ricerca del riconoscimento da parte di Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica; un riconoscimento ottenuto solo nella primavera 1944 quando si arrivava a un compromesso su un esecutivo provvisorio guidato dal Maresciallo Badoglio al quale partecipavano tutti i partiti antifascisti, mentre il re si ritirava a vita privata e la questione monarchica rinviata a dopo la liberazione.
L’accordo era stato tessuto dal leader comunista nella consapevolezza che Churchill puntava sulla monarchia per bloccare i pericoli di una lotta partigiana trasformata dai comunisti in rivoluzione sociale. Era questa la ragione delle difficoltà nel rapporto tra gli angloamericani e la resistenza italiana nella quale le brigate Garibaldi guidate dal Pci erano maggioritarie, come in tutte le formazioni partigiane europee. Negli incontri tra le potenze alleate, mentre ancora la guerra era in corso, la spartizione dell’Europa era stata di fatto delineata in base ai territori dove arrivavano gli eserciti di Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica che provvedevano a governarli provvisoriamente, rinviando al dopoguerra libere elezioni da parte dei cittadini. Era stato così per i popoli liberati dall’armata rossa che avanzava verso Ovest, così come in Italia, governata dall’amministrazione angloamericana. Da questo momento però la fragile rete dell’alleanza di guerra tra le tre potenze agli antipodi nei valori, nei sistemi politici ed economici, si cominciava a sfilacciare, come sarebbe apparso palese a Yalta nel febbraio 1945 quando era esploso il conflitto tra il governo polacco in esilio a Londra e il governo dei comunisti di Lublino. Era la prima avvisaglia della guerra fredda.
In questo scenario si sviluppava la lotta armata dei partigiani che un filo neppure così sottile legava alla guerra civile esplosa nel primo dopoguerra, in quel biennio 1919-1922 quando la paura di una rivoluzione bolscevica in Italia aveva spianato la strada allo squadrismo fascista. Eliminati tutti i suoi avversari socialisti, comunisti, popolari e democratici, Mussolini aveva convertito lo Stato liberale in una dittatura totalitaria, spezzando così l’illusione dei democratici, dei liberaldemocratici e dei cattolici democratici di trasformare il vecchio sistema ancora ottocentesco in una moderna democrazia. Questo scenario si ripresentava proprio agli occhi di De Gasperi, di Togliatti, di Nenni, di La Malfa, di Bonomi e dei tanti altri leader antifascisti sconfitti nel 1922-1926, ma ritornati nel 1943 alla guida della resistenza. A loro spettava il compito di governare i sentimenti, gli impulsi e l’entusiasmo dei tanti partigiani e di impedire che appena liberata l’Italia, la lotta contro i nazifascisti si convertisse in una incontrollabile guerra civile.
Quanto era successo vent’anni prima era stata però una dura lezione per i capi dell’antifascismo, ben decisi a non compiere gli errori del passato, tanto più che per quanto riguardava i sogni rivoluzionari delle Brigate Garibaldi, era la stessa situazione internazionale a invitare alla massima prudenza. Ne erano perfettamente consapevoli De Gasperi e Togliatti che negli anni del regime avevano vissuto l’uno in Vaticano, l’altro a Mosca, due osservatori privilegiati per seguire i passi degli accordi tra le potenze. La nascita di una democrazia dipendeva in larga misura dalla loro capacità di convincere i resistenti e quindi l’intero paese che l’alternativa non era tra democrazia o rivoluzione, ma tra un sistema democratico o una riedizione del fascismo senza Mussolini. Era l’occasione per riprendere la strada del primo dopoguerra quando il partito socialista con i suoi 150 deputati e il partito popolare di Sturzo con i suoi 100 deputati avevano rappresentato le due maggiori forze politiche nel Parlamento del 1919 dove i liberali in declino erano ancora forti ma divisi tra loro. A quell’epoca Sturzo, Nenni, Togliatti, Amendola, Salvemini – per citare i leader della sinistra, dei cattolici e dei liberaldemocratici – non erano riusciti però a trovare un accordo per fare dell’Italia una democrazia, neppure al momento della marcia su Roma.
Nel 1943 come allora i più forti partiti erano ancora i cattolici, i socialisti e i comunisti, eredi delle masse che la dittatura aveva raccolto nelle file del partito unico. Spettava a De Gasperi convincere il papa e le gerarchie romane che dopo la vittoria sul nazifascismo di Gran Bretagna e Stati Uniti, anche per l’Italia si poteva e si doveva aprire un’era democratica. Spettava a Togliatti accordarsi con Stalin per rinviare la rivoluzione che gli eserciti angloamericani padroni dell’Italia avrebbero immediatamente soffocato. Sotto questo profilo la spartizione tra le potenze che iscriveva l’Italia nella sfera occidentale, avrebbe certamente condizionato la piena sovranità nazionale, ma sarebbe spettato comunque agli italiani decidere il loro destino attraverso elezioni e una lotta politica anche dura, ma nelle regole di una Costituzione democratica.