L'incontro alla Casa bianca
Meloni tremante da Trump, la premier dai proclami agli inchini: “Dazi? Ci provo”
Messi da parte gli abituali trionfalismi, Meloni fa professione di umiltà ospite di Confindustria: “Farò del mio meglio, vediamo come andrà”
Politica - di David Romoli

“Forza Giorgia: siamo tutti con te”: non è il presidente del Meloni Fan Club ma quello di Confindustria Emanuele Orsini e se fa un tifo da stadio per il successo della missione americana della premier è perché quello è l’interesse delle aziende prima di tutti o quasi. “Non è sola: gli imprenditori dell’Italia e dell’Europa sono con lei” si lascia trasportare Orsini durante la consegna dei premi Leonardo a Villa Madama. “È positivo che parli a nome di tutta l’Europa”, prosegue l’industriale dicendo forte e chiaro quel che la forma vieterebbe di dire: la premier italiana arriverà domani a Washington se non come plenipotenziaria almeno come ambasciatrice dell’Unione europea.
Tajani, presente anche lui alla cerimonia, rivendica: “Avevamo ragione noi a dire che bisognava mantenere la calma, che è la virtù dei forti. I danni li ha fatti il panico, non i dazi. Noi abbiamo sempre insistito a Bruxelles perché non ci fossero reazioni di pancia e ci hanno ascoltato”. Forse è un po’ presto per cantare così vittoria. La missione deve ancora partire e facile non è. La diretta interessata, anche lei in sala, infatti mantiene appunto la calma e non si allarga: “Vedremo come andrà nelle prossime ore. Faremo del nostro meglio”. Inutile cercare di strapparle mezza parola di troppo. “Come potete immaginare non sento nessuna pressione per i prossimi due giorni”, ironizza e oltre non va. Il problema è che non è facile mantenersi serafici con un presidente degli Usa che sembra divertirsi a correre sulle montagne russe: annuncia i dazi, li sospende, li minaccia, li congela, li paventa.
Nel giro di poche ore ha affermato che forse sospenderà le tariffe sull’automotive, e correrebbero fiumi di champagne su entrambe le sponde dell’Atlantico, ma anche che colpirà in data da destinarsi però imminente i semiconduttori. Si dichiara fermamemnte convinto però anche flessibile. Vuole trattare con l’Europa ma avrebbe già declinato l’invito a costruire una zona di libero scambio occidentale affrancata da ogni dazio, proposta numero uno della Ue e dunque anche di Giorgia Meloni che la ha concordata con Ursula von der Leyen. Però Trump non è, o non è solo, bizzoso come sembra. La chiave del suo comportamento la ha mostrata due sere fa in tv il ministro della Difesa Crosetto: “Ha impostato un approccio: cosa prendo cosa do, qual è è il mio vantaggio e quale il tuo”. Insomma, una politica da bancarelle di Porta Portese, nella quale minacce e blandizie, bastone e carota, ostentazioni di forza fanno parte del rituale da mercante.
Dunque la domanda chiave è cosa avrà da offrire e da minacciare Giorgia Meloni domani alla Casa Bianca e poi venerdì a palazzo Chigi con il vice J.D. Vance. L’italiana ha due strumenti fondamentali di pressione. Il primo è la Cina. L’Italia è tra i principali Paesi europei quello più vicino alla linea Usa, cioè più prudente, per usare un eufemismo, nei confronti del dialogo con la Cina. Ma quella dell’Italia non è la linea dell’intera Ue che casomai pende anzi sul versante opposto. Spagna e Germania sono apertamente favorevoli alla partnership tra Europa e Cina, la presidente von der Leyen sta preparando un vertice tra Ue e Dragone, la presidente della Bce Lagarde ha in programma un viaggio a Pechino. L’Italia può contrastare questa tendenza, in nome della conferma del blocco occidentale, ma solo se Trump assegna alla premier argomenti validi da spendere. Carte da giocare, nel nuovo gergo della Casa Bianca.
Poi c’è la web tax su Big Tech. L’Europa minaccia la tassa se i dazi verranno scongelati dopo il fatidici 90 giorni di sospensione annunciati da Trump. Parte sostanziosa della maggioranza – incluso il ministro Giorgetti – consiglia a Meloni di annunciare già a Washington l’introduzione di una tassa non come rappresaglia ma perché necessaria. La premier frena. Proprio perché sa che per gli Usa quello è il fianco più esposto vuole probabilmente usarlo come moneta di scambio nel mercanteggiamento che verrà solo avviato domani. Sul piano degli scambi commerciali però la premier si spoglierà in buona parte dei panni europei per rivestire quelli tricolori. La posizione di partenza, dati i legami stretti che già esistono tra i due Paesi sia nel settore armi che sul gas, sembra favorevole. E in fondo il vero obiettivo della premier è proprio tornare a Roma potendo vantare un passo avanti diplomatico verso la pace nella guerra dei dazi e allo stesso tempo un colpo di frusta allo scambio di investimenti tra i due Paesi. In modo da poter dire di aver fatto l’interesse dell’Europa facendo però anche quello dell’Italia.