La premier si prepara alla Casa bianca

Meloni in ginocchio da Trump tratta sulle spese per la Nato

L’Italia non ha ancora raggiunto il 2% del Pil. Washington chiede il 5% del Pil per poi mediare e chiudere al 3,5%. Per l’Italia anche questa percentuale è proibitiva: servirebbe ricorrere alla clausola del piano di riarmo di Ursula von der Leyen oppure al solito caro debito

Politica - di David Romoli

15 Aprile 2025 alle 07:00

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

A tenere le dita incrociate augurandosi che Meloni ce la faccia non saranno per una volta solo i suoi amici e alleati ma anche Emmanuel Macron e Elly Schlein. Non a caso la segretaria del Pd, mai propensa a fare sconti di sorta alla rivale, ha tenuto bassi i toni della polemica, limitandosi a chiedere che Giorgia resti in linea con l’Europa. E’ una richiesta già soddisfatta. Nei giorni scorsi Meloni si è sentita più volte al telefono con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, hanno concordato la linea da seguire, ufficializzata se mai ce ne fosse stato bisogno domenica scorsa da Tajani, la voce italiana del Ppe.

Meloni insisterà sulla creazione di una zona occidentale di libero scambio, cioè sull’eliminazione totale dei dazi tra Usa e Paesi Ue. Non è un obiettivo a portata di mano. Nessuno si aspetta che dall’incontro di Washington e dal richiamo del giorno seguente a Roma con il vicepresidente Vance esca un risultato così ambizioso. Ma sarebbe già per Meloni un esito da vendere come buono se venissero gettate le basi per un vertice Usa-Ue e se Trump desse qualche segnale d’interesse per la proposta, del resto sponsorizzata anche da Elon Musk. Ma a Washington Giorgia Meloni arriverà con una doppia veste: quella di leader europea incaricata di spalleggiare e se possibile agevolare le trattative del commissario europeo al Commercio Sefcovic, nella capitale americana già da domenica ma anche quella di premier italiana. I passaggi più delicati saranno quelli che dovrà affrontare in questo ruolo. L’agenda degli argomenti sul tavolo naturalmente è enciclopedica ma le voci più delicate perché più attuali sono più ridotte: armi, gas e Cina.

Tra tutte la più puntuale è proprio quella delle armi, che si presenta divisa in due dossier diversi. C’è l’acquisto di grossi quantitativi di armi che Trump si aspetta da tutti i Paesi europei Italia inclusa e c’è il capitolo dell’innalzamento delle spese per la Nato. L’Italia non ha ancora raggiunto il traguardo già pattuito del 2% del Pil devoluto all’Alleanza. Giorgetti ha assicurato che l’obiettivo sarà centrato con la finanziaria di quest’anno. Tajani lo ha solennemente annunciato domenica. Il ministro dell’Economia ha specificato che quel 2% sarà raggiunto senza bisogno di attivare la clausola di garanzia nazionale prevista dal Piano di Riarmo di Ursula von der Leyen, quella che scorpora le spese per gli armamenti dai vincoli del Patto di Stabilità. Sino a pochi mesi fa il 2% era la mèta finale che l’Italia, come più o meno tutti gli altri Paesi Ue, faticava a raggiungere. Ora, come dice il ministro della Difesa Crosetto, “è solo un punto di partenza”.

Trump esige uno sforzo molto maggiore: chiede il 5% del Pil per poi mediare e chiudere al 3,5%. Per l’Italia anche questa percentuale è proibitiva: servirebbe appunto attivare la clausola e ricorrere al debito. Crosetto è tentato. Meloni e Giorgetti no. Significherebbe fare comunque debito e dopo due anni di austerità mirata proprio ad abbassarlo si può capire quanto poco la prospettiva sorrida al ministro dell’Economia. La clausola, inoltre, implica l’accettazione del Piano di Riarmo e lo scontro con la Lega sarebbe inevitabile. E’ probabile che la premier assumerà qualche impegno ma rinviato nel tempo, almeno sino al 2027 e per sciogliere la riserva in un senso o nell’altro sulla clausola Giorgetti intende aspettare il vertice Nato di giugno. Sul gas nei giorni scorsi dal governo, o almeno dal ministero delle Attività produttive, sono partiti segnali possibilisti. Voci autorevoli hanno fatto notare che la partnership con Leonardo è già robusta, sia per quanto riguarda gli armamenti sia per il gas liquido americano.

Insomma la strada non sembra ostruita anche se i 350 miliardi di dollari che Trump sembra aspettarsi dall’Europa sono probabilmente una cifra esorbitante. Sulla Cina il governo italiano ha già ripetuto più volte negli ultimi giorni di non avere dubbi sullo schieramento “a fianco dell’Occidente”, cioè degli Usa. Ma in questo caso la voce dell’Europa non è affatto univoca. Basti pensare al viaggio in Cina del premier spagnolo Sànchez della settimana scorsa e al vivissimo interesse mostrato dallo spagnolo per “una Cina partner dell’Europa”. Del resto, non è neppure immaginabile che la Ue assuma una posizione decisamente affiancata agli Usa senza avere in cambio alcuna garanzia in materia di dazi. Tutte le partite che saranno squadernate fra tre giorni sono in realtà intrecciate, rinviano l’una all’altra, è impossibile affrontare separatamente senza considerare allo stesso tempo tutte le altre.

15 Aprile 2025

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