Il parlamentare dem
Parla Matteo Orfini: “Basta equivoci, nel Pd tutti d’accordo per una difesa comune”
«Deve essere questo l’obiettivo a cui tendere, ben diverso da quello che propone la von der Leyen. Tutti nei dem abbiamo riconosciuto che il suo piano è debole e rischia di non funzionare». La piazza di domani? «Bisogna prendere quel che c’è di buono: il richiamo all’esigenza di un’Europa più forte e autonoma»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Matteo Orfini, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito Democratico: “La UE deve riarmarsi, finite le illusioni. Momento della pace attraverso la forza”. Così la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. È questa l’Europa per cui battersi e scendere in piazza?
Per decenni abbiamo ragionato essendo parte di un’alleanza atlantica. Il rapporto tra Europa e Stati Uniti è stato sempre un rapporto di alleanza strettissima, certo con alterne fasi ma questo rapporto non è stato mai messo in discussione.
Qual è la novità dell’oggi?
La vittoria di Trump ha di fatto, in pochi giorni, rotto uno schema politico sul quale si era governato l’Occidente e contribuito a governare il mondo. E questo è obiettivamente un fatto nuovo, la cui crudezza abbiamo tutti verificato nelle immagini dell’incontro-scontro con Zelensky nello Studio Ovale della Casa Bianca.
Quel meccanismo di alleanza atlantica, che garantiva anche difesa, pace, sicurezza all’Europa, oggi non c’è più. Questo tutti noi lo riconosciamo e quindi siamo consapevoli di dover compiere un salto di qualità nell’integrazione e soprattutto nell’esistenza di una soggettività e di un protagonismo europeo, su tanti fronti, compreso quello della difesa. Un tema, quello della difesa, europea, ineludibile, comunque lo si veda. C’è poi una discussione molto seria, di merito, su come questo possa avvenire. I toni della von der Leyen non sono quelli che avremmo usato noi. Il protagonismo dell’Europa, che deve manifestarsi anche sul terreno della difesa comune, deve anzitutto esserlo sul terreno della politica. Ed è su questo piano, decisivo, che l’Europa è mancata. Di fronte all’aggressione di Putin all’Ucraina e ai negoziati in corso, l’Europa è stata fin qui completamente fuori dalla discussione e dal tentativo diplomatico di costruzione della pace. E questo è un limite oggettivo dell’Europa di questi anni e anche soggettivo della von der Leyen.
Ponendo l’accento, come fa la presidente della Commissione europea, sulla centralità della forza, non si finisce per consegnare a Trump la pace?
Trump non sta agendo per la pace. Non sta negoziando, sta sostanzialmente parteggiando per l’aggressore. Sarebbe inimmaginabile che Trump avesse l’atteggiamento che ha avuto con Zelensky in un incontro con Putin. L’idea che gli Stati Uniti stiano oggi lavorando per la pace o siano equidistanti è una presa in giro. Quello che è successo nello Studio Ovale non sarebbe mai accaduto se in quello Studio al posto di Zelensky ci fosse stato Putin, verso il quale Trump avrebbe avuto un atteggiamento molto più rispettoso e ossequioso. Il fatto è che Trump ha scelto di favorire una pace che non è tale ma è la richiesta all’Ucraina di cedere al volere di Putin. Proprio per evitare che questo avvenga, c’è bisogno di un maggiore protagonismo da parte dell’Europa. Noi non possiamo rinunciare all’idea che il diritto internazionale non venga rispettato e chi aggredisce e invade un paese sovrano possa essere aiutato o assecondato nella propria volontà di annessione. Non possiamo, non dobbiamo abbandonare l’Ucraina. E questo lo si fa sia continuando a sostenerla anche militarmente, sia con un protagonismo diplomatico diverso da parte dell’Europa. Se Trump sceglie di mollare la difesa dell’Ucraina, l’Europa deve essere ancor di più a fianco di quel paese, prima di tutto con la politica.
Per aver criticato il piano di riarmo europeo, la segretaria del Pd Elly Schlein è stata tacciata di disfattismo, e di essere una inveterata pacifista.
Io penso che questa discussione, anche dentro di noi, sia stata sviluppata con toni e a volte con caricature delle varie posizioni abbastanza sgradevoli.
Se noi stiamo al merito della questione, a me francamente non sembra che nel Pd ci siano posizioni così distanti. Tutto il Pd ha riconosciuto la necessità di un impegno europeo nella difesa. Tutti oggi dicono che c’è bisogno di una difesa comune europea, e che ci sia bisogno anche di investimenti in questo campo.
Tutti hanno segnalato che quello deve essere l’obiettivo a cui tendere, che è ben diverso da quello che propone la von der Leyen cioè il riarmo nazionale dei singoli paesi. Tutti hanno segnalato come questo piano da 800 miliardi è a forte rischio di non funzionamento per come è concepito.
Perché?
Beh, perché ci sono 150 miliardi di un prestito, che non è detto che venga attivato dai vari paesi, un po’ come fu per il Mes, che alla fine nessuno ha utilizzato, e perché il resto delle risorse devono essere fatte a debito dai singoli paesi creando delle condizioni che non è detto che verranno attivate. Ad oggi siamo in presenza di un piano virtuale che rischia di funzionare poco. Tutti, nel Pd, hanno, abbiamo riconosciuto la necessità di investire in una difesa comune, e tutti hanno riconosciuto che questo piano così com’è è molto debole e rischia di non funzionare. C’è stata una divisione, anche molto forte, che non va banalizzata, su come esprimersi nel voto a Strasburgo sul Libro Bianco della Difesa Europe della von der Leyen. Una divisione che forse si sarebbe potuta evitare forse ci sarebbe stato bisogno di discuterne di più prima, di riunirsi di più, di fare un lavoro più capillare dentro il Partito democratico. Però non mi sembra che nella sostanza ci sia una enorme divisione. Mi auguro che i prossimi giorni servano a riallineare tutto il partito attorno a una posizione che a me pare si possa trovare. Non è necessario enfatizzare divisioni su temi così seri, soprattutto quando sul giudizio di merito siamo sostanzialmente d’accordo.
A sinistra, e più in generale nel mondo solidale, c’è divisione sulla partecipazione alla manifestazione di sabato a Roma promossa da Michele Serra e Repubblica.
In precedenza, ho parlato di ciò che è avvenuto dentro al Pd e la sua unità da riconnettere. Dentro questo voto c’è stata una divisione nel centrosinistra, il Movimento5Stelle e Avs hanno votato contro quel piano. Il gruppo del Pd si è diviso tra chi si è astenuto e chi ha votato a favore. È chiaro che su questo nel centrosinistra ci sia una diversità di vedute, come peraltro c’è nel centrodestra. Su questo tema abbiamo avuto tre posizioni diverse tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia nel dibattito. Salvini contrario, Tajani favorevolissimo e FdI una via di mezzo, con la presentazione di emendamenti correttivi a cominciare da quello sul cambio del nome del progetto, che non volevano si chiamasse ReArm ma Defence…La maggioranza di governo si è molto divisa. È chiaro che questa discussione ha avuto ricadute anche sulla manifestazione di sabato. Io credo che si debba prendere quel che di buono c’è nella piazza di sabato…
Vale a dire?
Il fatto che pur se in modo diverso, con posizioni molto articolate, c’è il richiamo all’esigenza di una Europa più forte e più autonoma. Penso che questo sia un fatto positivo, che ci deve accomunare. Siamo esperti di piazze complicate, composite, soprattutto quando nascono da iniziative della società civile, in questo caso da Michele Serra. È chiaro che si riempiono di posizioni e istanze diverse, anche di tante contraddizioni. Ma ciò che unisce quella piazza è la richiesta all’Europa di esistere, l’evocazione della necessità dell’Europa. In un paese in cui fino a non molto tempo fa in tanti chiedevano di uscire dall’euro, è comunque un fatto positivo che va valorizzato per questo. Poi è chiaro che dobbiamo riempire l’Europa di contenuti, di un’agenda sulla quale ognuno ha le proprie legittime posizioni. Intanto, però, uniamoci attorno al riconoscimento della necessità dell’Europa.
Ma questa Europa di cui si necessita, può riarmarsi per l’Ucraina ed essere silente e inerme sulla Palestina?
Assolutamente no. Va detto, però, che tante voci in Europa si sono levate in difesa del popolo palestinese. Questa è l’altra grande questione sulla quale anche il Partito democratico deve rinnovare un protagonismo. Quello che è accaduto in questi mesi è qualcosa di agghiacciante, allucinante, criminale. E porta la responsabilità del governo d’Israele. Non dello Stato d’Israele, ma del governo israeliano, soprattutto di Netanyahu e di larga parte dei suoi ministri. Il Pd su questo ha avuto sempre una posizione chiara ed esplicita, certo è che un tema su cui bisogna continuare e rilanciare una battaglia. Non si può abbandonare il popolo palestinese, non si può consentire che vengano perpetrati di continuo crimini di guerra. Siamo di fronte ad una catastrofe umanitaria, figlia di crimini politici e crimini di guerra. Che peraltro iniziano ad essere esplicitamente teorizzati anche nel partito di Netanyahu, il Likud. Non siamo di fronte a cose fatte di nascosto. Quando si teorizza lo sterminio e conseguentemente lo si applica, ciò significa che qualcosa è venuto meno anche negli anticorpi delle società occidentali. Bisognerebbe unirsi contro l’atteggiamento e le azioni del governo israeliano.
Per lei, uomo di sinistra, cosa dovrebbe significare essere un Partito pacifista?
È una definizione obiettivamente complicata e che rischia di produrre incomprensioni. Io vengo da una storia fatta anche del riconoscimento, a sinistra, della necessità, in alcuni momenti particolari, drammatici, limitati, dell’uso della forza. Ricordiamoci delle divisioni che abbiamo avuto su vicende come quella del Kosovo, dell’Afghanistan, momenti in cui a sinistra abbiamo avuto anche grandi lacerazioni, ma dentro una discussione per affermare il principio che per porre fine a situazioni drammatiche e per difendere i diritti umani, è accettabile l’idea del ricorso alla forza. Credo che un grande partito riformista, di governo, non possa escludere a prescindere di dover ricorrere, all’uso della forza. La tragedia dei Balcani finisce nel momento in cui s’interviene militarmente. Abbiamo visto cosa è successo nel momento in cui ci si è ritirati dall’Afghanistan e sono tornati i talebani. È un tema delicatissimo e divisivo. Credo che si debba aver chiaro che il ricorso all’uso della forza debba essere sempre extrema ratio. Abbiamo bisogno di enormi sforzi diplomatici ma ancor più in questa fase di rilanciare l’idea di un governo multipolare del mondo. Di fronte a quel che sta avvenendo negli Stati Uniti, noi non possiamo rinunciare all’idea di ricostruire dialogo, ponti per una gestione multilaterale. Non possiamo accettare che ritorni la guerra come elemento di risoluzione delle controversie. Putin ci ha riportato indietro di decenni e lo stesso sta facendo Netanyahu. L’idea che le controversie si risolvano con la forza. Per questo abbiamo bisogno di rilanciare l’idea dell’Europa come attore globale ma anche della ricostruzione di un multilateralismo. Possiamo ancora far finta che sia impossibile, ad esempio, recuperare un dialogo con la Cina? Io penso di no. Noi abbiamo bisogno di ricostruire ponti di dialogo e di cooperazione proprio per isolare chi, come Putin, immagina di riportarci un secolo indietro.
La pace, la guerra, l’idea di Europa dovrebbero essere al centro di una visione forte e condivisa di un grande partito che si pone come alternativa di governo. Il senatore Zanda, uno dei soci fondatori del Pd, ha proposto che su questo il Partito democratico celebri un congresso straordinario. Lei come la pensa?
Noi siamo in una fase in cui in Italia, in Europa, nel mondo abbiamo una destra orribile. C’è quello con la motosega, quello che si disegna la croce sulla fronte, c’è Trump che si sveglia e mette dazi a casaccio contro chi gli sta antipatico. Nel nostro paese, abbiamo gente che libera torturatori, che perseguita i migranti, che fa manganellare gli studenti. Questo è quello che noi dobbiamo combattere. E abbiamo bisogno di un Partito democratico che continui nel lavoro che sta facendo, cioè di ricostruzione di una forza che sia centrale nella definizione di un’alternativa a questa destra. Un congresso serve ad aprire ancora di più il Pd, a renderlo più forte, a chiamare un pezzo di società a partecipare attivamente a questa battaglia? Non demonizzo una prospettiva di questo tipo. Se invece un congresso serve a passare 6 mesi a litigare internamente sarebbe dannoso. L’ossessione che io ho quando mi sveglio la mattina, è come cacciare questa destra il prima possibile. Se il congresso può essere uno strumento per rafforzare questo obiettivo, e raggiungerlo prima, allora evviva. Ma se invece ci distrae da questo obiettivo, no grazie, sarebbe deleterio.