C'era una volta il centrodestra unito...

ReArm Europe spacca il governo Meloni: la Lega frena, le opposizioni unite bocciano il piano von der Leyen

La Lega, contrarissima al piano militare di Ursula, fa esporre il ministro Giorgetti: “No a pasticci fatti in fretta e furia”. Tajani esulta: “È indispensabile”

Politica - di David Romoli

6 Marzo 2025 alle 08:00

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Photo by Roberto Monaldo / LaPresse
Photo by Roberto Monaldo / LaPresse

Se il test italiano ha qualche valore il ReArm Europe si avvia a produrre sconquassi. Non tanto tra i diversi Stati membri della Ue: tutti, con maggiore o minore convinzione, convengono sulla necessità di avviare un massiccio programma di riarmo, anche se non è affatto detto che il Consiglio straordinario che si riunisce oggi a Bruxelles sia altrettanto concorde sui dettagli, o più precisamente sulle singole voci proposte da Ursula von der Leyen. Il problema, sempre stando al caso italiano, è all’interno dello spettro politico.

In Italia è il ministro dell’Economia Giorgetti a frenare a tavoletta: “Un piano di investimenti militari deve avere un senso. Non può essere fatto in fretta e furia senza una logica. Bisogna mantenere il sangue freddo e ragionare per non ripetere errori come quelli sui vaccini. La costruzione della sicurezza richiede investimenti mirati e seri”. Giorgetti non è Salvini ed è uno dei pochi politici a rifuggire la propaganda, anche se è possibile che lo stesso Salvini gli abbia chiesto di esporsi, pur con prudenza, mettendo in campo critiche al piano di Ursula. Ma certamente il ministro dell’Economia è preoccupato per i vari elementi ambigui del progetto. Lo scorporo delle spese militari dal patto di stabilità riguarda l’intera spesa o solo quella che eccede il 2% già concordato con la Nato? E chi decide la destinazione dei fondi di ogni Paese? Senza contare la preoccupazione principale di palazzo Chigi, e cioè che il Piano si trascini dietro quell’intervento sul campo, la missione anglo-francese di peacekeeping, a cui l’Italia è contrarissima. Insomma non è affatto escluso che, sullo sfondo delle divisioni che nella maggioranza ci sono, con una Lega più che ostile al piano, Giorgetti dica quel che palazzo Chigi pensa.

L’opposizione italiana si presenta unita, almeno per quanto riguarda i tre partiti dell’ancora virtuale centro-sinistra, nel bocciare la proposta. Ma è un’unità che alla segretaria del Pd Schlein rischia di costare cara. In primo luogo all’interno del partito: il disaccordo della minoranza era scontato in partenza ma le 3000 firme raggiunte in un giorno dal manifesto europeista di Pina Picierno indicano un dissenso più forte, forse almeno in parte condiviso anche da chi, ieri, si è schierato con la segretaria. Dario Franceschini si è esposto apertamente, anche per dissipare le voci su una sua presa di distanza dalla leader alla cui vittoria congressuale aveva contribuito più di chiunque altro. “Condivido la posizione di Schlein: il piano va profondamente rivisto perché non porta alla difesa comune ma a 27 difese nazionali”. Andrea Orlando, tra i principali esponenti della sinistra, concorda: “È un piano di riarmo nazionale: non c’è alcun passo verso la difesa comune e con questo piano l’Europa continuerà a non stare nei tavoli internazionali”. È l’argomentazione addotta dalla segretaria e ripetuta anche ieri ma si tratta in buona misura di un escamotage.

Il vero problema per Elly era evitare la rottura con Conte e Avs, che sin dal primissimo istante si erano detti contrarissimi alla “follia bellica” di Ursula, senza per questo passare da antieuropeista. Prendersela con la latitanza della difesa comune assolve a entrambe le condizioni ma è un’argomentazione fragile. Procedere subito, di fatto all’improvviso, sulla strada della difesa comune, cioè dell’esercito europeo è pura fantapolitica e probabilmente la stessa Schlein se ne rende perfettamente conto. Ai dissidenti si è unita ieri una voce autorevolissima al Nazareno, quella di Paolo Gentiloni: “È un primo passo e chiaramente può essere migliorato ma va nella direzione giusta e c’è quel che il Pd chiedeva: un fondo comune basato sugli eurobond”.

Il partito non è la sola spina. Il fossato con i centristi rischia di diventare un baratro e non solo con i vertici ma anche con un elettorato che per le chances di vittoria alle prossime elezioni politiche è determinante. Il riarmo è diventato infatti elemento identitario, discrimine tra chi è davvero europeista e chi non lo è. La manifestazione convocata da Michele Serra per il 15 marzo è diventata di fatto una chiamata a favore del riarmo con grande imbarazzo del Pd che rischia di trovarsi in una situazione ambigua: in piazza con i sostenitori strenui del riarmo ma contrario in aula.

Il problema più grosso però è con il Pse. La segretaria ha sentito più volte lo spagnolo Sanchez ma la posizione dell’eurogruppo S&D, che si riunirà stamattina prima del Consiglio è considerare il ReArm “un punto di partenza e non un traguardo” ma senza bocciarlo. È a partire da quel “punto di partenza” che il Pd cercherà ora di ritrovare una posizione almeno non in contrasto frontale con il resto del suo gruppo europeo.

6 Marzo 2025

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