La scrittrice e studiosa del diritto
Intervista a Rita Ferri: “No ai doppi standard, l’Europa deve trainare l’illuminismo contro la barbarie”
La professoressa Ferri è tra i promotori del convegno “Unione Europea, Corti internazionali e Stato di Diritto”, in programma oggi a Roma. Sanzioni alla Cpi? «Da Trump grave attacco al diritto internazionale»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

“Unione Europea, Corti internazionali e Stato di Diritto”. È il tema, di stringente attualità, al centro di un convegno che si svolgerà oggi pomeriggio presso la sede del Parlamento Europeo a Roma. A promuoverlo, assieme a Matteo Saul Visentin, è la professoressa Rita Ferri, scrittrice, saggista, studiosa di diritto. L’Unità l’ha intervistata.
Professoressa Ferri parlare di Corti Internazionali e Stato di diritto in un mondo in cui, le Corti, come la Corte penale internazionale dell’Aja, sono sotto attacco, e lo Stato di diritto è quotidianamente sotto attacco da quanti praticano solo la legge del più forte, è un coraggioso andare controcorrente.
Ebbene, se vero è che da, una parte, vi è un attacco contro le Corti Internazionali, anche con decisioni di governo in contrasto con i provvedimenti emessi dalle stesse, per contro, vi è un’altra fazione, formata dai più, che ben ha chiara l’importanza che le Corti svolgono a baluardo difensivo dell’applicazione del Diritto Umanitario e dei Diritti Umani (79 Paesi, non l’Italia, hanno firmano contro le sanzioni di Trump alla CPI). Attraverso l’attribuzione della pena le Corti garantiscono giustizia (secondo l’accezione latina “suum cuique tribuere”, “attribuire a ciascuno il suo”) agli afflitti ma anche, con il loro giudizio, svolgono una azione di deterrenza.
In altre parole, lo Stato di diritto, che ha necessità di assicurare la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell’essere umano per tutti, ovunque nel mondo, garantendo la punibilità dei reati, è una scelta di civiltà contro la barbarie. E’ dell’ultima ora l’arresto a Manila su mandato della Corte penale internazionale dell’ex presidente filippino Rodrigo Duterte con l’accusa di crimini contro l’umanità antecedente al 2019, anno in cui le Filippine si sono ritirate dalla CPI.
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La CPI è stata sanzionata dall’amministrazione Trump per aver “osato” emettere mandati di arresto internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità nei riguardi del primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu. C’è chi gode di impunità permanente?
Ciò che sta accadendo in generale pone tutti noi in forte allarme. Le sanzioni di Trump rappresentano un grave attacco al Diritto internazionale e possono alimentare, ulteriormente, azioni in violazione dei Trattati Internazionali nonché amplificare il rischio di impunità per i crimini più gravi. C’è però da chiarire alcuni aspetti. Gli Stati Uniti non hanno aderito al Trattato di Roma, mentre la CPI ha giurisdizione sui territori palestinesi occupati da Israele. Sanzionare la Corte Penale Internazionale, riconosciuta da ben 123 Stati membri, è come dire, per esempio, che il governo italiano sanziona la Corte Interamericana dei Diritti Umani, di cui fanno parte venticinque Stati americani e – ça va sans dire – non l’Italia. Si tratta di una ingerenza inammissibile, tanto più se la decisione assunta dalla Corte contro Benjamin Netanyahu trae fondamento, come in questo caso, da quelle Convenzioni internazionali ratificate anche dagli USA. Inoltre, gli USA riconoscono la Corte Internazionale di Giustizia, in quanto organo giurisdizionale principale dell’ONU. Ebbene, la CIG, con la risoluzione del dicembre del 2022, antecedente alla guerra nella Striscia di Gaza, ha stabilito che le colonie israeliane nei Territori palestinesi (West Bank e Gerusalemme est) e l’utilizzo delle risorse naturali che Israele fa in quelle zone vìolano il Diritto internazionale. La stessa Corte, sebbene troppo timidamente, ha ordinato a Israele di attuare tutte le misure in suo potere per impedire al suo esercito di commettere atti di genocidio nella Striscia di Gaza. Ai fini di quanto detto non rileva che Trump parrebbe abbia già firmato un ordine esecutivo per ritirare gli U.S.A. dal Consiglio Onu per i Diritti Umani. Inoltre, la Corte Penale Internazionale non ha emesso mandati d’arresto solo verso Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant ma anche verso i leader di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh e Diab Ibrahim Al Masri. Dunque ha ritenuto correttamente di condannare ambedue le violenze. Ora, non vi è alcun dubbio che a Gaza ma anche nella West Bank sia stato violato in primis il Diritto Umanitario (lo ius in bello) ed anche i Diritti Umani, ambedue diritti inderogabili. Ebbene, la finalità del Diritto Internazionale Umanitario, dunque delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e dei loro due protocolli aggiuntivi del 1977, è quella di limitare l’uso della violenza durante gli scontri, al fine di proteggere in primis tutti coloro che non prendono parte al conflitto, bambini, donne e civili in generale. È sotto gli occhi di tutti che a Gaza è avvenuto l’esatto inverso.
Nel titolo dell’iniziativa c’è anche Unione Europea. Professoressa Ferri, ma sulla difesa dei diritti umani, quelli dei popoli sotto occupazione, come il popolo palestinese, o dei migranti che muoiono in mare o nel deserto subsahariano o vengono sottoposti a indicibili torture nei lager libici, l’Europa con i suoi valori fondativi, esiste ancora?
L’Europa esiste ancora attraverso quei cittadini che hanno a cuore i suoi valori fondativi legati ai fondamenti dello stato di Diritto. Tuttavia, in generale, i sistemi democratici hanno manifestato delle gravissime contraddizioni al loro interno e, per talune nazioni, nei rapporti interstatali. Oltre Biden e Trump anche l’Unione Europea ha abbassato lo sguardo di fronte al massacro di bambini inermi a Gaza e non solo, pensiamo al genocidio contro i Tutsi in Ruanda. Gli europei hanno fatto accordi con aguzzini che sottopongono a torture gente nei lager libici, così come nei campi in Turchia e altrove. Per quanto l’Unione Europea contenga anime diverse e spesso contrastanti, è proprio dalle contraddizioni che bisogna ripartire per risolvere le tante dicotomie che ci siamo portati dietro e quelle nuove attuali, recuperando quei principi e valori inscritti nel Manifesto di Ventotene del’41. Resta necessario ripensarsi come presidio di libertà, diritti e democrazia, a partire dalla presa d’atto dei gap e delle antinomie tra quanto viene affermato sulla carta e quanto si realizza nella realtà concreta. Qui non entro nel merito di queste tante contraddizioni se non per focalizzarne la principale legata al tema del Convegno. Mi riferisco ai doppi standard. Non si può, da parte dell’Unione Europea, da un lato solidarizzare (giustamente) contro le gravissime violazioni del Diritto in Afganistan e in Iran, soprattutto contro le donne; non si può assumere una posizione nettissima contro Putin, a favore di Zelensky, e poi chiudere gli occhi di fronte al genocidio del popolo palestinese. Altro problema è l’esigenza attuale di alleanze strategiche per l’eventuale fine di difesa comune, venuta meno la protezione USA. Va da sé che la UE, con i diversi singoli Stati, non ha attualmente, e non potrà avere comunque a breve termine, capacità autonoma di difesa valida. Anche per questo occorre la costituzione di una struttura diplomatica europea solida ed efficiente che renda possibile la collaborazione internazionale con tutti i protagonisti disponibili della scena mondiale, comprese le potenze emergenti e i gruppi regionali, che persegua il fine di estensione e consolidamento dello stato di Diritto, con il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, il solo su cui può fondarsi un nuovo equilibrio mondiale, giusto ed equo.
Non solo le Corti internazionali sono sotto attacco. Lo sono anche le Agenzie Onu, come l’Unrwa, l’Unhcr, solo per citarne alcune, e Ong internazionali che difendono i più indifesi nel mondo. Le chiedo: senza giustizia può esistere un ordine internazionale?
Le rispondo con una citazione “non c’è Pace senza Giustizia” e, aggiungo “non può esserci un ordine internazionale non dispotico senza giustizia”. Le decisioni di Trump stanno di certo rimodellando non solo la stessa amministrazione interna, ma hanno un impatto a livello globale: dalla sospensione degli aiuti esteri con lo smantellamento dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAid), ai ritiri dall’OMS, al ritiro dall’accordo di Parigi sul clima, etc., etc. Le ricadute sulle popolazioni nei campi profughi, pensiamo all’UNRWA o all’UNHCR, sono e saranno gravissime. Tutto ciò sta però indebolendo la stessa leadership statunitense, ovvero lasciando un vuoto a favore di Paesi concorrenti come la Cina.
Su cosa e su chi affidare una speranza per il futuro?
Ebbene, se Trump non riuscirà ad abrogherà anche il 22esimo emendamento della Costituzione statunitense, e se nel frattempo la situazione geopolitica globale non sarà ostativa, si spera nel 2028 in un cambio della Governance USA. Occorre lavorare per una opposizione valida. E questo resta il problema: una alternativa forte poiché credibile, negli USA come nella UE. Trump ha rotto i margini rappresentati da tutte quelle regole comuni che hanno mantenuto la Pace in Europa. La nuova prospettiva di Trump è quella che si lega ad una realtà futuribile che va oltre l’attuale post-postmodernità. Una realtà in cui la fa già da padrona l’Intelligenza Artificiale, i Database che hanno necessità di tantissima energia, tuttavia in esaurimento. Chi ha le terre rare, i satelliti, etc. detiene il potere anche dei mezzi di offesa e di difesa, di comunicazione e di controllo sulle masse. Dal canto suo Macron fa il pugno duro con la Russia, mentre in generale l’UE è orientata verso una prospettiva di riarmo. A mio giudizio vi è una sottovalutazione di quali siano le forze e le alleanze attualmente preponderanti in campo, e quali siano gli interessi superiori di USA. e Cina. A me pare che questo debba essere il momento in cui tutte le forze che hanno a cuore i diritti inviolabili dell’in-dividuus (non amo il termine giuridico “persona”), in quanto entità a sé, indipendentemente da uno Stato di appartenenza, come nella prospettiva arendtiana, debbano unirsi per ri-fondare contenuti comuni, legati al rispetto dell’altro-da-sé e alla non belligeranza. È a una UE che ha la necessità di rendersi credibile che spetta oggi il compito, attraverso le vie diplomatiche e l’elaborazione di un “piano strategico culturale invasivo”, di cercare una alternativa immediata, sin da subito, proponendosi come forza trainante di quella ragione illuministica che ha guidato l’uomo verso il progresso civile, contro la barbarie della guerra, i dispotismi e gli assolutismi. La Cina è già pronta a colmare lo spazio lasciato da Trump. E non è detto che questa debba ritenersi una buona notizia.