L'attacco del vice Trump
J. D. Vance: il vice di Trump golpista e majorette di Orbán che vuole dare lezioni di libertà all’Europa
Come il suo dante causa, l’outsider venuto dall’Ohio non ha alcun senso del limite, e una cultura non troppo radicata nei valori fondativi dell’Europa
Esteri - di Filippo La Porta

Davvero il massimo di pensiero laico che riusciamo a produrre è un relativismo morale paralizzante (che alla fine dà ragione a tutti), in nome del “politeismo dei valori” di cui parlava Max Weber (ossia: valori tra loro contrastanti, nessuno dei quali può essere un criterio normativo assoluto)?
Nel discorso di Monaco mister J.D. Vance accusa l’Europa di tradire i valori occidentali, impedendo elezioni che non avrebbero un esito desiderato (come in Romania) o censurando le fake news sui social, la stampa e la tv. Ne ha parlato Luca Ricolfi sul Messaggero in un articolo ragionevole e condivisibile, che conclude così; “Nessuno ha veramente tradito i valori occidentali perché quei valori vanno interpretati”. Va bene, nessuno può ergersi a paladino di quei valori, mi chiedo però: tutte le interpretazioni stanno esattamente sullo stesso piano? Viene in mente la teoria letteraria decostruzionista per cui ogni interpretazione di un testo letterario è fraintenderlo, e nessuna può dunque pretendere di essere l’unica giusta. Teoria che ha generato un pericoloso arbitrio nella lettura dei testi.
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Anzitutto: non dispiacerebbe un atteggiamento un po’ più appuntito contro Vance, intraprendente e spavaldo underdog venuto dall’Ohio, non privo di talento ma negazionista delle elezioni del 2020 (fosse stato lui vicepresidente non le avrebbe ratificate!), favorevole all’assalto a Capitol Hill, ammiratore di Orban e sensibile alla famigerata espressione “sostituzione etnica”, di cui bisognerebbe vergognarsi. Davvero dobbiamo ricevere – in nome del pluralismo ermeneutico – lezioni di democrazia e di etica pubblica da costui (che, tra l’altro, nello scontro nello Studio ovale ha accusato Zelensky di ingratitudine verso Trump, mentre ne era aggredito)? Possibile che non ci venga in mente una reazione anche solo di orgoglio patriottico e invece mettiamo per un momento Vance (che ha mostrato evidenti pulsioni golpiste) sullo stesso piano dei politici europei da lui attaccati? Certo, uguaglianza, libertà, democrazia – i valori dell’illuminismo (rielaborati a partire dal cristianesimo e dall’antichità classica), della rivoluzione francese e di quella americana – sono variamente interpretabili, ma non ad oltranza.
Il punto è – come bene osserva Ricolfi – che ogni valore incontra un limite. Ecco: la nostra è l’unica civiltà mai esistita sulla faccia della Terra a non aver elaborato un senso del limite. Un’attitudine che nasce probabilmente dall’economia moderna (capitalistica), dove si immagina una crescita appunto illimitata, dunque contro natura, dal momento che nella natura tutto ciò che nasce, cresce e si sviluppa, a un certo punto incontra un limite, finisce. Anche Nietzsche ci ricorda il limite: nella Nascita della tragedia – uno dei suoi libri più affascinanti – ci insegna che il dionisiaco, l’eccentricità informe e tumultuosa della vita, deve essere corretta dall’apollineo, ovvero dall’ordine, dalla logica. La vita incontra un limite: la razionalità. Ma la civiltà moderna ha smarrito qualsiasi senso del limite, è andata – con un atto di hybris – oltre le colonne d’Ercole come l’Ulisse dantesco, esponendosi alla nemesi, all’ira degli dei. Ne parlava vent’anni fa il filosofo Remo Bodei: la modernità ha trovato nella scienza e nella tecnica (l’efficiente triremi di Ulisse!) la possibilità (o meglio l’ illusione) di superare qualsiasi limite.
Come ho già detto in queste pagine l’idea greca di limite – di misura, di proporzione, di equilibrio – è al centro del “pensiero meridiano” di Albert Camus, un’idea fraintesa e ingiustamente avversata dall’estremismo politico degli anni 70 in quanto ritenuta “moderata”. Ma negli anni 80 un grande intellettuale e leader politico come Vittorio Foa, legato alla nuova sinistra e ai movimenti che scuotevano la società, insisteva proprio sul concetto di limite, che la cultura progressista avrebbe dovuto recuperare. E allora: il politeismo dei valori non significa che li possiamo interpretare come vogliamo e qualsiasi interpretazione è legittima. Chiunque li enunci, e li rivendichi, deve essere se non coerente (la coerenza assoluta è umanamente impossibile) quantomeno credibile.
Oggi i potenti della Terra, Putin e Trump in testa, hanno smarrito qualsiasi limite: vogliono annettersi intere regioni, rompono accordi, violano il diritto internazionale, escono a piacimento da organismi multilaterali, riconoscono solo la forza e il denaro, alcuni di loro aspirano all’immortalità – il sogno fallito di Gilgamesh, mitico eroe babilonese – per quanto si tratti di una ferrigna immortalità da cyborg. Personalmente non gli riconosco alcuna autorevolezza o credibilità nell’interpretare i valori occidentali, fondati invece su un saggio senso del limite e della tolleranza (Erasmo, Montaigne, Spinoza, Voltaire…), su una visione tragica ma non arrendevole della realtà, sulla accettazione dell’altro, sul rispetto verso tutto ciò che si mostra debole. Né li metterei sullo stesso piano degli attuali leader politici europei, spesso contraddittori, confusi, incerti, etc, ma comunque legati saldamente – almeno finora – a una tradizione liberaldemocratica.