La portavoce di Sea-Watch

Intervista a Giorgia Linardi: “Vittime di Almasri tradite dal governo, è razzismo istituzionale”

«Gli accordi con la Turchia, con la Libia e poi con la Tunisia hanno reso la migrazione uno strumento di pressione e di ricatto. Queste politiche sono il vero “pull factor” per la gestione criminale dei flussi da parte dei signori della guerra con cui evidentemente siamo scesi a patti»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

13 Febbraio 2025 alle 07:25 - Ultimo agg. 13 Febbraio 2025 alle 13:10

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Photo credits: Alessia Mastropietro/Imagoeconomica
Photo credits: Alessia Mastropietro/Imagoeconomica

Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch. Cosa racconta per una delle Ong tra le più impegnate in attività di soccorso in mare nel Mediterraneo Centrale e di denuncia di violazioni dei diritti umani in tale contesto, la vicenda Almasri?
Una grande opportunità persa, volutamente, per fare luce rispetto alle dinamiche di abuso nelle tratte di esseri umani in Libia e di fare giustizia nei confronti delle vittime che sono passate per le mani di questa persona, coloro che non ci sono più ma anche coloro che sono vive, alcune delle quali sono tra noi, in Italia. Le abbiamo sentite esprimersi e denunciare la propria delusione rispetto al fatto che queste persone si sono rese conto che in Italia, un Paese civile e democratico, di fatto non potranno trovare giustizia anche a fronte di crimini gravissimi. Ricordiamo che i crimini di cui è accusato Almasri, si qualificano tra due delle categorie più gravi previste dello Statuto di Roma.

Vale a dire?
Crimini di guerra e crimini contro l’umanità, con dieci fattispecie di crimini di questo tipo, tra cui persecuzione, tortura, stupro, violenza sessuale, omicidio plurimo, imprigionamento arbitrario, lesione alla dignità personale…Stiamo parlando di un mostro, di un boia, e questo emerge dalle indagini della Corte penale internazionale, che non sono iniziate ieri, perché per l’emissione di un mandato di arresto internazionale occorre avere prove più che solide. Inoltre, c’è stato il lungo e ponderoso lavoro fatto dalla Commissione d’inchiesta sulla Libia dell’Alto commissariato per i diritti umani, dove figura il nome di Almasri; i sopravvissuti che hanno contribuito alle indagini della CPI. Tutto questo per poi vedersi del tutto traditi da un Governo che ha riaccompagnato a casa questo criminale con un volo di Stato pagato con le tasse dei contribuenti. Se non vogliamo credere alla Corte penale internazionale, dovremmo almeno credere alle storie di detenzione e tortura dei sopravvissuti. Persone che attendevano giustizia dopo aver sofferto nelle mani di questo mostro. Mi lasci aggiungere che tra i tanti paradossi in questa brutta vicenda ce n’è uno che andrebbe evidenziato più di quanto è stato fatto…

Quale?
Mettiamola così: scusate, ma se le carceri italiane non sono buone per trattenervi quelli che lo stesso Governo, con le parole del ministro dell’Interno Piantedosi, ha definito un soggetto pericolosissimo; se le nostre carceri non sono in grado di trattenervi soggetti pericolosissimi, allora c’è da chiedersi: vanno solo bene per i poveri e per chi commette delitti minori spesso dettati da disperazione, e per i migranti che per scappare dalle mani di Almasri possono essere detenuti con pene fino a trent’anni? Perché di questo si tratta quando parliamo delle pene nei confronti dei cosiddetti scafisti. Tra questi scafisti, verosimilmente ci sono persone che sono passate, sopravvissute, dalle mani di Almasri e che si sono trovate ad attraversare il mare per sfuggire da quelle torture. Ecco, noi di fatto abbiamo rimesso questo soggetto nelle condizioni di poter delinquere ancora, di poter compiere le stesse atrocità di cui è accusato, attività che verosimilmente ha ripreso già da qualche settimana. Viene da chiedersi a quanto si sia disposti a rinunciare, in termini di dignità, pur di trattenere a tutti i costi persone migranti dall’altro lato del Mediterraneo, e questo, parliamoci chiaro, pur di tutelare anche altri interessi che nulla hanno a che fare con la migrazione ma che riguardano lo sfruttamento delle risorse energetiche e interessi di tipo economico con la Libia.

Per giustificare il comportamento del Governo, c’è chi, il riferimento a Bruno Vespa e ai suoi “5 Minuti” è tutt’altro che casuale, ha sostenuto, prendendosela con le anime belle, di cui Sea-Watch è parte, di far finta di non sapere che per salvaguardare la sicurezza nazionale un Paese che si rispetti deve scendere a patti, o comunque fare i conti, anche con brutti ceffi come Almasri. E una stampa mainstream si è spinta a usare strumentalmente un rapporto del Copasir per affermare che 700mila migranti in Libia sono pronti a “invaderci”.
Siamo alle solite. Intanto va detto che ci sono diversi elementi che non tornano. Tirare fuori di nuovo il grido all’invasione, è un escamotage che può servire, lo chiedo, a giustificare il fatto di riportare in Libia un soggetto che pur di controllare il flusso di persone, è disposto a compiere atti qualificati come crimini di guerra e contro l’umanità? È anche vero che nelle ore in cui Almasri è stato trattenuto, si è verificato un aumento degli arrivi in Italia. Questo, però, è un dato che ci dice come noi ci siamo messi nella condizione di far sì che la migrazione venga usata come strumento di pressione nelle relazioni internazionali. Questo vale molto per l’Italia. L’abbiamo visto anche con la Tunisia, nel 2023, quando l’accordo con l’Unione Europea stava scricchiolando ed era stato criticato dal Parlamento, ecco che in pochi giorni a settembre sono arrivate migliaia di persone a Lampedusa, letteralmente riversate in mare con la connivenza delle autorità tunisine. Siamo di fronte ad una gestione dei rapporti, a partire dall’accordo con la Turchia del marzo 2016 e da lì a proseguire con quello del febbraio 2017 con la Libia, e poi quello del luglio 2023 con la Tunisia e gli altri che stiamo andando a concludere, che fanno sì che la migrazione venga utilizzata come strumento di pressione e di ricatto. È uno strumento che questo tipo di politiche mettono in mano a chi dall’altra sponda del Mediterraneo se ne approfitta. Questo dato dovrebbe farci riflettere. Quanto al grido all’invasione, lascia il tempo che trova. D’invasione non si può parlare, i numeri non ci sono. Ci sono argomenti che vengono fuori come funghi in questi momenti…

Ad esempio?
Il pull factor” nei confronti delle Ong. Sono le politiche che stiamo perseguendo, di cui la liberazione di Almasri è parte, a rappresentare il vero fattore di attrazione per la gestione criminale della migrazione da parte di questi signori della guerra e criminali internazionali con i quali è ormai evidente che noi siamo scesi a patti.

C’è una parola terribile che si sta sempre più trasformando in atti conseguenti. Quella parola è deportazione. La usa Trump quando fa postare sul sito della Casa Bianca le foto dei migranti illegali incatenati e deportati a Guantanamo, o la evoca quando fa riferimento alla Striscia di Gaza senza più palestinesi. Ma deportazioni sono anche quelle di migranti trasferiti dalla polizia tunisina nel deserto o quelli deportati nei lager libici.
Purtroppo, è così. Tra l’altro, è appena uscito un rapporto in merito da parte di un gruppo di ricercatori che hanno deciso di restare anonimi per ovvie ragioni. Il rapporto s’intitola “State Trafficking”, la Tratta di Stato, che parla proprio delle dinamiche di deportazione e vendita di persone dalla Tunisia alla Libia, sulla base di trenta testimonianze raccolte e di studi effettuati con la collaborazione di esperti forensi e geografi, che danno conto, documentandola, di una prassi che si è stabilita.
Una prassi che deve essere vista in collegamento con gli accordi con l’altra parte del Mediterraneo. Quello che è accaduto dopo gli accordi tra l’Italia e la Libia, è che dal momento che le persone vengono catturate in mare dai libici e riportate indietro – e quindi riassorbite in questo ciclo letale di detenzione, abusi, torture, che nella migliore delle ipotesi le rivede in pericolo in mare, perché poi quella è spesso l’unica strada – a seguito quindi dell’aumento dell’intercettazione, della cattura delle persone in mare e del loro respingimento in Libia, quello che abbiamo visto è stato un parziale spostamento della rotta, per cui le persone hanno provato ad attraversare il mare partendo dalla Tunisia.

In che modo?
Attraversando il confine desertico tra la Libia e la Tunisia e tentando poi la traversata dalla Tunisia. Da lì la reazione internazionale, dell’Europa, dell’Italia, è stata utilizzare lo stesso, identico approccio, cioè chiudere un accordo simile con la Tunisia, quello del luglio 2023, che supporta le autorità tunisine per effettuare le stesse operazioni di cattura, spesso violenta, e respingimenti. A seguito di tali accordi, si sono andate sviluppando queste prassi per cui le persone vengono deportate nel deserto e da lì rivendute in Libia. È molto importante guardare a queste dinamiche in collegamento e talvolta in conseguenza delle politiche e degli accordi internazionali.

Ritorno sulle anime belle…
Sono le parole di Vespa e non del Governo che invece ha sostenuto che per difendere la sicurezza nazionale è stato importante espellere dal nostro Paese un soggetto pericoloso, cosicché possa essere rimesso nelle condizioni di commettere esattamente i crimini di cui è accusato. Ognuno ha il proprio ruolo. Noi siamo Organizzazioni non governative, rappresentiamo la società civile che cerca di far sì che i diritti delle persone che arrivano in Italia, spesso in seguito delle torture messe in atto da soggetti come Almasri, possono essere viste, avere uno spazio di rappresentanza e di parola e soprattutto possano trovare giustizia. Al netto delle affermazioni di Vespa e del Governo per giustificare quello che oggettivamente è un atto ingiustificabile, rispetto al quale è stato anche aperto un fascicolo alla Corte penale internazionale, che il Governo ha negato e che la CPI ha invece ribadito che esiste, quello di cui noi ci preoccupiamo unicamente è il fatto, insisto su questo, che le persone coinvolte, le persone sopravvissute, nel nostro Paese ad oggi non possano trovare giustizia. E questa è una cosa gravissima, che non riguarda solo quei soggetti ma investe tutti noi. Se in un Paese come il nostro, persone che sono state vittime dei più gravi, scellerati, atroci crimini, riconosciuti dallo statuto della Corte penale internazionale, a cui l’Italia aderisce, quali crimini di guerra e contro l’umanità, non possono trovare giustizia, allora c’è da chiedersi cos’è la giustizia nel nostro Paese, che valori hanno in Italia i diritti umani. E dovrebbe anche farci riflettere su un problema enorme di razzismo strutturale, istituzionale, per cui di fatto questi soggetti vengono catalogati come soggetti di serie B per quello che riguarda la possibilità di adire alla giustizia rispetto a lesioni gravissime dei loro diritti fondamentali. Per noi è una questione di giustizia nei confronti delle vittime di Almasri ma che assume una portata più grande che ci riguarda tutti, perché parla della dignità e del tenore morale di questo Paese, dell’Italia.

13 Febbraio 2025

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