La conferenza stampa
Meloni “l’amerikana”: la premier difende a spada tratta Musk e giura fedeltà agli Usa di Trump
Per Meloni il milionario è solo “uno che esprime le sue opinioni” ma dà conferma indiretta che gli appalterà la nostra rete. Poi assicura che Donald non invaderà la Groenlandia e annuncia che sarà al suo giuramento
Politica - di David Romoli
In tre ore di conferenza stampa o giù di lì Giorgia Meloni ha detto pochissimo e quel poco era o già stato detto o del tutto prevedibile. La premier, si sa, non apprezza le conferenze stampa, si sente troppo esposta, si fida di se stessa fino a un certo punto.
Quindi si è presentata al fluviale appuntamento di inizio anno rivestita di corazza a prova di domande. Non che i cronisti la abbiano incalzata davvero peraltro: basti dire che non c’è stata una sola domanda sull’uccisione di Ramy in un folle inseguimento dei carabinieri o su una congiuntura economica che per il 2025 non prevede raggi di sole. L’unica domanda davvero spiazzante è stata: “Lei calpesta le formiche”. La premier è rimasta a bocca aperta, ma la questione non era di quelle che possano imbarazzare un politico (per la cronaca, comunque, evita la strage ma solo quando si accorge delle formiche stesse).
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Non concede nulla più dell’ovvio su Cecilia Sala: “È stata l’emozione più forte in questi due anni. Ma non è un lavoro che ho fatto da sola”. Segue la lunga lista dei ringraziamenti, più o meno meritati. Bocca cucita sulla sorte del detenuto iraniano Abedini: “C’è di mezzo l’attività dei servizi”, non se ne parla. Eloquente quando le chiedono se sia alle viste un rimpasto con lo spostamento di Salvini agli Interni: “Sarebbe un ottimo ministro ma lo è anche Piantedosi, dunque la questione non è all’odg. Comunque siamo già al 7° posto nella classifica dei governi più longevi e corriamo per scalare ulteriori posizioni”. Correrà di nuovo per la premiership: “Non sono abbarbicata alla poltrona ma se posso essere utile cerco di esserlo”. È un sì anche se diplomatico.
Sul premierato fa capire che il referendum slitterà alla prossima legislatura: perché “ci sono i tempi del Parlamento” ed è una bugia. Di amnistia o indulto non se ne parla, papa o non papa che comunque “era rivolto ai governi di tutto il mondo, non al nostro Paese”. Di ius scholae nemmeno: “Abbiamo già un’ottima legge sulla cittadinanza” e così, dopo Salvini, anche Tajani finisce rimesso al suo posto. Conferma che il terzo mandato per i governatori è fuori discussione, “Non l’abbiamo previsto neppure per il premier eletto direttamente”, e si sapeva. Il passo successivo, una parola chiara sul candidato nel Veneto, però è proibito. È la mina più esplosiva che ci sia per la maggioranza perché FdI reclama quella candidatura e la Lega non ha alcuna intenzione di mollarla. Quindi non se ne parla: “Vedremo”.
Forse una sola questione, per un attimo, costringe la premier a rannuvolarsi, quando le chiedono se fosse al corrente del fatto che i soldi per comprare la storica sezione del Msi di Acca Larentia li ha messi la Fondazione Alleanza Nazionale, cioè FdI. No, non ne sapeva niente però “leggo che era stata messa all’asta dall’Inail e sono contenta che non sia diventata un fast food”. Più di questo non può dire ma si vede che le piacerebbe poterlo fare. La decisione di trincerarsi ha il suo prezzo, si paga in noia. La raffica di domande e non risposte, per quanto la premier tagli i tempi con uno stile telegrafico, è persino più soporifera delle leggendarie performances di Berlusconi in circostanze analoghe. Ucraina? “Sono disposta a sostenere tutte le opzioni che sostiene anche Kiev”. La via crucis del protocollo con l’Albania: “Le sentenze della Cassazione danno ragione al governo ma alcuni giudici non tengono conto di quella sentenza e questo sì che è preoccupante”. Ma niente paura: “Dalle interlocuzioni con i miei colleghi direi che la maggior parte dei Paesi europei sosterrà le nostre posizioni di fronte alla Corte di giustizia europea”.
La premier non si limita a essere evasiva nella sostanza. Si tiene a freno anche nella forma, evita ogni accento troppo polemico, tranne che quando replica all’introduzione del presidente dell’Ordine dei giornalisti a muso bruttissimo: “Non ritengo di dovermi difendere da chi mi considera un possibile pericolo per la libertà di stampa o la democrazia” . Per il resto si scalda e graffia solo quando le toccano la sorella Arianna. “Mi stupisce che le vengano addebitate moltissime cose che neppure segue. Una falsità può essere una svista, tre o quattro diventano una strategia”, oppure l’amico Elon. Quello per la verità lo toccano in moltissimi. Metà delle domande o quasi chiamano in causa Musk e Giorgia, in quei casi, sfodera la grinta: “Esprimere le proprie posizioni non è un’ingerenza. Quello capita quando si finanziano i partiti come fa Soros ma lì nessuno ha niente da dire. Di persone facoltose che esprimono le loro opinioni ne ho sentite molte, di solito contro di me, e nessuno si scandalizza”.
Certo c’è di mezzo Starlink: “Siamo in fase istruttoria e con Musk direttamente non ne ho mai parlato. Valuto solo con la lente dell’interesse nazionale e abbiamo interlocuzioni con decine di aziende: finita l’istruttoria si passa alle sedi competenti, dal Consiglio di Difesa al Parlamento”. Peccato che di alternative pubbliche non ce ne siano, come segnala la stessa premier: “L’alternativa è tra Starlink e non avere proprio protezione nelle telecomunicazioni: due scenari nessuno dei quali ottimale”. È così ma nella foga con la quale la premier difende il tycoon ogni volta che un cronista prova a prenderlo di mira, nei toni fioriti che adopera quando si arriva a Trump, con tanto di auspicio di poter presenziare al suo insediamento come sino al giorno prima intendeva evitare, c’è qualcosa di più di una semplice necessità dettata dal mercato, anzi dall’assenza di prodotti competitivi sul mercato.
La premier intravede possibilità immense nel rapporto con la coppia vincente Trump-Musk, un’occasione che va molto oltre i vantaggi che già le garantiva la benevolenza di Joe Biden. Nulla di definito. Trump si deve ancora insediare, i veri giochi non sono neppure iniziati, per ora la leader della destra italiana sta ancora cercando di prendere le misure. Ma una cosa sembra aver già chiaro in mente: più stretti saranno i rapporti sia politici che economici con i diarchi di Washington meglio sarà per lei.