La vera minaccia

Altro che SpaceX e Belloni, la vera minaccia per Meloni è Zaia e il Veneto

Su un accordo con Space X Meloni ha già il via libera dell’Europa. Domani il cdm indicherà il nuovo direttore del Dis (probabilmente il generale Cinque). La vera minaccia per il centrodestra si chiama Zaia...

Politica - di David Romoli

8 Gennaio 2025 alle 14:30

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Photo by Roberto Monaldo / LaPresse
Photo by Roberto Monaldo / LaPresse

La premier non rischia davvero sul progetto Starlink. Potrà contare, ancora una volta, sul sostegno di quella Ue che considerava fino a pochi anni fa nemica giurata e che è diventata poi la sua più preziosa alleata e una nemesi per il centrosinistra da sempre europeista. L’opposizione fa rullare i tamburi di guerra e continuerà a farlo con ottimi argomenti: l’idea di mettere i dati sensibili dei cittadini, le comunicazioni istituzionali e la sicurezza militare nelle mani di un tycoon che non nasconde l’ambizione di indirizzare la politica dell’intero occidente è da brividi.

Oggi il governo dovrà risponderne nell’aula di Montecitorio durante il question time ma non faticherà a svicolare nascondendosi dietro l’obbligo di contattare l’intero settore alla ricerca della situazione più conveniente. Ma difficilmente la vasta platea elettorale insorgerà e l’opposizione dovrà fare i conti con il semaforo verde europeo puntualmente arrivato ieri. “Un eventuale accordo tra l’Italia e Space X sarebbe compatibile con il progetto europeo Iris2”, ha segnalato infatti il portavoce della Commissione. Iris2, il sistema di telecomunicazioni europeo, è un progetto dell’Unione che sarà applicato in tutta l’Unione ma “l’Italia, in quanto Stato sovrano, ha il pieno potere discrezionale di procedere con decisioni e azioni sovrane”. Dati i tempi di realizzazione di Iris2, la premier, se vorrà farlo come è probabile, avrà gioco facile nel dichiarare che quello Space X per Starlink sarà un contratto a termine di cinque anni, dopo di che si passerà a Iris2. Sempre che il progetto europeo decolli davvero nonostante la concorrenza di Musk, che parte con un immenso vantaggio tecnologico e il cui sistema potrebbe essere adottato, in Europa, dall’Italia ma non solo dall’Italia.

La premier non si preoccupa neppure troppo del caso Belloni. Domani il cdm indicherà il suo successore alla guida del Dis e sarà probabilmente il generale Cinque, che Mantovano avrebbe già voluto al comando dei Carabinieri ma che fu silurato dal veto del ministro della Difesa Crosetto. Del resto l’assoluta nonchalance con la quale il governo ha incassato le dimissioni dell’ambasciatrice, datate 22 dicembre, letteralmente come se nulla fosse, dice tutto su quanto poco il clamoroso addio impensierisca la squadra di palazzo Chigi: la premier e il sottosegretario Mantovano i cui contrasti con Elisabetta Belloni sono in buona parte all’origine delle dimissioni. Certo, la figura agghiacciante fatta sia dalla politica che dall’intelligence nei primi giorni del caso Sala, concausa determinante nell’addio della direttrice del Dis, fanno poco onore al governo. Ma se grazie al viaggio a sorpresa di Giorgia in Florida la spinosa faccenda sarà risolta in tempi credibili, e palazzo Chigi è convinto di potercela fare tra il 15 e il 19 gennaio, tutto sarà dimenticato e anzi la premier uscirà dalla vicenda incoronata d’alloro.

In realtà tra le vicende di questi giorni quella che rappresenta la minaccia più grave per il governo è la meno clamorosa e quella meno strillata dai media: la decisione di impugnare la legge elettorale Campana varata dal governatore De Luca per poter ignorare il tetto dei due mandati e candidarsi per la terza volta. Non che alla premier faccia piacere dare una mano a Elly Schlein, che con quella legge sarebbe senza speranza in Campania. È costretta a bloccare De Luca per impedire che Zaia segua le sue orme in Veneto varando una legge identica in modo da potersi candidare, nel suo caso non solo per la terza ma addirittura per la quarta volta. Giorgia non ne fa una questione di principio o di rispetto rigoroso delle regole. È solo che vuole che il prossimo governatore del Veneto sia targato FdI e con il popolarissimo Zaia in grado di competere non avrebbe speranza alcuna di soffiargli la candidatura.

Qui però il rischio c’è tutto ed è elevatissimo. Non è affatto detto che Zaia, come del resto lo stesso De Luca, si rassegni. Nessuno dei due vicerè avrebbe difficoltà nell’indicare e sostenere un candidato di paglia sul quale far convergere i voti. Per la Lega sarebbe un problema enorme, perché sarebbe costretta o a spaccare la destra allineandosi alla strategia di Zaia oppure schierarsi, almeno ufficialmente, contro di lui ritrovandosi con una percentuale ridotta all’osso perché in Veneto i leghisti votano per Zaia, o per il candidato di Zaia, più che per la stessa Lega.

Se il governatore accetterà il verdetto e si arrenderà il guaio sarà anche più grosso. Per Salvini accettare un candidato della destra non leghista sarebbe una sconfitta di portata inaudita e forse fatale per la sua leadership. La premier, dopo essersi sbarazzata di Zaia, non potrebbe in alcun caso accettare di rinunciare al Veneto, anche perché FdI è l’unico partito della destra che, pur essendo di gran lunga il più forte, non governa nessuna Regione del nord. Il rischio di arrivare alle urne divisi sarebbe quindi concreto e quella è forse la sola cosa che il centrodestra non può permettersi.

8 Gennaio 2025

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