Gli slogan da bar sui migranti
Cos’è lo Ius Scholae e perché va approvato: Italia già multietnica e multiculturale, ma c’è tanta strada da fare
Non è più possibile ignorare un tema cruciale dal quale passa la visione di un Paese nei fatti già multietnico e multiculturale, ma con ancora tanta strada da fare sul tema dell’inclusività e dell’uguaglianza
Editoriali - di Mariolina Castellone
L’immigrazione è un fenomeno antico quanto l’umanità che oggi viene amplificato dai conflitti, dallo sconvolgimento climatico e dalle crisi economiche che stanno attraversando il nostro tempo. Del resto, l’incremento degli sbarchi – triplicati sotto l’attuale Governo – dimostra inequivocabilmente che il problema è destinato a persistere, oltre che a intensificarsi, nei prossimi decenni. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) stima infatti che il solo numero dei migranti climatici supererà i duecento milioni entro il 2050. Atteso, dunque, che ogni semplicistica ricetta di soluzione non ha alcuna probabilità di successo, è auspicabile un serio dibattito che veda coinvolte tutte le forze politiche. Un dibattito, sia a livello europeo che nazionale, che provi a governarlo questo fenomeno, e non a fermarlo. L’esecutivo Meloni ha affrontato invece questa questione con approcci che vanno dalla retorica alla pratica sconclusionata.
Come con i due centri per il rimpatrio previsti in Albania i quali ci costeranno 600 milioni di euro e potranno ospitare poche migliaia di persone, non riuscendo ad andare oltre gli slogan e i titoli sensazionalistici. Perché essendo ormai chiaro che la strada dei rimpatri coatti di massa è impraticabile, allora bisogna chiedersi come concretamente – e anche utilmente – accogliere e integrare chi sbarca sulle nostre coste alla ricerca di una vita e di un futuro migliori di quelli che gli sarebbero toccati nel paese da cui con grandi rischi e sacrifici è partito. Prima come medico che ha prestato servizio anche in un ambulatorio dove si accoglievano immigrati irregolari, e adesso come senatrice e vice presidente del Senato, ho avuto il privilegio di conoscere le storie drammatiche di centinaia di persone che hanno sfidato la morte pur di raggiungere il territorio europeo.
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Storie che sono state per me una lezione di vita impossibile da dimenticare. Chi infatti lascia la propria terra intraprendendo viaggi ai limiti delle possibilità di sopravvivenza, oppure fa salire un figlio su una delle tante carrette del mare che ogni notte solcano il Mediterraneo, lo fa perché non ha altra scelta e trattare queste persone disperate come dei criminali o comunque come un pericolo per la nostra società, non solo è disumano, ma rappresenta una forma ottusa di negazione della realtà. La gestione dell’immigrazione richiede però un cambiamento di paradigma: passare dalla reazione alle emergenze a una visione comunitaria strategica che contempli la solidarietà europea e l’implementazione di politiche di integrazione efficaci. Imprescindibile è un approccio al problema che passi per la revisione del trattato di Dublino, che attualmente impone principalmente ai Paesi di primo approdo l’onere dell’accoglienza. Solo attraverso una redistribuzione obbligatoria dei migranti tra tutti gli Stati membri dell’Unione Europea possiamo sperare di ottenere una gestione equa e sostenibile del fenomeno migratorio.
Un tentativo in tal senso venne portato avanti a Bruxelles durante il governo Conte 2. Tentativo arenatosi prima per l’improvvisa caduta di quel Governo, e poi per il progressivo affermarsi in molte nazioni dell’Ue di partiti a forte vocazione conservatrice e nazionalistica. Dopo di allora, niente più di serio è stato fatto, al netto dei vari trionfalistici annunci periodicamente sbandierati da leader o capi di Stato in cerca di titoli compiacenti sui giornali o in televisione. Ed eccoci, quindi, ad ogni emergenza sbarchi o ennesima tragedia annunciata, ad assistere alle solite zuffe tra Paesi di quella che dovrebbe essere la grande famiglia europea, ma nella quale invece si sta l’un contro l’altro armati. Il Movimento 5 Stelle, fin dalla sua nascita, ha fatto suoi e inserito nel proprio statuto quei principi di antirazzismo e antifascismo che sono i pilastri della nostra Costituzione. Il nostro impegno in questa direzione è tangibile nella proposta di un salario minimo legale che protegga anche i lavoratori migranti, che spesso sono proprio i più sfruttati e vulnerabili.
Le recenti tragedie, come quella del bracciante indiano Satnam Singh morto perchè non gli è stato prestato alcun soccorso dopo un grave infortunio, o come quella avvenuta solo pochi giorni fa a Latina dove è morto per il caldo un altro bracciante indiano di 54 anni, così come i tanti incidenti nei cantieri, evidenziano l’urgenza di riformare le politiche del lavoro per garantire condizioni dignitose e sicure per tutti, inclusi gli immigrati. Immigrati che ad oggi costituiscono una forza lavoro indispensabile per la nostra società e per la tenuta economia del Paese, come certificato dai dati del Documento di Economia e Finanza (Def) che, vista la composizione demografica degli immigrati che entrano in Italia, evidenzia un impatto particolarmente rilevante e significativo sia sulla percentuale della popolazione residente in età lavorativa, che sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. Per questo è assolutamente indispensabile investire in una seria riforma delle politiche attive del lavoro, che sono un prerequisito fondamentale per la piena integrazione degli immigrati che arrivano in Italia.
Sempre in tema di immigrazione, un discorso a parte va fatto sui minori che vivono nel nostro Paese senza cittadinanza. Chiunque abbia un figlio in età scolare sa che quasi in ogni classe c’è almeno un ragazzo che, pur essendo nato e cresciuto in Italia da genitori stranieri, non ha però gli stessi diritti dei suoi compagni. Questo perché il nostro ordinamento giuridico lo considera inspiegabilmente uno “straniero”. La politica ha il dovere di affrontare questo tema in modo responsabile, perché da qui passa la tutela dei diritti fondamentali delle persone; tenendo a bada reazioni emotive o pregiudiziali ideologiche, e soprattutto mettendo al bando assurde posizioni a sfondo razzista, come quelle emerse dopo i successi di alcuni nostri atleti alle recenti Olimpiadi. E le strade per fare ciò sono due: ius soli o ius scholae.
La prima prevede, come per esempio succede negli Stati Uniti, la concessione della cittadinanza per tutti coloro che nascono nel nostro Paese da genitori immigrati e, a mio avviso, presenta sicuramente non pochi vantaggi. Certamente, infatti, in tal modo si potrebbe arginare la crisi demografica che da oltre un ventennio affligge l’Italia, con tutti i benefici che ciò porterebbe in termini di futura crescita economica, nonché di sostenibilità del sistema sanitario e previdenziale. Il rischio intrinseco a questa soluzione è però quello di creare una generazione di italiani di serie B, cioè di giovani che sulla carta sono a tutti gli effetti cittadini italiani ma per i quali non è garantito un reale e convinto percorso di integrazione. Cosa che alimenterebbe nuove forme di esclusione, e quindi di razzismo, come insegna il caso delle banlieue francesi. La seconda strada, ovvero quella dello ius scholae, ha registrato nei giorni scorsi un’inaspettata apertura anche da parte di esponenti del centro-destra; cosa che sta creando non poche fibrillazioni all’attuale maggioranza di governo.
In un suo recente intervento sulla stampa, il nostro presidente Giuseppe Conte ha evidenziato come lo ius scholae, che permette di acquisire la cittadinanza a quei bambini nati o arrivati in Italia entro i 12 anni di età i quali completano un ciclo di studi nelle scuole italiane, potrebbe esso sì garantire una maggiore e reale integrazione culturale e sociale. La proposta, che il Movimento 5 Stelle ha presentato già nella scorsa legislatura e che alla ripresa delle attività parlamentari proverà a fare inserire nell’agenda politica, trova il mio pieno e convinto sostegno. E’ infatti nelle aule, a contatto con i loro coetanei, studiando le pagine più importanti della nostra Storia, quelle più belle della nostra Letteratura che è davvero possibile creare una nuova generazione di cittadini italiani figli di chi proviene da altri Paesi.
È tra le mura spesso sgangherate delle nostre scuole, tra le mani dei nostri straordinari insegnanti (veri e propri eroi colpevolmente dimenticati), che chi in casa continua a respirare una cultura diversa dalla nostra può, nel rispetto della propria identità, cominciare a sentirsi davvero parte della nostra società e interiorizzare i principi, le regole, la lingua e, perché no, anche i valori che ci fanno orgogliosamente italiani. Questa è la strada. Questa la rotta che insieme ai parlamentari del Movimento con tutte le mie forze proverò a tracciare. Perché non è più possibile ignorare un tema così cruciale e dal quale passa necessariamente la visione di un Paese che nei fatti è già multietnico e multiculturale, ma che ha ancora tanta strada da fare sul tema dell’inclusività e dell’uguaglianza, perché troppo ampi sono i divari sociali che precludono a tante persone il pieno godimento dei diritti fondamentali della persona.
È tempo di abbandonare gli slogan e le soluzioni “da bar” talmente bislacche che spesso mi fanno vergognare della qualità raggiunta dal dibattito politico nazionale, per concentrarsi invece su politiche che promuovano davvero l’inclusione e il rispetto della dignità delle persone. Abbiamo l’occasione storica di trasformare una crisi, quella migratoria, nella grande opportunità di costruire una società più giusta, inclusiva e solidale. Lo dobbiamo agli italiani di oggi e soprattutto a quelli di domani. In caso contrario la Storia, come sempre fa, prima o poi ci presenterà il conto. E sarà per tutti molto salato.
* Vice Presidente del Senato della Repubblica