Il futuro della Siria
Spazio alle donne nel governo di Damasco: solo così si può sperare in una Siria davvero nuova
Si auspica sempre genericamente che ne vengano rispettati i diritti senza insistere affinché abbiano finalmente un ruolo istituzionale. L’appello di Eumans e No peace without justice
Esteri - di Marco Perduca
Le settimane frenetiche sul futuro della Siria sono diventate giorni e poi ore. Il mondo che stava per riavvicinarsi ad Assad d’un tratto s’è trovato spiazzato dalla vittoria dei “ribelli” e dalla débâcle russa.
L’offensiva a Gaza, l’indebolimento di Hezbollah e i bombardamenti israeliani in Iran avevano già fatto capire che Teheran non aveva più l’influenza di una volta e che i nuovi venti di guerra erano sempre più imprevedibili. Dalle Nazioni unite all’Unione europea, passando per G7, la Lega Araba e vari contatti bilaterali, è partita la gara a farsi avanti per la ricostruzione della Siria. Una ricostruzione che dopo 11 anni di conflitto armato interno avrà bisogno di case e infrastrutture ma che non potrà privare il popolo siriano dei diritti umani concultati da Assad padre e figlio per oltre 50 anni. Conflitto armato interno a parte, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani dal 2011 nelle carceri siriane sono morte più di 100.000 persone.
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In un contesto del genere può letteralmente accadere di tutto. Anche se per ora Abu Mohammed al-Jolani si presenta come un leader “pragmatico”, il suo passato e la frammentazione dei “ribelli” ancora non del tutto disarmati impone massima cautela. La Turchia si vanta d’esser stata fondamentale per il successo dei vari gruppi, magari grazie ai fondi del Qatar, mentre Onu, USA e Ue stanno procedendo con aperture ma coi piedi di piombo – dopotutto Hayat Tahrir al-Sham, il gruppo attualmente al potere, è considerato un’organizzazione “terroristica” dagli Occidentali. Occorre quindi che l’Europa partecipi attivamente a tutto ciò che può concorrere a creare le condizioni per cui la nuova Siria possa ri-costruirsi in un contesto radicalmente diverso da quanto vissuto negli ultimi 50 anni in cui le donne siano finalmente direttamente coinvolte a tutti i livelli.
L’inviato dell’Onu Geir Pedersen ha detto ad al-Jolani che la Siria deve vivere una transizione “credibile e inclusiva” confermando “l’intenzione delle Nazioni Unite di fornire tutta l’assistenza necessaria”. La parola “inclusione” viene evocata in relazione a gruppi etnici e comunità religiose e giustamente, visti gli attacchi turchi nel nord del paese contro i curdi e il rischio di discriminazioni contro le comunità sciite, ma per le donne si auspica sempre genericamente che ne vengano rispettati i diritti senza insistere affinché abbiano finalmente un ruolo istituzionale per il futuro.
La pace in Siria deve esser costruita applicando anche i più alti standard di giustizia: le massime responsabilità politiche per i crimini del passato meritano l’attivazione di una giurisdizione internazionale come quella della Corte penale dell’Aia, per gli anelli più “bassi” della catena di comando bahatista andrebbe ideato un sistema basato su commissioni di “verità e giustizia” per evitare vendette incrociate – e già che ci siamo La Sapienza dovrebbe ritirare il dottorato ad honorem in archeologia alla moglie di Assad 20 anni fa.
Per guardare al futuro della Siria, come Marco Pannella volle guardare all’Afghanistan post-talebani nel 2001, il Presidente di Eumans Marco Cappato e di No Peace Without Justice / Non c’è pace senza giustizia Tara O’Grady hanno lanciato un appello pubblico online per chiedere che la nuova Siria sia in linea con la legalità internazionale e i diritti umani prevedendo da subito la presenza di donne in ruoli ministeriali a livello di centrale e nelle amministrazioni locali. L’appello può essere firmato su Eumans.eu.