Parola al parlamentare dem

Intervista a Matteo Orfini: “Salari, sanità, pace: tutti sanno il Pd dov’è e per cosa si batte”

«Nel risultato delle regionali è stato fondamentale aver ricollocato il Partito democratico dentro una chiara visione politica», dice il deputato dem. «Questa destra è orribile, con la vittoria di Trump perde ogni freno. Ma noi siamo più avanti dell’America: da noi l’onda nera è arrivata prima e i cittadini iniziano a vedere i suoi danni»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

21 Novembre 2024 alle 15:00

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Photo credits: Alessandro Amoruso/Imagoeconomica
Photo credits: Alessandro Amoruso/Imagoeconomica

Matteo Orfini, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito Democratico: quale lettura dare, oltre la soddisfazione di parte, del voto in Emilia-Romagna e in Umbria, anche in proiezione nazionale?
Questo risultato ci dice due cose. La prima, è che questa destra si può battere. Io mi ero permesso di dirlo anche dopo la sconfitta in Liguria, dove era prevalsa in alcuni opinionisti la solita lettura catastrofista. La seconda cosa, è che il ruolo del Partito Democratico è, ormai oggettivamente, è quello di guida nella costruzione dell’alternativa. Il successo dipende molto, non tutto ovviamente perché da soli non possiamo farcela, dalla capacità e dalla forza del PD di rimettersi al centro dell’agenda politica italiana. I risultati di lista del PD sono impressionanti, nel senso che migliorano anche rispetto alle elezioni europee e tutto sommato, in una tornata elettorale ancora una volta segnata dal dramma dell’astensione, il Partito Democratico dimostra anche in termini di voti assoluti, di essere quello che tiene meglio, che riesce di più ad arginare il fenomeno dell’astensione, e questo avviene anche perché in questi mesi c’è stato un lavoro, un’attenzione, un tentativo di recuperare un rapporto con quelle parti del paese – le aree interne, i piccoli comuni etc – che soffrono maggiormente il disagio sociale tentando, con buoni risultati, non solo elettorali, di collocare lì il PD. E questo aiuta ad arginare un fenomeno che resta comunque preoccupante, del non voto.

L’ottimo risultato del PD copre solo in parte le difficoltà degli alleati, in particolare del Movimento 5Stelle.
Questi risultati dimostrano intanto che si tratta di vittorie collettive. C’è un grande risultato del Partito Democratico, dopodiché c’è stato un importante contributo di tutte le forze del centrosinistra. È chiaro che il Movimento5Stelle sta vivendo una fase delicata anche perché ha quello che per noi è l’equivalente di un congresso. E questo finisce per pesare. Pesa una discussione interna sul futuro e sul destino del M5S, che condiziona molto il loro dibattito e la loro capacità elettorale in queste settimane. Ritengo che sia importante che loro completino questa discussione, che guardiamo con attenzione e col dovuto rispetto della loro autonomia. Detto questo, penso che sia importante che non venga messa in discussione la loro collocazione nel centrosinistra, che è il vero elemento innovativo, fin qui, prodotto dalla leadership di Conte: il superamento dell’idea iniziale dei 5Stelle, il non collocarsi. Se la discussione in atto si dovesse concludere, come mi auguro, con la definitiva collocazione dei 5Stelle nel centrosinistra, sarebbe un fatto positivo. Secondo me, anche per il Movimento5Stelle.

Scompare il centro.
Anche qui: come viene impostata, è una discussione molto politicista. Cosa è oggi il centro? Io credo che ci siano istanze, pezzi di società, liberali, moderate, anche innovative, che chiedono che il paese sappia schierarsi con coraggio sulla trincea dell’innovazione come su altri temi della crescita e della modernizzazione. Penso che il PD non debba appaltare ad altri la rappresentanza di queste istanze. Sono davvero convinto che queste istanze siano pienamente compatibili con questo PD. Noi alle europee abbiamo dimostrato una grande capacità di intercettare anche quei voti, grazie alla forza di alcune candidature che hanno saputo interloquire con quei mondi: penso ai risultati di Bonaccini, di Gori, di Decaro, di Tinagli, ed altre ancora; candidature di alto profilo riformista che hanno saputo dimostrare capacità di interlocuzione e di saper attrarre quel tipo di voto. Cosa che è avvenuta anche in Umbria. La candidatura di Stefania Proietti è una candidatura che viene da un mondo cattolico impegnato, in prima linea nella vita politica italiana, e da una enorme capacità amministrativa che ha saputo dimostrare che è parte della nostra vittoria e del suo successo personale. Siamo perfettamente in grado di offrire una proposta complessiva al paese. Concordo pienamente con quanto ha detto Elly Schlein in questi giorni: in questo risultato, è stato fondamentale aver ricollocato il Partito Democratico con nettezza dentro una chiara visione politica. Oggi tutti sanno dov’è il PD, dove si colloca, cosa si vuol fare: un partito che vuole il salario minimo, che vuole la sanità pubblica, che considera la casa un diritto, che si batte per la pace. Questo è fondamentale. Dopodiché, dentro quella proposta politica, c’è anche l’attenzione a temi e mondi che hanno un loro protagonismo dentro il PD. Il che non significa minimamente sminuire l’importanza che in questi successi elettorali hanno avuto le forze più moderate che hanno scelto di essere parte attiva del campo del centrosinistra. Quando si vince per tre-quattro punti, è fondamentale quello che ognuno porta ed è la ragione per cui si è sempre lavorato per cercare di tenere unita, a livello territoriale, una coalizione la più larga possibile. Ha detto bene De Pascale, è inutile guardare più di tanto alle percentuali, conta il fatto che in Emilia-Romagna abbiamo saputo tenere insieme un’alleanza molto ampia, nella quale ognuno ha portato il proprio prezioso contributo.

Si vince e si perde in un mare di astensioni. Romano Prodi ha lanciato un accorato grido di allarme. Siamo di fronte ad una crisi di sistema?
Di certo siamo di fronte a un dato storico purtroppo consolidato e che peggiora sempre di più. L’astensione la commentiamo ormai da anni a ogni elezione e la vediamo drammaticamente aumentare. Risolverla è complicato. La mappa dell’astensione spesso coincide con quella della fatica sociale, del disagio sociale, dell’esclusione. Pezzi di società che esclusi dal circuito produttivo si autoescludono da quello della rappresentanza. Non credono più che le istituzioni possano o vogliano dare una risposta ai loro problemi e quindi esprimono con l’astensione, più o meno consapevolmente, un giudizio politico. O costruisci un lavoro non solo per rappresentare ma per coinvolgere quei pezzi di società in un progetto politico, altrimenti farai fatica a trovare una soluzione all’astensionismo. È la ragione per cui noi stiamo parlando di aree interne, piccoli comuni, stiamo affermando che c’è un enorme problema di lavoro povero in questo paese, per cui parliamo di sanità pubblica. Insomma, stiamo cercando di lavorare esattamente su quelle marginalità e su quelle esclusioni, e nello stesso tempo stiamo sfidando il governo su temi enormi che riguardano il sistema-paese.

Ad esempio?
Se ne parla poco in questi giorni, ma una vicenda enorme come è quella dell’automotive, è la dimostrazione della narrazione farlocca di questo governo e di una destra che dice di pensare agli operai e la “sinistra al caviale” no. È esattamente l’opposto. Siamo di fronte ad una crisi dell’automotive dirompente, che per reggere la transizione all’elettrico ha bisogno di un sostegno di serie politiche industriali, e il governo toglie miliardi dal fondo per la transizione che serve per garantire che quell’innovazione tecnologica, quella transizione che serve, non sia pagata dai lavoratori della filiera e dell’indotto. Di questo noi parliamo, di un paese che non vuole deindustrializzarsi, di un paese che vuole continuare ad essere produttivo, competitivo, nel quale ci sono filiere importanti. Un paese che ha bisogno vitale di politiche industriali. Su questo dobbiamo lanciare una sfida vera alla destra. È in questo modo che recuperi anche l’astensionismo, perché fai capire che hai un progetto complessivo. Adesso abbiamo di fronte qualche mese senza elezioni. Credo che sia l’occasione, per la segreteria del PD, per lavorare con ancor a più intensità a quel progetto attorno a cui costruire la coalizione, e a rendere stabile questo nuovo radicamento del Partito Democratico, anche ragionando su una revisione innovativa su come funziona un partito nel mondo di oggi.

Che destra è quella che su un tema così doloroso e di drammatica attualità, come la violenza sulle donne, chiama in causa l’immigrazione clandestina?
È una destra con evidenti pulsioni razziste. Non c’è altro modo di dirlo. Quando un ministro della repubblica, in un testo scritto, e non trovandosi d’improvviso davanti un microfono in strada, al lancio della Fondazione Cecchettin, con tutti i crismi istituzionali; in un’occasione del genere, dice quelle cose, è chiaro, brutalmente chiaro, che c’è un problema di fondo, culturale oltreché politico, che rimanda ad una visione incline al razzismo. Credo che sia grave, come è grave che Giorgia Meloni abbia coperto quelle frasi. Questa è una destra orribile, e la vittoria di Trump negli Stati Uniti ha prodotto una ulteriore perdita di freni inibitori. Mi aspetto una ulteriore radicalizzazione, che peraltro già si vede nei fatti degli ultimi giorni, della postura e degli atteggiamenti di questa destra. Credo che oltre ad essere grave sia anche un errore, nel senso che noi non siamo l’America che ha eletto Trump. E anche politicamente noi siamo più avanti…

In che senso?
Lo dico per una volta con un ottimismo che non è da me. Noi, Italia, siamo stati l’inizio dell’onda nera. Quella che è stata la vittoria di Trump negli USA, da noi è stata la vittoria di Giorgia Meloni, due anni e poco più fa. Dopodiché sono passati più di due anni. Noi siamo più avanti. Il fatto che torniamo a vincere e a strappare alla destra alcune regioni, come è successo in Sardegna e in Umbria, è la dimostrazione che dopo due anni di governo Meloni, gli italiani iniziano anche a vedere gli effetti di quell’onda nera, che sono di arretramento del paese, di compressione dei diritti, di fatica economica e sociale, di negazione di tutte le promesse populiste che avevano fatto, sulle pensioni, sulle accise della benzina, tutte le cose che raccontavano dall’opposizione senza poi essere in grado di farle una volta al governo. Penso anche all’immigrazione, al blocco navale che avevano annunciato, o a questa farsa ridicola e costosissima dell’Albania. Siamo di fronte al fallimento di un progetto di governo, che poco a poco si percepisce e che sta a noi rendere ancora più evidente e al tempo stesso costruire un’alternativa credibile e radicata.

21 Novembre 2024

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