L'europarlamentare Pd
Parla Matteo Ricci: “Sosterremo la candidatura di Fitto se giurerà sul programma europeista della Von der Leyen”
«Noi Socialisti&Democratici lo incalzeremo e saremo intransigenti. Meloni? Si arrabatta tra scandali, gaffe e contraddizioni, L’autonomia differenziata per lei sarà un boomerang»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Matteo Ricci, europarlamentare Pd, già sindaco di Pesaro e coordinatore nazionale dei sindaci Dem Pace, lavoro, autonomia differenziata, giustizia sociale. Si prepara un autunno caldissimo. Quali le priorità per il Pd e il centrosinistra?
Sicuramente si tratta di temi tutti prioritari per il Partito Democratico, per il centrosinistra nel suo insieme e per noi membri del gruppo europeo dei Socialisti&Democratici. La pace in primis, per l’ottenimento della quale l’Europa deve svolgere una grande azione diplomatica, in nome di un pacifismo pragmatico. Si tratta anche di temi sui quali le forze di opposizione possono lavorare insieme, al fine di costruire un’identità comune e quell’alternativa al governo di destra di Giorgia Meloni che deve essere l’obiettivo di un centrosinistra unito e forte a trazione Pd. Ma si tratta anche di temi sui quali è possibile assistere ad un’accelerazione che potrebbe portarci a nuovi scenari politici: Giorgia Meloni sta mostrando incoerenze sulla politica estera e sui provvedimenti in materia di lavoro e welfare e la sua maggioranza si sta rivelando fragile dinanzi al referendum sull’autonomia. Sarà un autunno caldo, sì, ma per la destra. Per il centrosinistra sarà un autunno in cui lavorare e costruire l’alternativa.
Elly Schlein ha molto insistito sull’importanza dell’essere uniti. Ma cosa differenzia questa sottolineatura dall’annoso e ripetitivo dibattito sul “campo largo”? E in questo campo vorrebbe rientrare Matteo Renzi. Non c’è il rischio di un’ammucchiata respingente?
Solo un centrosinistra unito, forte, coeso sulle battaglie identitarie e sul futuro può aspirare a costruire l’alternativa di governo democratica, riformista e progressista che gli elettori chiedono. Il risultato alle scorse elezioni europee è stato un chiaro segnale: il Partito Democratico è più forte e deve proseguire il suo percorso con l’obiettivo di competere con Fratelli d’Italia per il ruolo di primo partito del Paese. Nel nuovo centrosinistra devono esserci anche forze liberali, moderate e centriste che vogliano affiancare il Pd nella creazione di una coalizione a trazione dem, insieme agli amici 5S e ad Avs che alle scorse europee ha ottenuto un ottimo risultato. Come ho detto a Matteo Renzi alla Festa dell’Unità di Pesaro, però, Italia Viva non basta. È tempo di essere generosi e di aiutare moderati e centristi a far nascere quella formazione di centro che, ad oggi, non esiste. Matteo Renzi ora non ha il consenso per guidare questa nuova formazione, ma ha l’intelligenza politica per promuoverne la nascita. Non c’è alternativa all’unità; nel campo di centrosinistra c’è bisogno di una forza di centro che tenga insieme l’elettorato moderato: un 8% circa, che può valere 2 milioni di voti. Non possiamo pensare di proporci di nuovo divisi come nel 2022. Significherebbe regalare il Paese ancora una volta alla destra. Il centrodestra in Italia ha sempre avuto tra il 42 e il 45% dei voti; giacché abbiamo detto che torneremo al governo solo dopo aver vinto le elezioni, dobbiamo attrezzarci per ottenere un centrosinistra che prevalga nelle urne, indiscutibilmente guidato dal Pd.
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Il 2024 è stato un anno elettorale. Non ancora concluso: a novembre si vota in Emilia-Romagna, Liguria e Umbria. Divisi si perde: i 5Stelle, lacerati dal dibattito interno, hanno imparato la lezione?
Il Pd deve rafforzare l’alleanza con il Movimento Cinque Stelle. Al contempo, bisogna sperare che la leadership di Giuseppe Conte rimanga salda. Una scissione o un cambiamento nella leadership sarebbe poco compatibile con la visione del Partito. Dunque, ora è tempo di dire basta ai veti e lavorare insieme ai temi comuni, a partire dal salario minimo e dalla sanità pubblica.
Lei è stato sindaco di Pesaro ed è coordinatore nazionale degli amministratori locali Dem. Non crede che il referendum sull’autonomia differenziata, come diversi paventano, potrebbe trasformarsi in un boomerang per le opposizioni?
Assolutamente no e lo dico proprio da amministratore locale di lungo corso e da presidente emerito di ALI – Autonomie Locali Italiane, associazione alla cui guida è appena stato eletto l’amico Roberto Gualtieri, Sindaco di Roma Capitale, che ringrazio per la disponibilità ad assumere questo incarico e per la richiesta, che mi onora, di divenire il prossimo Presidente del Consiglio Nazionale di ALI, così come annunciato durante la recente Assemblea Nazionale. ALI è da tempo in prima linea, in rappresentanza dei molti amministratori locali membri dell’associazione, nella campagna contro l’autonomia differenziata, così come è stato ribadito nella recente Assemblea Nazionale, al punto da essere stata scelta come sede nazionale del comitato referendario per il no all’autonomia. Allo stesso tempo, noi sindaci dem siamo da tempo sulle stesse posizioni: diciamo no con forza ad una legge che spacca il Paese, nel momento in cui ha più bisogno di essere ricucito. E soprattutto quei sindaci, come lo sono stato io, delle aree del Centro Italia, credo debbano lavorare a far comprendere ai cittadini che il referendum non riguarda solo il Meridione: l’autonomia differenziata ripropone una storica questione meridionale e riporta l’attenzione sulle necessità delle regioni settentrionali. Ma, attenzione, sono proprio le regioni del Centro Italia a rischiare di essere schiacciate da queste questioni: ecco perché è importante fare campagna per il no nell’area del Paese che rappresenta una vera cintura di collegamento fra Nord e Sud. È un tema, infine, quello del no all’autonomia, che, come si è visto, ha trovato largo consenso nelle forze d’opposizione, ma ha già superato i confini politici: i Vescovi, Confindustria, Comunione e Liberazione e tanti esponenti del centro destra sono contro. Sarà un grande boomerang per Giorgia Meloni.
Le elezioni europee sono appena alle spalle. Sembrava fossero uno snodo decisivo e invece sembriamo tutti già di nuovo rassegnati all’irrilevanza globale dell’Europa. Non è un problema serio per una forza europeista come il Pd?
Semmai è un problema per la Presidente del Consiglio: Giorgia Meloni si trova dinanzi ad un vero e proprio cortocircuito politico. Dopo aver votato no al programma europeista di Ursula Von der Leyen, ha proposto un membro del suo partito, Raffaele Fitto, attuale Ministro per gli Affari Europei, come commissario europeo. Fitto come si comporterà da commissario? Attuerà, per parte sua, il programma europeista di Von der Leyen? O Fitto giurerà fedeltà al programma europeista – votato da popolari, socialisti, verdi e liberali – o non potrà fare il commissario. Noi Socialisti & Democratici lo incalzeremo sulla coerenza: siamo e saremo intransigenti sui temi e sui valori che ci contraddistinguono, dall’europeismo all’ambiente, passando per il sostegno a nuovi investimenti pubblici come nella stagione del Next Generation EU. Solo un’Unione Europea forte, unita e pronta ad affrontare le sfide che provengono dallo scenario globale – penso al fronte ucraino, ma anche alla tragedia del Medioriente – può proporsi, come è nella sua natura, fin dalla sua fondazione, quale faro di pace, democrazia e progresso nel mondo.
Due anni di governo delle destre. Che bilancio trarre, anche in chiave europea?
Negativo. Giorgia Meloni si arrabatta tra scandali a livello nazionale, gaffe dei suoi ministri e sottosegretari, contraddizioni a livello europeo e una perpetua ricerca di fondi da parte del suo Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti che cozza con la propaganda quotidiana. Negli ultimi mesi abbiamo visto dapprima riproporre la privatizzazione delle Poste, poi ipotizzare l’introduzione di un Redditometro e, infine, tornare sul leitmotiv più trito di un governo in cerca di denari: i tagli agli enti locali. Meloni e Giorgetti siano consapevoli che noi dem saremo accanto agli amministratori locali nella battaglia contro i tagli ai comuni: è ora di dire basta a tagli che costringono gli enti locali a diminuire e servizi ai cittadini, ad alzare le tasse locali e a non poter investire in opere infrastrutturali e di manutenzione.
Tutto questo, in uno scenario di guerra, dall’Ucraina al Medio Oriente. Il martirio di Gaza continua, e il mondo sta a guardare.
I conflitti in corso rendono quanto mai urgente e prioritario che l’Unione Europea assurga al suo ruolo naturale di guida e faro di pace e democrazia. Deve essere chiaro che l’Italia, nel contesto europeo, si schiera al fianco dei nostri fratelli ucraini, nella lotta contro un paese invasore. Ma dobbiamo rilanciare un pacifismo pragmatico: mentre sosteniamo l’Ucraina dobbiamo essere protagonisti di un’azione diplomatica di pace. Sono passati due anni e mezzo dall’inizio di questa guerra tremenda, la pace si fa con il nemico. Per quanto riguarda il Medio Oriente, non può che esserci una soluzione, quella del ‘92: due popoli, due Stati. Netanyahu ha scambiato il diritto sacrosanto alla sicurezza di Israele con il diritto alla vendetta. È inaccettabile ciò che sta avvenendo a Gaza. Per combattere il terrore di Hamas non si può sterminare una popolazione di donne e bambini. È aberrante. Bisogna, dunque, avere un pacifismo pragmatico e auspicare che l’Europa di pace sia al centro delle azioni diplomatiche che possano evitare ulteriori escalation.
Altro fronte caldo è quello migranti. Come valuta la vicenda Salvini – Open Arms alla luce delle richieste della procura di Palermo?
Salvini ha tenuto 147 migranti chiusi in una nave, nel porto per 20 giorni, dopo un viaggio drammatico. Disumano e inefficace. Ma adesso i magistrati decideranno se ha anche abusato del suo potere, in nome della sua propaganda.