Il voto per la Commissione europea
Fitto spacca la sinistra: il Pd lo vota, M5S e AVS no
L’attendismo di Schlein (“Vediamo il tasso di europeismo che esprimerà il ministro”) è destinato a sciogliersi positivamente. Niet di Conte e Fratoianni. Non l’unica spina del campo largo
Politica - di David Romoli
Quando si tratterà di votare a favore o contro Raffaele Fitto commissario europeo molto difficilmente il Pd si potrà sottrarre, anche nell’improbabile ipotesi che il gruppo europeo Socialisti e Democratici decida il pollice verso. La segretaria Schlein si è in prima battuta trincerata dietro un’affermazione quasi priva di senso “Aspettiamo di vedere quali deleghe avrà”, come se il voto del suo partito italiano dipendesse dall’assegnazione di quelle deleghe rilevanti che il suo gruppo europeo contesta. Poi ha ripiegato su una posizione più ragionevole, il tasso d’europeismo che il commissario indicato dal governo di cui peraltro era uno dei principali ministri dimostrerà nell’audizione di fronte al Parlamento europeo.
È un escamotage. Tutti sono già certissimi che l’europeismo di Fitto, peraltro sincero e di antica data, risulterà a prova di bomba. Il Pd dunque, con ogni probabilità voterà in un modo, le altre due componenti del quasi-campo largo, M5s e Avs, in quello opposto perché il loro no a Fitto è già certo e granitico. Martedì prossimo Draghi presenterà le sue proposte al Parlamento europeo. È probabile che poi accolga l’invito di Giorgia Meloni e si presenti a palazzo Chigi per discuterle con la premier italiana che, ci si può scommettere, le farà in buona misura proprie. Per il Pd prendere le distanze dalla linea parallela e convergente di Draghi e dell’ex segretario Letta è fuori discussione. Gli alleati, che non sono la stessa cosa ma si ritrovano quasi sempre sulla stessa linea sino a configurarsi quasi come il secondo corno di un’alleanza a due, non sono altrettanto convinti. Per i 5S il dissenso è pieno. Avs, più prudente, per ora boccia soprattutto l’enfasi draghiana sulla difesa, elemento però costitutivo nel suo Rapporto.
Questione di ore e di giorni, poi il veto americano sull’uso delle armi a lunga gittata fornite all’Ucraina anche per colpire postazioni in territorio russo cadrà. Certo l’Europa non seguirà a ruota la scelta di Usa e Uk ma la decisione è destinata a cambiare profondamente le cose e soprattutto, se Kamala Harris vincerà le elezioni negli Usa, a moltiplicare e dunque a rendere più rischioso l’impegno dell’Occidente nella guerra. Col risultato non solo di esacerbare ma di amplificare le divisioni nel solito Campo. Del resto non si spiega il peso della divaricazione tra 5S e Pd sul supporto a Kamala se non avendo presente che si parla delle elezioni ma con lo sguardo già rivolto all’Ucraina, cioè al vero oggetto della discordia.
Il centrosinistra arriverà alle elezioni politiche unito, anche perché non ha altre possibilità salvo riforme molto radicali della legge elettorale. Ma ci arriverà diviso non su un elemento per quanto centrale della politica estera ma sull’intera prospettiva strategica in materia. Dalla festa di Avs, dove peraltro Magi di + Europa e Conte si sono quasi azzuffati proprio sulla politica estera, Elly e tutti i leader hanno provato a dribblare l’ostacolo insistendo comprensibilmente sugli elementi unitari, che sono tutti inerenti alla politica interna. Qui però si crea un secondo problema, di ordine opposto a quello che flagella la politica estera. Elly è arrivata alla segreteria del Pd con la missione assegnatale dagli elettori di spostare il Pd a sinistra soprattutto sul terreno del sociale e quanto meno ci sta provando. In questo modo, però, la distinzione tra le due anime del futuro centrosinistra, il Pd e l’asse M5s-AvS (nel quale non è affatto detto che i 5S rimangano a lungo i più forti).
L’accostamento facilità senza dubbio l’alleanza ma va a tutto detrimento della diversificazione dell’offerta elettorale. Un Pd spostato a sinistra, i 5S e Avs si presentano più o meno con la medesima offerta in materia di politica interna, diversamente declinata solo nelle sfumature. È vero che l’elettorato di centrosinistra è molto più attento alla politica estera di quello avversario e dunque la divisione in materia di esteri, oltre agli evidenti problemi, offre anche alcuni cospicui vantaggi. Ma è anche vero che l’elettorato più moderato rischia di non rispondere all’appello dal momento che nessuno gli si rivolge.
Per questo Elly è decisa a mettere in campo qualcuno in grado di coprire quel fianco scoperto, cioè Renzi. Ma i 5S, impegnati in una guerra con il loro fondatore Grillo, non possono far finta di niente e il braccio di ferro su Renzi è già abbastanza fragoroso da vanificare probabilmente la rendita che il suo ingresso in Campo dovrebbe garantire. Il centrosinistra ha ottime possibilità di uscire a testa altissima dalle tre elezioni regionali in calendario per l’autunno. Il cappotto non solo è possibile ma probabile. Ma le carte in regola per sperare di vincere poi anche le politiche ancora è lontano dall’avercele.