Lo stallo sulla nomina
Fitto nella Commissione Ue, il Ppe non molla il ministro di Meloni: von der Leyen verso la prova dell’Europarlamento
Il Ppe non molla sulla nomina dell’italiano. Verdi, socialisti e liberali insistono: “Noi non lo votiamo”. Von der Leyen verso la prova dell’aula
Politica - di David Romoli
Il Ppe non molla, von der Leyen tiene duro. La candidatura di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della prossima Commissione con deleghe importanti sul versante economico per ora ha retto all’offensiva dei partiti alleati del Ppe nella maggioranza Ursula. Socialisti, Verdi e Liberali hanno cinto d’assedio la casella destinata dalla presidente al commissario italiano ma lo hanno fatto con armi parzialmente spuntate e con intenzioni diverse tra loro.
Per Verdi e Liberali impedire quello che sarebbe a tutti gli effetti un allargamento di fatto della maggioranza alla destra europeista dei Conservatori, nonostante il loro voto inclusa FdI contro la ripresidenza von der Leyen, è davvero essenziale. La presenza di Fitto ai vertici della Commissione suggellerebbe uno slittamento a destra degli equilibri europei che spingerebbe verso i margini proprio loro. Sono i più duri e intransigenti: “Abbiamo serie preoccupazioni su quella vicepresidenza”, tuona i copresidente dei Verdi Bas Eickout, olandese. Da soli però i due gruppi, usciti sconfitti pesantemente dalle elezioni europee possono poco e la posizione dei socialisti è per molte ragioni diversa.
L’obiettivo principale del gruppo Socialisti e Democratici è aumentare il proprio peso specifico nella Commissione strappando deleghe più rilevanti di quelle che la presidente intenderebbe concedere loro. Hanno messo sul tavolo, come condizione per il semaforo verde a Fitto, il rientro in commissione del loro Spitzenkadidat Nicholas Schmit, che nella precedente commissione aveva le deleghe al Lavoro e alla Politiche sociali. Non raggiungeranno l’obiettivo. In Lussemburgo è ora al governo il centrodestra e di conseguenza non ha indicato come candidato Schmit. “La Germania pur essendo governata da una coalizione guidata dalla Spd ha inidicato una popolare come von der Leyen. Il Lussemburgo deve fare lo stesso”, hanno provato a battere i pugni sul tavolo i socialisti chiedendo alla presidente di convincere il Lussemburgo a rivedere la sua indicazione. I popolari non hanno alcuna intenzione di farlo. La presidente anche meno degli altri perché l’intero equilibrio di genere che ha costruito con enorme difficoltà verrebbe a cadere.
La minaccia socialista di non votare per protesta i commissari indicati dalla premier non è mai stata presa troppo sul serio. “Se fanno così noi non votiamo i loro commissari”, tagliano corto da giorni i popolari italiani, cioè Forza Italia. Inoltre il Pd non può non votare il candidato italiano e si tratta della delegazione più forte nel gruppo socialista. La polvere da sparo è annacquata. Lo sanno i socialisti e lo sanno anche i popolari. Dunque Fitto arriverà di fronte alla commissione parlamentare che dovrà esprimere il gradimento o bocciarlo, come successe a Rocco Buttiglione, nella postazione eminente che la presidente intende assegnarli in nome della rinnovata alleanza tra Ppe e Conservatori, passo che von der Leyen considera necessario per impedire che quella destra faccia blocco con quella sovranista di Orbàn, i Patrioti.
Certo, nell’audizione sarà passato al contropelo ma Fitto è convinto di poter passare anche un esame molto duro e probabilmente ha ragione. Quel che la commissione verificherà, infatti, è essenzialmente il tasso di europeismo non solo del commissario in questione ma del suo partito e da quel punto di vista FdI è considerato ancora sospetto. Ma a rispondere sarà Fitto, che europeista lo è davvero e a nome di una premier che lo è ormai anche lei. Farlo cadere sarà difficilissimo. A maggior ragione se la premier riuscirà a strappare una sorta di benedizione indiretta da parte di un garante al di sopra di ogni sospetto come Mario Draghi. La richiesta di incontrarlo a Chigi per discutere il suo Report sulla concorrenza, di fatto un progetto di riforma radicale della Ue, ha anche questo scopo. Accusare di non essere europeista una premier che concorda con Draghi e di cui Draghi si fida sarebbe più o meno impossibile. L’ultima parola non è ancora detta ma Meloni ha motivo di ottimismo sul fronte europeo.
In materia di manovra gli alleati, con le loro iniziali richieste impossibili, sono già stati domati. I dati Istat sull’occupazione sono ottimi, anche se non si può dire altrettanto, al contrario anzi, di quelli sulla produzione industriale che continua a calare. Ma nel complesso Giorgia potrebbe dirsi soddisfatta, se non ci fosse la spina nel fianco e quella spina, per quanto paradossale sembri, continuano a essere le allusioni, le mezze parole, gli accenni ben misurati di Maria Rosaria Boccia. Dopo le parole di Bianca Berlinguer, la prima a citare esplicitamente Arianna Meloni, ieri ha provveduto direttamente l’imprenditrice di Pompei. La giornalista aveva giustificato l’intervista con Boccia saltata all’ultimo momento anche con l’intenzione della stessa di citare tra i possibili motivi della sua mancata consulenza al ministero della Cultura proprio un intervento della sorellissima.
FdI la ha presa malissimo, sospettando la manina di Piersilvio Berlusconi dietro le parole della conduttrice. Si è incaricato di sparare a zero il deputato Luca Sbardella: “Squallido giornalismo spazzatura. Una tecnica grossolana e infantile: dare una notizia negando di volerla diffondere”. Subito dopo però la stessa Boccia in uno degli innumerevoli post diffusi ieri ha ripetuto esattamente quanto anticipato da Bianca Berlinguer, citando tra i possibili motivi del suo siluramento “un colloquio tra Arianna Meloni e Sangiuliano”. Il seguito alla prossima puntata che ci sarà di certo perché finché si tratta di politica, come nel caso Fitto, le cose si possono ancora controllare e governare ma fermare la giostra impazzita della consulente immersa in un vortice di narcisismo è un altro paio di maniche.