Le relazioni pericolose della Commissione

Commissione europea, Fitto fa litigare tutti: socialisti in rivolta contro popolari che vogliono aprire a FdI

La strategia dei Popolari, decisi a cooptare la destra di Meloni, è a rischio. Socialisti e liberali reclamano posti di rilievo: la trattativa resta in salita

Politica - di David Romoli

12 Settembre 2024 alle 15:30

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Commissione europea, Fitto fa litigare tutti: socialisti in rivolta contro popolari che vogliono aprire a FdI

La presidente von der Leyen avrebbe voluto evitarlo a ogni costo: si è dovuta arrendere e aprire una trattativa che tutto è tranne che facile. “Stiamo negoziando”, taglia corto la presidente del gruppo socialista a Strasburgo Garcia Perez. Allude al braccio di ferro sulla vicepresidenza esecutiva che la presidente von der Leyen vorrebbe assegnare a Raffaele Fitto e non si tratta solo di una cortina fumogena, per i socialisti, come per i liberali e i verdi, inserire tra i vertici della Commissione un Conservatore proveniente da un eurogruppo e da un partito, FdI, che non hanno votato per la presidenza è davvero un problema. Non quello principale però. Il negoziato ha portata ben più ampia, la tensione alle stelle tra popolari e socialisti va molto oltre il caso Fitto. È scontro di potere ed è confronto fra prospettive politiche e strategie di fondo opposte.

I popolari sono l’unico partito della nuova maggioranza Ursula, che al Ppe all’eurogruppo Socialisti e Democratici e ai liberali di Renew Europe somma anche i verdi, uscito vincitore dalle elezioni europee, a fronte della disfatta degli alleati. Weber, presidente del Ppe, ne è ben consapevole e, una volta incamerata la rielezione alla presidenza di von der Leyen, ha iniziato a dare le carte col piglio di chi detta legge. I popolari contano 14 commissari su 28, presidente inclusa, e non si limitano al numero. Vogliono tutte le deleghe principali, riservano agli alleati posti secondari, assediano persino una delega che i socialisti consideravano intoccabile, quella della Transizione ecologica per la socialista Ribeira. Sul piano degli orizzonti politici Weber e von der Leyen non hanno affatto rinunciato al progetto di un’alleanza con la destra europeista e atlantista, quella appunto di Giorgia Meloni.

Quell’alleanza, sugellata dalla vicepresidenza Fitto, crea effettivamente problemi grossi e di diverso tipo agli alleati “conclamati” del Ppe. La cooptazione di fatto di fdI e dei Conservatori permetterebbe ai popolari di disporre dei classici due forni. La piena legittimazione di un partito che comunque si qualifica come destra radicale inevitabilmente darebbe una spinta allo sdoganamento delle varie destre interne con le quali devono fare i conti e in particolare a Marine Le Pen che con l’appoggio a Barnier ha fatto un passo deciso in quella direzione. Infine, con Fitto, i popolari potrebbero contare su un vicepresidente esecutivo fedelissimo. Il nodo è reale ma allo stesso tempo è certamente adoperato come merce di scambio per strappare deleghe più rilevanti e un maggior peso specifico nella nuova Commissione.

Un nome centrale nel negoziato è il lussemburghese Nicolas Schmit, commissario uscente al Lavoro e alle Politiche sociali e Spitzenkandidat dei socialisti ma anche fiero avversario della presidente von der Leyen. Al momento è fuori dalla Commissione e le sue pregiate deleghe sono passate a un’altra socialista, la rumena Roxana Minzatu, scelta decisamente non apprezzata dal suo gruppo. I socialisti (ma non i verdi e forse neppure i liberali) sarebbero disposti a scambiare il semaforo verde per Fitto in cambio del rientro di Schmit, che però dovrebbe essere ripescato dal governo lussemburghese di centrodestra al posto dell’attualmente indicato commissario “d’areaHansen e convincere il governo del Lussemburgo per von der Leyen non è precisamente una missione facile.

Questa è la trattativa in corso e non è affatto in discesa. I partiti alleati dei popolari nella maggioranza Ursula hanno deciso di giocarla nel modo più duro: minacciando di far mancare il loro voto non solo per Fitto ma per tutti i candidati popolari. I liberali, per bocca dello slovacco Hojsik, rilanciano e rincarano: “Non vedo competenze o ragione politica per una vicepresidenza esecutiva Fitto”. I popolari però scendono sullo stesso piano. Weber si espone fino ad assicurare che il rinvio al 17 settembre della presentazione dei commissari e delle deleghe non inciderà sul ruolo di Fitto e si allarga: “Per il Ppe l’Italia deve essere ben rappresentata nella prossima Commissione. L’Europa deve rispettare i risultati ottenuti dal governo italiano su molte questioni europee”. La delegazione italiana del Ppe, FI, è anche più chiara e avverte che la risposta all’eventuale bocciatura dei commissari popolari sarebbe ripagata con la stessa moneta: il voto contro i commissari dei partiti alleati. La situazione, insomma, si è fatta delicatissima per tutti perché uno scontro a fuoco come quello minacciato da entrambe le parti lascerebbe l’Europa priva di una maggioranza politica.

Meloni ha altre due carte forti pur se non decisive. La prima è che per il Pd silurare Fitto senza validi motivi avrebbe un costo molto caro in termini di immagine e il Pd è la delegazione più forte nel gruppo SeD. Quando Gasparri ricorda che “Berlusconi votò per Gentiloni” e che se il Pd affondasse Fitto “si coprirebbe di vergogna e tradirebbe gli interessi del Paese” tocca un tasto molto sensibile. La premier inoltre non ha esitato a telefonare a Draghi, con il quale ha mantenuto un ottimo e costante rapporto, invitandolo a Chigi per discutere il suo Rapporto sulla Concorrenza. Un passo che, se avrà un seguito, renderà ancora più difficile mettere in dubbio il suo europeismo e giustificare così il veto contro Fitto.

12 Settembre 2024

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