Parla la giornalista e ambasciatrice Oxfam

Ilaria D’Amico: “Crimini orrendi di Netanyahu, Gaza è una tragedia di tutti”

«C’è un popolo intero che sta morendo». dice la giornalista, ambasciatrice Oxfam. «Con i palestinesi muore anche la parte di noi in grado di comprendere quando si è superato ogni limite di tolleranza per le sopraffazioni di un Governo. Lo dicono i medici, è la più grande mattanza di bambini a cui abbiamo assistito dall’Olocausto»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

4 Luglio 2025 alle 10:02

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Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica
Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica

Prendere posizione. Con coraggio. Dalla parte dei più indifesi. In nome di un umanitarismo che non dovrebbe conoscere coloritura politica o appartenenza partitica. Dimostrando che la notorietà può essere messa al servizio di cause per le quali vale la pena battersi. È ciò che fa Ilaria D’Amico. L’Unità l’ha intervistata.

Lei è da tempo ambasciatrice di Oxfam. Cosa l’ha spinta a questo impegno?
E’ stato molto semplice per me scegliere di essere ambasciatrice di Oxfam. Questo succedeva all’inizio del percorso di Oxfam qui in Italia, da più di quindici anni. Mi ha spinto la particolarità dei loro interventi, del loro modo di agire. All’inizio Oxfam operava nelle comunità, in particolare di donne, per creare una economia laddove tutto era depresso. Emancipare una donna in certi contesti significava emancipare tutto il nucleo familiare, dove gli uomini erano impegnati in guerre tribali, o erano in preda di alcol e droga. Si era puntato su questo, e per me era qualcosa di molto originale e innovativo: anziché mandare aiuti, cercare di creare le condizioni in loco per una vita migliore. Perché emancipare una donna significa anche far studiare i figli, rendere una rete più larga solida. Poi si sono complicate le cose, tra climate change, tra guerre che sono diventate sempre più cruente e sempre più emergenziali, le difficoltà sociali in Italia… Oxfam ha iniziato nei posti più sperduti del mondo o con eventi catastrofici a specializzarsi nel portare acqua, quindi depurarla, sfruttare in maniera semplice o più strutturata e organizzata le risorse idriche sul posto nelle zone dove emerge una carenza vera, come sta succedendo a Gaza. Un impegno specifico fondamentale pure per tutta la rete sanitaria, non soltanto la sete, ma anche le malattie, anche le più curabili, che qui siamo abituati ad affrontare con un antinfiammatorio, in situazioni come quelle possono comportare anche la morte. È stato fatto con Haiti, dove si sono susseguite terrificanti emergenze umanitarie una dietro l’altra. È accaduto con l’Etiopia e altre zone alle prese con guerre civili terribili in Africa. È stato fatto in situazioni dove gli uragani hanno scatenato cortocircuiti di assistenza basilare nel mondo. E ovviamente adesso Gaza. Il modo di operare di Oxfam, la capacità di essere sempre molto diretti negli aiuti, mi ha conquistato.

Oxfam è tra le Ong più impegnate nella tragedia senza fine di Gaza. Le testimonianze che giungono da quell’inferno in terra sono terrificanti. L’umanità sta morendo a Gaza?
A Gaza sta morendo un popolo intero. E insieme al popolo palestinese, muore anche la parte di noi capace di comprendere quando si è andati oltre ogni limite di tolleranza negli atteggiamenti che un Governo può avere, di sopraffazione e altro. Mi piace citare anziché una voce politica, una voce della società civile: quella di Mark Perlmutter, un medico ortopedico e chirurgo, che ha sulle spalle centinaia di missioni umanitarie. Oltre a fare il medico nel suo Paese, gli Stati Uniti, lo fa anche nei posti dove può prestare la sua opera. Quello che lui racconta è impressionante. Dice: io non ho mai visto quello che mi è capitato di vedere dopo la fine del cessate il fuoco a Gaza. La quantità di morti e l’impossibilità di poter operare. Lui dice anche un’altra cosa molto importante…

Quale?
Lui dice: lasciamo stare la parola genocidio, che fa paura, politicamente, a tutti. Parliamo della più grande tragedia massiva di morti infantili. È la più grande mattanza infantile alla quale abbiamo mai assistito dall’Olocausto ad oggi. Vogliamo lasciar stare il tema del genocidio, parliamo di quanti bambini stanno morendo a Gaza. E di come stanno morendo. È un orrore al quale non si può più assistere voltandosi da un’altra parte. C’è stato un momento in cui questa narrazione è un po’ cambiata. Finalmente si era iniziato a parlare di Gaza. Poi di colpo i riflettori si sono spenti.

Lei è un personaggio pubblico con una importante esperienza televisiva e nella comunicazione. Non crede che su Gaza sia calato un silenzio mediatico inquietante e alla fine complice?
Su Gaza questo silenzio c’è stato da sempre, nel senso che si è raccontato, giustamente, l’osceno atto terroristico messo in atto da Hamas contro gli israeliani il 7 ottobre 2023. In seguito, si è raccontata la reazione degli israeliani a Gaza per colpire e abbattere il regime di Hamas, che è un regime a matrice terroristica. Dopodiché si è scelto di non guardare cosa è successo, che forme ha assunto la reazione israeliana. Si è scelto di non guardare alla tragedia. Quando i media internazionali, in particolare, hanno iniziato a raccontare quello che stava succedendo, cioè la iper razione contro i civili gazawi dell’esercito israeliano, con il mandato del premier e del governo israeliani, si è, anzitutto, impedito ai giornalisti della stampa straniera di essere nella Striscia. A ciò si aggiunge, come dato terrificante, che quelli che c’erano sono stati uccisi. 238 giornalisti palestinesi finora uccisi nella Striscia di Gaza, sono molti di più dei giornalisti uccisi nei campi di guerra negli ultimi vent’anni. È un dato che parla da solo. E molte di queste morti sono state chirurgiche. Si andavano a prendere i giornalisti palestinesi, si bombardavano i luoghi dove operavano, per eliminare testimoni scomodi. Questo è violazione di ogni norma del diritto internazionale. Violare il diritto internazionale è sganciare scientemente bombe contro gli ospedali. È fare evacuare a forza gli ospedali quando ci sono malati gravi attaccati alle macchine che li tengono in vita e che non possono sopravvivere se staccati da quelle macchine dentro gli ospedali. Ci sono state testimonianze di medici che operavano in quegli ospedali, medici stranieri, non palestinesi, perché poi si dice che i medici palestinesi sono manovrati da Hamas, che erano lì, che sono stati costretti dall’esercito israeliano a lasciare gli ospedali in cui operavano, con la promessa che quei malati attaccati a quelle macchine sarebbero stati salvati. Quei malati sono stati trovati morti attaccati a quelle macchine che non funzionavano più. Sono scene che quando si raccontano, non hanno bisogno di altre parole. Non può succedere una cosa del genere! Il fatto che i media non ne parlino, e si parli in questo momento del conflitto israelo-iraniano…Preoccupante? Certo. Ma a Gaza continuano a morire ogni giorno. E non a morire per caso, per cause naturali. A morire perché gli sparano contro quando vanno a prendere il cibo. Gli sparano contro mentre stanno attraversando la strada perché l’esercito israeliano si sente libero di poter fare quello che vuole. Gli sparano contro perché devono convincerli che quella non è una terra in cui si possa più vivere. Il terrorismo psicologico, oltre al terrorismo vero fatto da un esercito che non rispetta il diritto internazionale e il diritto umanitario, è la carta insanguinata che si sta giocando per convincere un intero popolo a scappare, a lasciare la propria terra.

Le faccio una domanda molto delicata, che ho rivolto anche a personalità di primo piano dell’ebraismo italiano ed europeo, come Edith Bruck e Anna Foa. Un grande intellettuale palestinese, scomparso, Edward Said, ebbe a dire che la tragedia dei palestinesi è “essere vittime delle vittime”.
Qui c’è sempre un equivoco gigantesco che viene strumentalizzato: l’antisionismo, se non addirittura l’antisemitismo. Io parlo in maniera chiara e diretta. Quando ho sentito di dover fare qualcosa da persona, da cittadina del mondo e madre, ho rivolto un’accusa molto forte, indignata e piena di orrore, verso il Governo israeliano e verso l’esercito israeliano. Il popolo israeliano, tutta quella parte che non sta con quel Governo, non c’entra niente. Ho visto maree umane, prima che le oscurassero, di israeliani protestare contro questo Governo. Chiedere, giustamente, il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco, ma anche proteste chiarissime, represse violentemente, contro Netanyahu. Ricordiamoci che Netanyahu ha una storia gigantesca di crimini. Crimini non solo contro il popolo palestinese, ma anche di corruzione. È una sorta di assurda situazione nella quale, grazie ad una manovra di sopraffazione del popolo palestinese, Netanyahu riesce ancora a mantenere la centralità del governo oltre ad accordi non proprio chiarissimi con l’ultradestra. Io vado oltre le definizioni. Per me la condanna e il bisogno di fermare questo scempio che il governo Netanyahu e l’esercito israeliano stanno compiendo ai danni del popolo palestinese, non possono venir meno e trovare giustificazione di sorta perché dicono di voler abbattere il regime di Hamas. Per abbattere un regime non si può sterminare un popolo. È come dire che per abbattere Hitler e i nazisti bisognava sterminare l’intero popolo tedesco. I numeri dicono questo. In venti mesi più di trecentomila morti o feriti, in stragrande maggioranza donne, bambini, civili, e tanti altri sono sotto le macerie che non possono essere rimossi e conteggiati. Una situazione di totale malasanità, invivibile, in tutta la Striscia. Questa è una situazione da tragedia umana intollerabile. E non può essere una battaglia che devono affrontare le sinistre del mondo contro le destre nel mondo. Ecco perché ho sempre ribadito la libertà di questa battaglia da vincoli politici. Non posso pensare che un elettore di destra non voglia vedere o non provi orrore per tutto questo. Certo, tutte le guerre sono orrende. Ma c’è una differenza tra quello che sta succedendo in Ucraina e quello che sta accadendo a Gaza.

Nel senso?
Nel senso che a Gaza siamo di fronte ad una operazione di una violenza contro la popolazione civile a cui non abbiamo assistito se non nelle guerre tra tribù opposte, in Somalia o in altri Paesi africani, ma non con questi numeri. E non da parte di un Governo eletto democraticamente e che rientra nel seno delle democrazie del mondo. Essere un Governo democratico significa portare sulle spalle il senso della democrazia nel modo di agire. Non si può definirsi democratici e agire da assassini, cannibali di un altro popolo. Essere democratici comporta un peso. Questa battaglia di legalità e di protesta contro l’orrore per quel che succede a Gaza, per come la sento io, dovrebbe essere una battaglia fuori da ogni bandiera politica. Una battaglia di sensibilità di tutti. Quando partecipo ad iniziative su Gaza, quando parlo con Oxfam e opero con loro, non mi sento di aver sposato nessun colore politico. Per me il senso dell’azione della società civile è quello di creare ponti con chi la pensa diversamente da me su come costruire il concetto di democrazia politica. A Gaza non è in gioco la politica. È in gioco l’umanità, il bene più prezioso che dovremmo difendere e coltivare. Un bene comune.

4 Luglio 2025

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