Missili sull'internet cafè

Israele distrugge il bar dei giornalisti a Gaza: è strage tra donne e bambini

Era il luogo di ritrovo di reporter e artisti. Figure scomode che documentavano lo sterminio. E così l’esercito di Bibi l’ha raso al suolo. Uccidendo donne e bambini che erano lì per un compleanno

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

2 Luglio 2025 alle 14:30

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AP Photo/Abdel Kareem Hana – Associated Press/LaPresse
AP Photo/Abdel Kareem Hana – Associated Press/LaPresse

Gaza, fame o piombo, denuncia Amnesty International e altre 160 Ong e associazioni umanitarie. Gaza, dove i giornalisti palestinesi sono testimoni scomodi da far fuori. Lunedì l’esercito israeliano ha colpito con un missile un bar sul lungomare della città di Gaza usato come Internet point da molti giornalisti palestinesi, oltre che da attivisti e altre persone del posto in cerca di un luogo di ritrovo per lavorare e stare insieme. Nel bombardamento al bar al Baqa l’esercito israeliano ha ucciso 39 persone, e ne ha ferite più di 50, alcune delle quali in gravi condizioni.

Tra le persone uccise c’è Ismail Abu Hatab, un noto fotogiornalista palestinese, i cui reportage dalla Striscia di Gaza erano stati esposti in una mostra a Los Angeles lo scorso aprile. «Ogni foto che ho scattato non parla solo di loro, ma di tutti noi. Di Gaza, che non si riduce alla morte, ma si racconta come una vita che continua nonostante tutto», aveva detto di recente, presentando dalla Striscia le sue opere. In un comunicato l’ufficio stampa del governo di Hamas ha dichiarato che con la sua scomparsa sono ora 228 i giornalisti palestinesi uccisi dall’ottobre del 2023. Nel corso delle ultime 24 ore, l’esercito israeliano ha affermato di aver attaccato Gaza più di 140 volte, colpendo «obiettivi terroristici» e «militanti». Diversi testimoni hanno raccontato che al momento dell’attacco nel bar c’erano decine di persone, tra cui alcuni bambini che stavano festeggiando un compleanno. Il bombardamento ha distrutto la struttura e ha lasciato un enorme cratere nel terreno.

Hani Mahmoud, corrispondente di al-Jazeera da Gaza, ha detto che l’attacco è stato compiuto senza alcun preavviso da parte di Israele. “Stavo andando al café per usare internet, a pochi metri di distanza, quando c’è stata una violenta esplosione. Sono corso sul posto. C’erano i miei colleghi, persone che incontro ogni giorno. La scena era orribile: corpi, sangue, urla ovunque”. Aziz Al-Afifi, cameraman di una casa di produzione locale, è uno dei testimoni dell’ennesima deflagrazione che ha sconvolto la Striscia. C’è chi ha detto di aver visto un bambino di quattro anni morto, un anziano con entrambe le gambe amputate e molti altri con gravi ferite. Le immagini mostravano pozze di sangue e brandelli di carne schiantati tra colonne di cemento e tetti distrutti, intorno a un buco profondo provocato dall’esplosione dell’esercito israeliano. Eppure, il portavoce delle Idf, che ha spiegato come l’attacco fosse finalizzato a colpire esponenti di Hamas, ha dichiarato che prima di colpire il locale “sono state adottate misure per ridurre il rischio di danneggiare i civili utilizzando la sorveglianza aerea”. Ma fra le 39 vittime accertate c’erano tanti bambini, mamme, papà, anziani. Civili.

Sui social sono state diffuse le immagini che sembrano mostrare il momento in cui un missile, apparentemente lanciato da un caccia israeliano, colpisce la zona della caffetteria, che era diventata uno spazio ben noto per giornalisti, attivisti e lavoratori da remoto, offrendo accesso al web, posti a sedere e spazio di lavoro di fronte al mare. “Dimenticate le linee rosse. Le abbiamo superate. Non c’è più niente da dire. Mi sono guardato intorno e ho visto solo sangue. Uomini, martiri”, ha dichiarato un altro testimone a Sky news. “Incredibile. La gente viene qui per prendersi una pausa da ciò che vede a Gaza. Vengono verso ovest per respirare”. Tra le vittime c’erano Frans Al-Salmi, un importante artista palestinese, e Ismael Abu Khatab, un noto fotoreporter. Abu al-Nour, 60 anni, ha spiegato al Guardian di essere uscito dal bar per pranzare e di essere tornato quando è avvenuto l’attacco. “Proprio mentre ero vicino, è caduto un missile – ha raccontato al giornale britannico-. Le schegge volavano ovunque e il locale si è riempito di fumo e si sentiva odore di polvere da sparo. Non riuscivo a vedere niente. Sono corso verso il bar e ho visto che era stato distrutto. Sono entrato e ho visto corpi a terra. Tutti i dipendenti del bar sono stati uccisi”, ha raccontato. “C’era una famiglia lì con i loro bambini piccoli – continua Adam-: perché sono stati presi di mira? Era un posto dove la gente veniva per trovare un po’ di sollievo dallo stress della vita”.

Ahmad al-Nayrab, 26 anni, stava camminando sulla spiaggia vicina quando ha sentito una forte esplosione: “C’era sempre molta gente nel locale, che offre spazi per le famiglie e accesso a Internet”, ha detto ad Afp. “È stato un massacro. Ho visto pezzi di corpi volare ovunque, corpi mutilati e bruciati. È stata una scena raccapricciante; tutti urlavano”. Anche Adam, 21 anni, che lavorava vicino al cafè affittando sedie e tavoli sul piccolo lungomare, ha assistito all’attacco. “Quando è avvenuto, ci siamo buttati a terra mentre le schegge iniziavano a caderci addosso – ha detto al Guardian – . Abbiamo iniziato a correre, cercando di capire cosa fosse successo, e abbiamo aiutato i soccorsi. Quando sono arrivato sul posto, le scene erano al di là di ogni immaginazione. Conoscevo tutti i lavoratori del posto. Era pieno di clienti di tutte le età”.

Aiuti a Gaza: lo schema letale

“Credo non sia più possibile assistere inerti a quanto sta avvenendo in tante aree del mondo, colpite dalla guerra. Occorre fermare lo sterminio di intere popolazioni. A Gaza continua il massacro di massa. Anche in Cisgiordania – se ne parla poco – il controllo del governo si fa sempre più repressivo e sanguinoso. Così Vincenzo Varagona, presidente Ucsi (Unione cattolica della stampa italiana) commenta al Sir l’attacco israeliano che ha colpito l’internet point frequentato da giornalisti e cooperanti. “I giornalisti e fotoreporter uccisi a Gaza sono quasi 230, secondo il Governo della Striscia. Come se non bastassero le decine di migliaia di morti – aggiunge Varagona -, la fame usata come arma di annientamento, è stato attaccato un luogo che accoglieva i più fragili, i più indifesi, se ancora esiste una possibilità di difendersi in quella terra. Siccome uno dei problemi è anche chi continua a informare correttamente sul genocidio, con i missili si colpisce anche chi cerca di tutelare il diritto a informare e a essere informati”.Ucsi, da sempre impegnata nella difesa della libertà di stampa e della dignità umana, esprime indignazione anche per questa ultima strage. Giornalisti, reporter, fotografi, cameraman sono bersagli perché sono testimoni, sono gli occhi del mondo sulle atrocità che vengono compiute. Vanno sconfitte sia l’indifferenza, sia l’impotenza. Ucsi – conclude Varagona – sostiene l’iniziativa che parte dal mondo cattolico per un Ministero della Pace e apprezza ogni iniziativa che riesca a porre fine a queste tragedie dell’umanità”.

Oltre 160 organizzazioni umanitarie e della società civile, fra le quali Amnesty International, hanno lanciato un appello urgente per porre fine al letale schema di distribuzione degli aiuti imposto da Israele – che comprende la cosiddetta Gaza Humanitarian Foundation – e hanno chiesto il ripristino del coordinamento da parte dalle Nazioni Unite, oltre alla revoca del blocco imposto dal governo israeliano che impedisce l’ingresso di aiuti e beni commerciali nella Striscia di Gaza. È quanto si legge in un comunicato. I 400 siti di distribuzione di aiuti attivi durante la tregua temporanea sono stati sostituiti da soli quattro siti, sotto controllo militare, costringendo due milioni di persone a spostarsi in zone sovraffollate e militarizzate, dove ogni giorno rischiano la vita sotto i continui bombardamenti mentre tentano di procurarsi cibo senza alcun accesso ad altri beni essenziali per la sopravvivenza. “Oggi nella Striscia di Gaza le persone si trovano davanti a una scelta impossibile: morire di fame o rischiare di essere colpite mentre cercano disperatamente del cibo per sfamare le proprie famiglie. Le settimane successive all’introduzione dello schema israeliano di distribuzione si sono rivelate tra le più letali e violente dall’ottobre 2023. In meno di un mese oltre 500 persone palestinesi sono state uccise e quasi 4000 ferite mentre tentavano solamente di accedere al cibo o distribuirlo. Le forze israeliane e gruppi armati – secondo fonti, talvolta con il sostegno delle autorità israeliane – aprono ormai regolarmente il fuoco sui civili disperati che rischiano tutto per sopravvivere”.

Ed ancora: “Nel nuovo sistema imposto dal governo israeliano persone indebolite dalla fame sono costrette a camminare per ore attraverso aree pericolose e zone dove il conflitto è attivo, per ritrovarsi poi in una corsa violenta e caotica verso punti di distribuzione recintati, militarizzati, con una sola via d’ingresso. Migliaia di persone vengono ammassate in spazi chiusi, costrette a lottare per ottenere razioni alimentari limitate. Questi luoghi sono ormai teatro di massacri ripetuti, in palese violazione del diritto internazionale umanitario. Tra le persone uccise vi sono bambine, bambini e persone che se ne prendevano cura. In oltre la metà degli attacchi alle persone civili in questi siti, sono stati coinvolti minori. Con un sistema sanitario al collasso, molte persone colpite restano a terra a morire dissanguate, non raggiungibili dalle ambulanze e senza cure salvavita. In un contesto di fame estrema e condizioni simili alla carestia molte famiglie raccontano di non avere più le forze per contendersi le razioni. Chi riesce a portare a casa del cibo spesso si ritrova con pochi alimenti di base, difficili da cucinare senza acqua potabile o combustibile. Il carburante è quasi esaurito, paralizzando i servizi essenziali – come panifici, sistemi idrici, ambulanze e ospedali. Le famiglie si riparano sotto teli di plastica, preparano pasti improvvisati tra le macerie, senza carburante, acqua potabile, servizi igienico-sanitari né elettricità. Questa non è una risposta umanitaria. Concentrare oltre due milioni di persone in aree ancora più ristrette nella speranza di trovare cibo non è un piano per salvare vite umane. Da 20 mesi, più di due milioni di persone sono incessantemente sottoposte a bombardamenti continui, all’utilizzo della fame e della sete come armi, agli sfollamenti forzati ripetuti e a una disumanizzazione sistematica: tutto questo sotto gli occhi della comunità internazionale. La Sphere Association, che stabilisce gli standard minimi per un’assistenza umanitaria di qualità, ha affermato che l’approccio della Gaza Humanitarian Foundation non rispetta gli standard e i principi fondamentali dell’azione umanitaria. La normalizzazione di questa sofferenza non può essere tollerata”.

Eppure, nostra chiosa finale, è quello che sta avvenendo. Senza che i criminali di guerra che hanno ordito questo piano siano sanzionati.

2 Luglio 2025

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