Il leader di Sinistra Italiana

Parla Nicola Fratoianni: “Attaccano le piazze per delegittimare il pacifismo”

«Netanyahu salvatore del popolo iraniano? Vergognoso e ipocrita: siamo di fronte a un criminale di guerra. È la riedizione colpevole dello schema dell’esportazione della democrazia con le bombe, responsabile di disastri di cui il mondo si è dovuto pentire»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

21 Giugno 2025 alle 12:08

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Photo credits: Saverio De Giglio/Imagoeconomica
Photo credits: Saverio De Giglio/Imagoeconomica

Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra. “Israele sta facendo il lavoro sporco per noi”: a dirlo pubblicamente è il cancelliere tedesco Friedrich Merz. Siamo arrivati a questo?
Si è andati perfino oltre, superando anche quello che dovrebbe essere un confine di igiene lessicale, oltreché di igiene politica. Siamo di fronte all’esplicitazione del disprezzo per ogni riferimento alle più elementari norme del Diritto internazionale. Siamo di fronte ad una aggressione unilaterale, ad un atto di terrorismo internazionale, perché è difficile definirlo in un altro modo. Un’aggressione che peraltro, ascoltando le dichiarazioni forse un po’ tardive con questa chiarezza del direttore dell’Aiea Rafael Mariano Grossi, non ha nemmeno la giustificazione, che sarebbe comunque inesistente per il Diritto internazionale, di una preoccupazione legata ad un imminente traguardo del raggiungimento di armi nucleari da parte dell’Iran. Di fronte a tutto questo, il leader del più grande paese europeo, la Germania, se ne esce fuori con quel commento. Del resto, il commento che complessivamente si è elevato da buona parte della comunità internazionale, compreso il nostro paese, è forse un po’ meno spudorato di quello del cancelliere tedesco ma nella sostanza non meno grave. Non sono riusciti a pronunciare parole semplici quanto fondamentali…

Quali?
Condanniamo l’attacco unilaterale d’Israele. E chiediamo ad Israele di fermarsi. L’appello alla de-escalation è importante, condivisibile, siamo tutti per la de-escalation, non vogliamo la guerra, non vogliamo i missili israeliani o i missili iraniani in risposta a quelli israeliani. Ma è del tutto evidente, ancora una volta, che il doppio standard, l’assenza di un qualsivoglia riferimento a qualcosa che sia in grado di dare ordine alle relazioni internazionali, al Diritto internazionale, appare ipocrita e del tutto incapace di produrre alcun risultato.

L’atomica non c’è. Eppure, Benjamin Netanyahu continua ad essere considerato come una sorta di liberatore del popolo iraniano dall’oppressione del regime degli ayatollah.
Siamo di fronte ad una vergogna, fatta di falsa coscienza, di ipocrisia. Intanto è del tutto evidente che stiamo parlando di un criminale di guerra, di una persona che si è macchiata di innumerevoli crimini contro l’umanità, per quanto mi riguarda responsabile di un genocidio, ma se non piace questa parola ne usassero altre, di un massacro, di uno sterminio. Una persona che applica un odioso e illegale regime di apartheid nei confronti dei palestinesi in Cisgiordania, oltreché responsabile dell’orrore di Gaza. Solo questo dovrebbe essere sufficiente a isolare Netanyahu, a renderlo soggetto di sanzioni, di iniziative della comunità internazionale in grado di sanzionare lui e il suo governo bellicista e razzista, imponendo un cambio di passo rispetto a quello che sta accadendo. Non basta…

Cos’altro?
Siamo di fronte, nello specifico, alla riedizione assai colpevole, perché la prima volta può capitare la seconda diventa colpa, di uno schema, quello dell’esportazione della democrazia con le bombe e con la guerra, che come sappiamo, soprattutto in quell’area del mondo e anche in altre, non solo non ha funzionato ma ha provocato disastri di cui il mondo si è dovuto pentire per molto tempo. Basti pensare all’Iraq bombardato e raso al suolo dopo la famosa fialetta di Colin Powell esibita all’Onu come prova di armi di distruzione di massa, per poi scoprire che non erano mai esistite nelle mani del regime di Saddam Hussein, e che ha dato la stura alla nascita dell’Isis, al peggior fondamentalismo jihadista, con cui abbiamo poi dovuto fare i conti, tragicamente, nelle nostre città, in Europa, nel mondo, e soprattutto in quelle aree dove si è scatenato con la massima violenza. Per combattere quel mostro prodotto dalle guerre occidentali sono serviti i curdi, salvo poi dimenticarsene e abbandonarli colpevolmente ancora una volta alla mercè del membro della Nato, Erdogan. Siamo dunque di fronte a qualcosa che grida vendetta. In nome della verità, della coscienza, della cultura. Di fronte a questo ed anche altro…

Vale a dire?
Siamo di fronte, per quanto riguarda Netanyahu, al suo bisogno di muovere guerra in tutto il Medio Oriente, da un lato per destabilizzare l’intera regione e assicurarsi un ruolo preminente, e dall’altro, più nell’immediato, per restare politicamente in vita. È ormai chiaro che Netanyahu ha bisogno della guerra, che sia quella di sterminio nei confronti dei palestinesi, che sia quella scatenata in Libano e ora contro l’Iran, per mantenere una collocazione di potere che altrimenti rischierebbe di essere rapidamente messa in discussione all’interno d’Israele. In questo modo, non siamo soltanto di fronte alla violazione sistematica, drammatica, del Diritto internazionale. Ma siamo di fronte anche a un disastro per la stessa società israeliana e per tutti coloro che con un comportamento codardo e ipocrita si rendono complici di quello che sta accadendo. Lo vado ripetendo senza sosta: dichiarare il Diritto internazionale carta straccia, significa affermare che l’unico a valere è il “diritto” del più forte. Ma questo vuol dire precipitare il mondo intero in una condizione di caos e di pericolo senza precedenti. Nel mirino mediatico dei giornali con l’elmetto in testa, sono sempre e solo i pacifisti. Domani, oggi per chi legge, ci sarà a Roma un’altra grande manifestazione, dopo quella del 7 giugno, contro il riarmo, contro il genocidio a Gaza e per affermare il bisogno di restare umani. Ora all’accusa di antisemitismo si aggiunge anche quella di essere filo-Khamenei. Come risponde a queste accuse? Dicendo ad alta voce che sono accuse infami, false, volgari, che hanno un loro chiaro obiettivo…

Quale?
Delegittimare l’unica posizione in campo che ha una sua ragionevolezza, cioè l’opzione pacifista, che nel nostro paese ha una straordinaria storia, e che è considerata insopportabile in alcuni circoli che definire intellettuali mi sembra francamente troppo, proprio perché è l’unica opzione in grado di dichiarare, come proprio nemico, la guerra, la violenza, la violazione dei diritti umani fondamentali, ovunque tutto questo si produca. È il motivo per cui io non solo non ho niente di che spartire col regime teocratico degli ayatollah, ma è il motivo per cui sono stato in piazza con il movimento “Donne, vita è libertà”, e non ho visto molti di questi signori al mio fianco. Ero in piazza lì, come lo ero contro le guerre in Iraq in nome delle fialette di Colin Powell, come sono stato in piazza contro tutte le guerre. La storia dell’umanità dimostra che tutte le volte che è la guerra a vincere, il risultato è sempre un disastro senza limiti. Abbiamo parlato dell’Iraq. Ma forse qualcuno dovrebbe fare i conti con quello che è successo in Afghanistan, a cominciare dalla precipitosa fuga da Kabul qualche anno fa, con il ritorno dei talebani. Siamo sempre e ancora lì, di fronte ad una dinamica che alimenta i nazionalismi e che rischia di produrre, su ogni fronte, elementi di regressione. È difficile da sostenere che quella contro l’Iran sia una guerra di liberazione per gli iraniani, mentre si bombardano i civili iraniani compresi quegli iraniani che in questi mesi e anni hanno con coraggio e talvolta con eroismo al regime teocratico degli ayatollah.

Per essere stata tra i promotori, insieme ad Avs e al M5Stelle della manifestazione dei 300mila a Roma il 7 giugno, così come per aver sostenuto il Sì ai cinque referendum, la segretaria del Partito democratico Elly Schlein, è stata tacciata di tutto. Di essere una minoritaria massimalista, succube dei Bonelli, dei Fratoianni, dei Landini e dei Conte.
Intanto approfitto di questa nostra conversazione, per esprimere ancora una volta la mia solidarietà ad Elly Schlein. L’obiettivo generale è quello della delegittimazione del pacifismo come opzione politica. Ma c’è anche un altro obiettivo, di natura tutta politica, che sottende e alimenta questa campagna: quello di far saltare un asse che viene considerato insopportabile. Non solo perché è un asse pacifista, che si schiera contro quello che sta accadendo in Palestina, che pone dubbi su politiche di riarmo, con diversi accenti se vogliamo. Ma perché è un asse politico che oggi indica come agenda alternativa a questa destra, la necessità di rimettere al centro i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, che ha sostenuto i referendum della Cgil; l’asse del salario minimo, della riduzione dell’orario a parità di salario; l’asse della sanità pubblica contro le consorterie che continuano a immaginare la privatizzazione come l’unica via per la modernizzazione. Proprio per questo occorre tenere il punto, dare continuità all’iniziativa e difendere un asse che in questo momento dà molto fastidio perché non risponde alle logiche che qualcuno vorrebbe come le uniche possibili: quelle di schieramenti che in fin dei conti sulle grandi questioni di questo tempo, siano le questioni della giustizia sociale, della giustizia ambientale, della giustizia fiscale, della pace e della guerra, alla fine presentano sempre opzioni tra loro compatibili se non in qualche caso addirittura sovrapponibili.

Quando si punta l’indice contro Sinistra italiana, il Pd di Schlein, un’accusa ricorrente è “Non hanno una cultura di governo”. Ma cos’è questa “cultura di governo”?
È una bellissima domanda. Perché attorno a questa definizione ruota il più grande equivoco degli ultimi decenni nella storia politica di questo paese. C’è chi interpreta la cultura di governo come l’attenzione a non cambiare mai nulla. Per governare bisogna lasciare tutto com’è. Al massimo attrezzandosi a qualche sfumatura di colore nelle pitture in superficie. Io penso invece che la cultura di governo ha a che fare con l’ambizione a trasformare la realtà. Il punto è che la cultura di governo è in grado di trasformare la realtà se si rivela capace di assumere un punto di vista da cui guarda alla realtà e di scegliere chi vuole rappresentare, quali priorità vuole assumere, laddove e con quali forze intervenire per cambiare la realtà. Io sono per la transizione ecologica, per esempio. Penso, però, che questa transizione non debba scaricare i suoi costi sulle fasce più deboli. Ritengo che sia arrivato il momento di ridistribuire la ricchezza, di ridistribuire i costi delle trasformazioni di cui abbiamo bisogno. Questo per me vuol dire avere cultura di governo. Perché il governo è qualcosa di utile se si pone il problema di cambiare le cose. Se diventa la conservazione, la perpetuazione degli equilibri presenti e dei privilegi che a quegli equilibri si accompagnano, allora il governo è qualcosa di completamente inutile. Non è un caso che questa cultura di governo, dell’immobilismo, sia quella che piace a chi vive una condizione di privilegio. Perché i privilegiati hanno da sempre un obiettivo dichiarato e praticato: quello di restare privilegiati e di restarci a danno della maggioranza dei cittadini e delle cittadine.

21 Giugno 2025

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