Il capogruppo Pd Politiche europee
Intervista a Piero De Luca: “Confronto nel PD per diventare forza di governo”
«I toni da tifoserie non aiutano, l’esito del referendum non ci soddisfa ma è stato giusto in questo momento provare a rimettere al centro il tema del lavoro. Ora è importante che tutti si impegnino a difesa del partito e della sua vocazione originale»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Piero De Luca, capogruppo Pd in commissione Politiche europee della Camera dei deputati e membro della Direzione nazionale del Partito democratico: “Schlein ha ridato l’anima al PD. Ora bisogna allargare”. Così l’Unità ha titolato in prima pagina una impegnata riflessione di Goffredo Bettini sulla partita referendaria e il suo esito. Lei come la pensa?
Credo che le riflessioni vadano fatte, come nel caso di Bettini, con equilibrio e profondità di analisi, mettendo da parte toni da tifoserie che non aiutano. È vero che ha votato un numero di persone superiori a quelle che hanno sostenuto il centrodestra alle ultime politiche. Ma comunque non è stato sufficiente per raggiungere il quorum ed è evidente che questo lascia amarezza. Non possiamo essere dunque pienamente soddisfatti per la partecipazione e direi ancor più per l’esito del quesito sulla cittadinanza. Detto ciò, non possiamo non riconoscere che viviamo un momento in cui il Paese si sta impoverendo, i redditi sono insufficienti a sostenere il potere d’acquisto, i giovani fuggono all’estero, il lavoro è sempre più precario, moltissime famiglie non riescono ad accedere alle cure, il tutto nell’indifferenza del governo. In questo quadro, è giusto lo sforzo di provare a rimettere al centro delle priorità del nostro partito il tema del lavoro per dare voce a milioni di persone che si sono allontanate negli anni e oggi chiedono attenzione anzitutto ai partiti progressisti. La mobilitazione del Pd sostenuta dalla segretaria Schlein, in tale prospettiva, aveva una sua coerenza. Sarebbe stato oggettivamente complicato e incomprensibile per i nostri elettori un disinteressamento a priori del partito.
Scrive il direttore de Il Foglio Claudio Cerasa: il referendum è una sconfitta del centrosinistra, non “della democrazia”. Lei si sente partecipe del “flop act” (copyright Cerasa)?
Quando va a votare solo il 30% degli elettori al referendum, quando alle ultime elezioni europee l’affluenza è al di sotto del 50% un problema di democrazia esiste eccome. Tuttavia, non possiamo neppure nasconderci dietro un dito. Delle criticità specifiche sono emerse in questa occasione e una riflessione al riguardo è necessaria. Va fatta una valutazione sull’utilizzo dello strumento referendario, che si rivela per la sua natura abrogativa non adeguato ad affrontare questioni complesse, tecniche e delicate come quelle delle tutele del lavoro o dei bassi salari. Ancor più quando rivolte a norme del passato su cui ci sono posizioni articolate anche al nostro interno. E ancor più quando i sindacati sono divisi e spaccati come è accaduto in questa occasione. Poi una considerazione su come è stata affrontata la campagna referendaria. Da parte di alcuni gruppi dirigenti è emersa la volontà di regolare i conti col passato e direi anche col presente. Tutto questo non ha aiutato la mobilitazione. Al netto di tali valutazioni, una cosa però voglio dirla: è offensivo, irrispettoso e inaccettabile che figure istituzionali di primo piano del Governo abbiano rivolto appelli balneari agli elettori con toni quasi di scherno, e con lo stesso atteggiamento si siano presi gioco di 14 milioni di italiani che si sono recati alle urne facendo sentire la propria voce in una fase di drammatica disaffezione e scarsa partecipazione politica.
Sotto il fuoco, anche quello pseudo amico, è finita Elly Schlein: succube di Landini, subalterna a Conte, prigioniera di una vocazione minoritaria…Siamo alle solite, nel Pd si è aperta la caccia al segretario e al suo gruppo dirigente?
La lettura di quanto accaduto è complessa. I confronti sulle leadership si fanno durante i congressi. Oggi, se concentrassimo la discussione sulla vocazione o sul profilo di un gruppo dirigente non affronteremmo in modo adeguato la fase. Io ritengo importante mai come in questo momento che tutti lavorino per difendere il PD, la sua vocazione e ispirazione originale, la sua funzione nel Paese, quale grande forza plurale, sintesi di culture progressiste, riformiste, liberali, popolari e cattolico democratiche, principale argine democratico in grado di difendere il futuro dell’Italia dalla deriva in cui la destra la sta conducendo. Eviterei dunque che, presi dall’attenzione esasperata ai posizionamenti tattici, si perda di vista la necessità di avviare una fase, che veda tutti impegnati non ad alzare muri ma a consentire al PD di diventare forza di governo del Paese. Perciò, cogliamo l’occasione di questa mobilitazione per costruire luoghi di dialogo e confronto, avviando una discussione costruttiva, quella sì, su come dare risposte ai milioni di votanti, così come alle centinaia di migliaia di persone in piazza per Gaza. Un confronto nel Partito è utile alla nostra comunità e richiede, vorrei essere chiaro, un impegno forte anche dell’area culturale più riformista, progressista e liberale per mettere in campo un lavoro di proposte e idee da poter far diventare patrimonio comune del Partito e del Paese.
Intanto monta l’accusa al nuovo gruppo dirigente Dem: massimalista, a vocazione minoritaria, privo di cultura di governo…
L’esigenza oggi, dopo il giro di boa della legislatura, è quella di rilanciare l’elaborazione di un’agenda di governo con proposte positive per il futuro che rappresentino un’alternativa credibile alla destra. Dobbiamo ora passare dalla fase della protesta alla fase della proposta. Non basta essere “contro” per sconfiggere la destra alle prossime elezioni, ma è indispensabile costruire un progetto alternativo, che dia risposte a un Paese in difficoltà economica e sociale, colpito da tagli a tutti i servizi a partire da scuola, sanità, trasporto pubblico, welfare, dove i salari reali si abbassano e le imprese chiudono e smettono di investire. Dobbiamo accelerare il percorso di costruzione di un cantiere progressista, con un grande Patto sociale nel Paese, senza consegnare né alla destra né ad altre forze di centro la rappresentanza di mondi che non sono ideologizzati, a cui bisogna parlare. Quanto al lavoro, mi pare necessario affrontare le problematiche legate ai salari, alla sicurezza, alla precarietà coinvolgendo anche le aziende, non in conflitto con le imprese, ma insieme a loro, tenendo unita anche la questione della produttività e della competitività del sistema economico. Dobbiamo poi essere in prima linea per riconquistare l’unità sindacale. E, infine, in questa ottica, ritengo necessario occuparsi del lavoro a 360 gradi, affrontando le criticità degli operai e dei dipendenti pubblici, ma anche dei commercianti, degli artigiani e delle partite IVA, che oggi coinvolgono tantissimi giovani del tutto privi di garanzie e sicurezze economiche e sociali. Si tratta di recuperare, su questi temi come su altri, l’ispirazione originaria del PD, mettendo in campo un programma che, a partire dal nostro insediamento tradizionale, sia in grado di rivolgersi anche all’Italia dinamica, al ceto medio, alle giovani generazioni. Lo stesso vale per i temi della cittadinanza e della sicurezza su cui dovremmo aprire una fase di confronto con l’intera società, evitando di far monopolizzare aspetti di preoccupazione dei cittadini alla destra, che offre soluzioni demagogiche, illiberali e controproducenti. La sicurezza, lo ripeto, è un tema che deve affrontare soprattutto la sinistra, non per inseguire la destra, ma per seguire le istanze dei cittadini, con risposte serie e progressiste.
In autunno 17 milioni di italiani saranno chiamati al voto in un’importante tornata di elezioni regionali che riguardano anche la sua regione, la Campania. Di nuovo l’eterna querelle sui “campi”: Campo largo, Campo coeso etc.
Le ultime elezioni amministrative, positive per il PD ed il centrosinistra, hanno dimostrato che individuando candidati seri, autorevoli e credibili, tenendo unito il campo dei progressisti e dei riformisti, presentando programmi chiari e condivisi, si possa convincere gli elettori. Non funzionano le alleanze costruite artificiosamente, in laboratorio, così come sono dannosi veti e muri tra le forze di centro sinistra. Bisogna costruire e condividere un’idea di Paese e un progetto di governo coerente, condizione essenziale per essere attrattivi agli occhi degli elettori. In molte realtà già governiamo insieme con schieramenti ampi ed inclusivi. Sono certo che con equilibrio e responsabilità, pensando nei singoli territori agli interessi dei cittadini, sapremo fare sintesi e vincere le prossime elezioni. Non saranno un test diretto sul Governo, ma misureranno il termometro del clima politico in Italia rispetto ad una destra che alza le tasse, taglia i servizi, riduce gli spazi democratici e partecipativi, umilia il Parlamento e non ha una minima idea di sviluppo del Paese.
Il Medio Oriente è in fiamme e la democrazia Usa mostra una pericolosa deriva. Quale è il suo giudizio sull’operato del governo in questo quadro?
Trump aveva promesso di risolvere i conflitti in Ucraina e Medio Oriente in 24 ore e, invece, ora c’è il serio rischio che se ne apra uno globale. Nel frattempo, negli USA assistiamo ad un’inedita torsione autoritaria che deve preoccupare tutti. L’attuale regime di Teheran che reprime diritti fondamentali lo contrastiamo politicamente, supportando l’opposizione iraniana. Così come condividiamo l’esigenza che l’Iran proceda all’interruzione del programma nucleare avviato in violazione degli accordi internazionali. Tuttavia, l’uso della forza non può sostituirsi alla politica e al diritto internazionale. Bisogna dunque sostenere con determinazione una de-escalation e il ripristino di un tavolo diplomatico per trovare un nuovo equilibrio sicuro, stabile, nella regione. Al riguardo, è fondamentale trovare luoghi e momenti di confronto nelle sedi internazionali. Ed è importante che l’Europa giochi un ruolo da protagonista. Il governo italiano, diviso al proprio interno, è stato finora afono e poco incisivo nei vari scenari di crisi. Si è eclissato completamente e colpevolmente. Penso in particolare al dramma di Gaza. Al di là delle dichiarazioni di circostanza, in ragione della nostra tradizione diplomatica, è necessario ora che il governo lavori in sinergia con i Partner europei ed internazionali per ridare forza e credibilità alle istituzioni multilaterali.