La proposta per una nuova alleanza
Schlein ha ridato l’anima al Pd, ora bisogna allargare
Non si può partire dall’alto, dai nomi che si elidono. Nei momenti di crisi (ammoniva Machiavelli) bisogna tornare ai principi. Meloni non può governare per altri cinque anni. Sarebbe un regime
Politica - di Goffredo Bettini

Se si indice un referendum, l’obiettivo fondamentale è vincere. Tale obiettivo non è stato raggiunto. C’è, quindi, ancora tanto da approfondire e riflettere. Sapevamo bene che sarebbe stata una prova difficile. L’astensione al voto negli ultimi decenni è aumentata progressivamente in tutte le democrazie occidentali, compresa l’Italia. Non perché, come sostiene Italo Bocchino, è in buona salute. Piuttosto perché la rappresentanza si è svuotata, i cittadini da coscienti e attivi si sono trasformati in consumatori, le decisioni si determinano fuori dalle istituzioni, la dimensione spirituale è pressoché azzerata, con le sue speranze e le sue passioni. Ma c’è altro.
La destra compatta ha entusiasticamente boicottato e invaso tutti i canali dell’informazione invitando a disertare. Come mai nel passato era avvenuto con il medesimo impegno. Inoltre, per errori soggettivi ed anche processi di innovazione scientifica e tecnica nella produzione, la classe operaia e i lavoratori sono stati emarginati, svalutati, travisati nel dibattito pubblico da almeno vent’anni, senza una risposta chiara della sinistra; che ha applaudito la velocità e l’efficienza senza accorgersi che dentro di esse si nascondeva il maglio di uno spietato sfruttamento. Il risultato è stato la sfiducia nel progresso, l’irrompere del populismo e della destra anche tra i lavoratori; con salari, in Italia, tra i più bassi dell’Europa, a fronte dell’aumento del costo della vita.
Tuttavia, il sale della politica è comprendere se ciò che si verifica è uno scalino di una linea discendente e perdente o, a certe condizioni, segnala, una possibilità di riscossa. Guai fermarsi alla fotografia del presente, all’Instagram dell’accadimento. Decisivo è il racconto che raccorda il passato e il presente. Il racconto che riguarda la destra parte da una sua supremazia elettorale e un’egemonia nel pensiero diffuso. Quello che conta nel voto di milioni di cittadini. La vittoria di Trump ha rappresentato l’apice di questo racconto e la fragilità delle forze democratiche e progressiste. Già in qualche mese, tuttavia, la spinta sembra rallentare. Negli Stati Uniti il nuovo presidente in poco tempo si è dimostrato una mina vagante e un fattore di instabilità a tutti i livelli.
Non ha chiuso le guerre, come da lui promesso. La minaccia di aumentare i dazi, in parte già realizzata, ha diffuso disordine e sconcerto. L’America comincia ad essere inquieta e persino a sollevarsi. La repressione del governo è violenta, discriminatoria e priva della legalità necessaria. L’alleato più stretto di Trump che ha contribuito notevolmente alla sua elezione, il miliardario Musk, è entrato in conflitto con la presidenza. Non per divergenze ideali. Piuttosto per i soldi, a testimonianza che, nell’America di oggi conta il proprio business rispetto alla politica. Gran parte del mondo è spaventato e tenta di organizzarsi per contenere i danni. Il vento di destra anche in Italia si è così affievolito. Ciò va sommato ai tanti fallimenti che nel frattempo segnano l’andamento dell’esecutivo. La politica estera farà aumentare la bolletta telefonica di Palazzo Chigi, ma ha già fatto precipitare la nostra autorevolezza, il nostro coinvolgimento nelle sedi decisionali, la nostra capacità di avanzare proposte e di indirizzare gli eventi. Anche l’Europa della quale siamo cofondatori, ci schizza. Nella politica interna si sono approvate leggi autoritarie, intolleranti, persecutorie verso chi manifesta opinioni diverse.
Il lavoro precario e malpagato continua a spingere le nostre migliori energie giovanili fuori dal Paese, per cercare fortuna all’estero. Molti salari rimangono miserevoli, le pensioni ancora di più. La povertà è in aumento, l’immigrazione illegale e gli sbarchi sono fuori controllo, determinando disagi e una diffusa sensazione di insicurezza, che il governo tenta di gettare sulle spalle dei sindaci, mentre la materia attiene fondamentalmente alle sue responsabilità. Non è propaganda ciò che vado dicendo piuttosto sono dati Istat e analisi scientifiche che definiscono la nostra Repubblica, in rapida decadenza. La coalizione di governo, infine, è divisa sulle questioni decisive e la capacità di sintesi unitaria è affidata a ministri, alcuni dei quali davvero sotto il livello della decenza.
E noi? Non siamo ancora pronti a vincere per un’alternativa. C’è un cammino da percorrere. Tuttavia, ne sono convinto, è un cammino di speranza e niente affatto di naufragio. Resistiamo e contrattacchiamo. Ma, se non commettiamo errori, potremmo avere la strada spianata. Elly Schlein ha ricollocato il Pd grazie a programmi e iniziative di massa, fondamentali per riconquistare voti precedentemente perduti. Non ha solo frenato le perdite, ci ha fatto crescere. Nei territori la presenza del Pd è radicata, soprattutto grazie alle nostre amministrazioni, la maggior parte delle quali ben governate. La Segretaria, in ogni momento, ha contribuito a consolidare l’unità della coalizione alternativa. Favorendo iniziative comuni, parlamentari e nel paese. Ha imposto la priorità del fare, rispetto alla pratica del puntualizzare e distinguersi dagli altri. Nell’insieme il campo progressista e democratico sta trovando un assetto più convincente.
Se questo è ciò che sta accadendo, il risultato del referendum va visto in tale nuova luce. Milioni di cittadini hanno scelto di votare. In una quantità assoluta più grande dello schieramento che sorregge la Meloni. Dico questo perché il voto ha avuto una natura anche politica molto attiva, cosciente, in grado di mobilitare in un vuoto del tessuto democratico e istituzionale, tante persone convinte di dover testimoniare una volontà di futuro, di fuoriuscita da un incubo durato troppo tempo. Innanzitutto la Cgil ha voluto questa sfida. Il Pd non poteva e ha fatto bene a non sottrarsi abbiamo rimesso un po’ i piedi a terra nel mondo del lavoro. Ora, è chiaro ciò che serve: allargare, allargare e ancora allargare. Non diluire i contenuti che ciascun partito della nostra alleanza potrà e vorrà portare in campo e che dovranno raggiungere (se dovessimo vincere) una sintesi efficace, piuttosto per condensare ogni aspetto particolare, seppur importante, nella sfida storica che ci sta dinanzi. La Meloni non può governare per altri cinque anni. Sarebbe un regime. Diventerebbe ella stessa Presidente della Repubblica.
L’Italia sarebbe una nazione irrilevante, sovranista, sorretta da un atlantismo servile che, di questi tempi, con Trump che guida, sembra a me tanto assurdo quanto pericoloso. I no alla Meloni, non devono essere solo difensivi. Di resistenza rispetto alla storia inquietante che la premier ha alle proprie spalle. Ogni no, deve significare un sì. Un sì alla prospettiva repubblicana, costituzionale che ha in sé tutti gli elementi (da riattualizzare nella modernità) dei “principi” che stanno al nostro fondamento di civiltà. Traditi e manomessi. Nelle crisi, tornare ai principi come suggeriva Machiavelli, è indispensabile per agire nel domani. Insomma se è in gioco una prospettiva di civiltà, non solo una fase di governo, la nostra proposta è la rivitalizzazione del patrimonio di pensiero cristiano, socialista, laico, liberale, ambientalista e femminista. Il grande gorgo democratico che divide la restaurazione, la reazione, il razzismo, l’ingiustizia di classe da una rinnovata sintesi di giustizia e libertà.
Ciò significa anche impiantare un soggetto liberale, repubblicano, progressista, ma moderato che manca alla nostra alleanza. Lo dirò all’infinito: non si può partire dall’alto. Dai nomi che si elidono l’uno con l’altro. Si deve scavare nella polvere della vita quotidiana. Devono essere le liste civiche, le associazioni, il volontariato, l’Italia migliore che si impegna per il bene comune a mettersi insieme per darsi forza politica. Occorre qualcosa di plurale, di vivo, di giovane, di disinteressato. Occorre “una tenda” sotto la quale raccogliere questo mondo. Se questo accadrà noi saremmo più forti dei nostri avversari. Perché abbiamo leader più seri, preparati, e colti E perché nelle nostre vene c’è l’empatia verso chi fatica e chi soffre. Conte, la Schelin, Avs, sono in forme diverse, una classe politica credibile. Senza interferire, dovrebbero favorire la costruzione di questa nuova “tenda”. Nessuno dei più significativi leader dell’area centrista può proporsi da solo. È una nuova generazione che deve irrompere. Ma se venisse anche da loro una parola di incoraggiamento, di stimolo, di coraggio sarebbe tutto più facile e tutto più ricco. In questo quadro, le preclusioni sui singoli nomi diventerebbero incomprensibili, inaccettabili e autolesioniste.