Il parlamentare dem
Parla Roberto Morassut: “La ‘cura-Schlein’ sta funzionando: il Pd sta cambiando pelle”
«Ha collocato il partito in una posizione di partito-movimento che condivido. L’aria sta cambiando, non parlo solo dei risultati di Genova e Taranto. Mi riferisco a sentimenti forti che si muovono nel popolo. Il referendum? Il risultato non è una sconfitta ma un patrimonio prezioso, anche se non basta»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Roberto Morassut, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito Democratico, Vicepresidente della Fondazione Giacomo Matteotti: la destra esulta per il mancato raggiungimento del quorum, il fuoco (pseudo) amico mette sotto accusa la scelta del Pd. Come la vede?
I 5 referendum non hanno raggiunto il quorum ma tutti sapevano che questo obbiettivo era molto difficile in un Paese nel quale la partecipazione al voto arriva intorno al 50%. Del resto, l’Italia non è più, in questo momento, quella che conoscevamo fino a poco tempo fa. Quella delle percentuali di partecipazione ben oltre il 70%. Mi viene da sorridere rileggendo in questo periodo, per altri motivi, i resoconti e i commenti delle elezioni del 1983 – una consultazione molto importante e che è stata poco studiata – quando l’affluenza scese sotto la soglia psicologica del 90% dei voti. Si cominciò a parlare – e non senza ragioni – di perdita di capacità attrattiva dei partiti, di qualunquismo dilagante… Il mondo è cambiato e purtroppo in una direzione negativa, si è prodotta una frattura epocale tra il popolo e la politica, c’è un drammatico senso di inutilità della funzione delle istituzioni rappresentative… Insomma, è la crisi della democrazia che stiamo vivendo e che la destra alimenta strumentalmente anche con le sciagurate dichiarazioni di Giorgia Meloni sul non ritiro della scheda ai seggi. Dichiarazioni gravi più che per il merito dei referendum per l’esempio che trasmettono: le idee contrarie alle mie possono essere battute demolendo la democrazia, imbavagliando la partecipazione popolare, annullandola. Questo è grave!
Da dentro il Pd si sono levate voci critiche verso la segretaria Schlein: si sapeva che il quorum non poteva essere raggiunto ma hai preferito andare a sbattere…
Le ritengo critiche ingiuste, ingenerose. In certi momenti si fanno le battaglie giuste anche quando non sono facili. Questa consultazione è servita a rimettere al centro del confronto popolare il tema del lavoro, del salario e della sicurezza del lavoro e sul lavoro. Temi che sono usciti dal ghetto in cui li ha consegnati il dibattito pubblico negli ultimi anni. Farei attenzione, come ha scritto con chiarezza l’Istituto Cattaneo in queste ore, a riversare valutazioni politiche o elettorali su questo voto anche alla luce del voto sui diritti di cittadinanza, dal quale emerge una prevalenza di valori e di visioni di destra anche in larghe fasce popolari di orientamento teoricamente progressista. In ogni caso si è trattato di una battaglia che una parte ampia delle opposizioni ha condotto insieme, nel popolo e non solo in Parlamento o sui media. L’alternativa si costruisce passo dopo passo, costruendo momenti unitari anche dal basso. Per questo non considero il risultato una sconfitta, ma un patrimonio prezioso che non basta ma che rappresenta un passo avanti nella battaglia di opposizione al governo di destra più radicale che il paese ha mai conosciuto.
Gli ipercritici hanno tirato in ballo anche la manifestazione sulla Palestina.
È stato importante trovarci in Piazza a San Giovanni per Gaza il 7 giugno ed è stato importante fare tante manifestazioni insieme con rappresentanti, militanti di Avs e Cinque Stelle. Il resto si deve costruire progressivamente.
C’è poi l’eterna querelle sull’uso e abuso dello strumento referendario.
Non c’è dubbio che si debba riflettere sul referendum e sul rischio che la sua efficacia sia compromessa da un uso eccessivo o da una proliferazione di quesiti, spesso di non facile e immediata comprensione. La storia italiana ci dice che sono rare le volte in cui i referendum abrogativi hanno modificato gli orientamenti del Parlamento. Il risultato ottenuto in sé non basta numericamente ma anche qualitativamente, perché le elezioni si vincono e il Paese si cambia con una proposta politica e di governo che oggi ancora non c’è perché prevale la giusta lotta di difesa contro il Governo. I referendum erano uno strumento abrogativo – peraltro di leggi promosse dallo stesso centro sinistra in altre stagioni politiche -, una battaglia in negativo. Quello che ancora il Paese non avverte con pienezza è il progetto comune e la classe dirigente comune che potrà rappresentare l’alternativa. Siamo in una fase di costruzione, di gestazione. Occorre consolidare le forze intorno ad un progetto per l’Italia che non sia però la somma di tante proposte settoriali, un mosaico di temi. Un progetto è un’idea del Paese e le questioni fondamentali che stanno al centro delle domande del popolo quando si rivolge alla politica o parla di politica in modo semplice sono poche ma essenziali: il fisco ingiusto e famelico nei confronti del lavoro dipendente (premessa per un maggiore margine di sostegno ai servizi sociali), le difficoltà per l’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani e per il mantenimento del posto di lavoro), la difficoltà per accedere alla possibilità di una casa per stabilizzare la propria vita e uscire dalla famiglia di nascita (tema che è strettamente legato ad una strutturale riforma del regime del territorio, senza il quale il tema casa non si risolverà o attenuerà mai), un assetto della democrazia e delle istituzioni che restituisca agli elettori una possibilità di incidere maggiormente rispetto all’apparente impenetrabilità delle attuali forme della democrazia rappresentativa. Per ognuno di questi versanti occorrono delle idee forza penetranti e semplici…
Quali?
Io ho più volte sostenuto la utilità di una proposta che introduca una patrimoniale sulle grandi fortune, con un’asticella adeguatamente alta e tale da non spaventare ricchezze anche medio alte, ma tale da garantire un beneficio con cui finanziare programmi di sostegno per i grandi servizi a partire dalla sanità. Oppure la necessità di riprendere una battaglia per la riforma delle istituzioni e la riforma elettorale che semplifichi il sistema, superi l’equivoco parlamentarismo italiano, la ineleggibilità dei parlamentari, i riti del proporzionalismo. Io sono per un sistema alla francese, anche se so benissimo che non è condiviso quasi da nessuno ma attenzione… Noi abbiamo bisogno di determinare delle novità e delle fenditure profonde nella sopita e indifferente coscienza del popolo che spesso sa già prima che parliamo cosa stiamo per dire….
Per tornare al Pd. Qualcuno ha messo in discussione la leadership di Elly Schlein?
Non mi pare, anzi devo dire che pur nel confronto che in questi mesi è sempre stato molto franco, questo tema non si è mai posto e non credo nessuno lo porrà.
Ma aggiungo una considerazione. Il partito ha cambiato pelle. C’è stato un passaggio di generazione non solo a livello di gruppi dirigenti ma anche a un livello più profondo e lo stesso nostro elettorato è cambiato dagli anni dell’Ulivo o del Pd nascente e fondato da Veltroni. Vi è in atto una rivoluzione civile che sta cambiando molti punti di riferimento e che ha una dinamica trasversale. Sono rimasto colpito dall’intervento svolto durante il congresso dei Giovani di Forza Italia da parte di Simone Leoni e del suo attacco a Vannacci, al netto delle sue professioni di fede a Berlusconi che do per scontate. Elly Schlein rappresenta un’onda nuova di sentimenti, di società e di vita che costituisce una svolta irreversibile per il Pd. Da lei credo non si possa prescindere. In questi mesi ha collocato il partito in una posizione di partito-movimento che io condivido perché è la collocazione giusta che deve avere un’organizzazione aperta; rendersi permeabile e al tempo stesso permeare attivamente le spinte più feconde che si muovono nella direzione di rapporti umani, sociali e civili più avanzati.
Partito-movimento, c’è chi griderebbe all’eresia…
Dobbiamo sperimentare una forma partito che sappia essere partito- movimento ma anche soggetto riformatore con una capacità di dare governo ai processi, esercitare delle egemonie. Questo alla destra è riuscito, in qualche modo. E può riuscire alla sinistra. Anche perché l’aria sta cambiando, poco per volta. Se, come i vecchi marinai, mettiamo la vista sul mare, sul ponte e non in coperta possiamo già sentire qualche giro di vento nuovo. Non lo dico solo riferendomi ai risultati elettorali come Genova e Taranto che dimostrano nuove e positive tendenze. Oppure alla prospettiva, che ritengo possibile, di un esito positivo delle prossime regionali dove andremo a combattere con ottimi candidati, forti politicamente e radicati sul territorio e che sono già in campo, come nel caso di Matteo Ricci nelle Marche. Lo dico riferendomi a sentimenti forti che si muovono nel popolo. La straordinaria manifestazione per fermare il massacro di Gaza ne è una prova. Da anni, se si esclude il concerto dei sindacati al primo di maggio, non si svolgeva una manifestazione di popolo così grande a Piazza san Giovanni a Roma. C’è qualcosa di profondo, a mio parere, che si sta muovendo.
Cosa e in quale direzione?
I referendum, pur con il voto problematico del quesito sulla cittadinanza, sono il segno di un risveglio della coscienza del lavoro, della lotta ad ingiustizie così gravi che sono divenute insopportabili. Il Governo e la maggioranza sono entrati in una fase delicata in cui l’appannamento cresce. Sia sul piano internazionale, sia sul piano interno. Dobbiamo prepararci ad una grande battaglia politica e sociale in vista della legge di bilancio dopo l’estate, che certamente conterrà misure restrittive sul piano economico e sociale. La battaglia di opposizione in Parlamento, nonostante l’abuso della decretazione d’urgenza, ha preso vigore. Vedo, insomma, una prospettiva di nuovi spazi e di un collegamento più diretto e più fecondo con la società e sarebbe sbagliato aprire adesso il solito fronte interno alla luce di un risultato che può obbiettivamente essere letto come un passo in avanti e non come una sconfitta.
C’è chi ha ricordato che molti dirigenti attuali Dem a suo tempo votarono il Jobs Act. Memoria labile o cosa?
In molti votammo il Jobs Act in Parlamento, anzi tutti. In quel momento si tentava di adottare un regime di governo della flessibilità, problema che resta ancora oggi. Le cose poi andarono diversamente. La flessibilità è tornata ad essere prevalentemente precarietà ed è giusto oggi aver provato ad azzerare alcune norme. Nella prospettiva di un governo di alternativa occorrerà tornare sul rapporto tra governo della mobilità e della flessibilità del lavoro, sicurezza del lavoro e sul lavoro, formazione.