L'incontro della riconciliazione

Perché l’incontro tra Meloni e Macron: per Giorgia solo fumo e solitudine

Da Gaza ai dazi: gli argomenti in teoria sul tavolo avrebbero richiesto giorni di confronto. Il vertice serviva soltanto a raffreddare le tensioni

Politica - di David Romoli

4 Giugno 2025 alle 07:00

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Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Se la si fosse presa sul serio e alla lettera, la lista delle questioncine all’odg nell’incontro di ieri sera tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni avrebbe richiesto non un incontro con annessa cena ma un lungo seminario, di quelli con pause ridotte all’osso. Stando al programma fatto circolare da palazzo Chigi si sarebbero dovuti affrontare tutti i temi centrali per l’Unione: competitività, difesa, immigrazione, rapporto con gli Usa di Trump. Ma naturalmente anche Ucraina e Gaza, Libia e relazioni tra i due Paesi mediterranei in materia di ricerca tecnologica, nota dolente per l’intera Unione.

Ieri, più o meno a volo d’uccello, tutti i temi in questione sono stati affrontati o almeno citati ma il senso dell’evento, perché di questo si è trattato e questo voleva essere, non va cercato nello scambio di opinioni. Importante era l’incontro in sé: il segno di un disgelo in nome dell’interesse comune. Al di là di quel che si sono effettivamente detti Emmanuel e Giorgia il significato politico dell’incontro era l’incontro stesso e la cordialità, ostentata da giorni, che lo ha segnato. L’opposto dei rapporti tesi, ultimamente anzi tesissimi, che sono intercorsi quasi sempre fra il presidente francese e la premier italiana. Lo scoglio più vistoso da appianare, origine del resto del recente gelo, lo aveva segnalato apertamente, alla vigilia, l’Eliseo stesso, con una serie di note anonime ma chiaramente ispirate dallo stesso presidente: la coalizione dei Volenterosi. Macron se l’era inventata con l’inglese Starmer, Meloni se ne è tenuta fuori senza risparmiare critiche. Ne è seguita una serie di vicissitudini, siglate dalla presenza o dall’assenza dell’Italia, nei vari vertici che si sono susseguiti, spesso con dubbia utilità, in queste settimane. Quel capitolo doveva essere chiuso. L’abbraccio plateale di ieri, l’incontro chiesto da Macron, le note con cui l’Eliseo ha fatto sapere ai quattro venti che con l’Italia non esiste problema di sorta, servivano a questo.

L’esito era scritto prima ancora che Macron sbarcasse nella capitale italiana. Le diplomazie dell’Eliseo e di palazzo Chigi ci hanno lavorato per giorni. Con o senza partecipazione a una eventuale missione militare di peace keeping, che peraltro al momento appare sideralmente distante e che probabilmente non ci sarà mai, l’Italia rientra a pieno titolo nel pacchetto di mischia dei Paesi europei che stanno cercando di mettere a punto un formula per garantire la sicurezza di Kiev quando si sarà arrivati a una pace che al momento non sembra affatto dietro l’angolo. La missione dei Volenterosi era e resta una delle opzioni in campo. L’estensione all’Ucraina dello scudo protettivo Nato, senza però ingresso di Kiev nell’Alleanza atlantica, è un’altra opzione riconosciuta come possibile e presa in considerazione anche dal presidente francese. E su questa base ci si può tirare fuori dal vicolo cieco nel quale i litiganti si erano incautamente cacciati.

Ma lo stesso nodo dei Volenterosi, pur reale, è solo la punta emergente di un iceberg di ben altre dimensioni, il vero punto critico nei rapporti tra Meloni e l’intera Ue: una montagna di ghiaccio con le fattezze di Donald Trump. La stessa tensione sulla partecipazione o meno alla missione volenterosa derivava in buona parte dal sospetto, forte non solo all’estero ma anche sul Colle, che il defilarsi italiano fosse segnale e conseguenza dello slittamento della premier dalla fedeltà a Bruxelles a quella nei confronti di Washington. L’elenco dei fronti roventi, da quel punto di vista, è lungo: i dazi, il riarmo e l’innalzamento delle quote degli Stati europei per la Nato, l’impegno per le garanzie che bisognerà fornire a Kiev, la capacità dell’Europa di trattare come soggetto unitario con il Mercante della Casa Bianca.

Macron aveva già fatto sapere, prima del meeting, di non avere nulla in contrario alla ricerca di un rapporto specifico dei singoli Stati con gli Usa, a maggior ragione se tale da rendere la vita più facile all’intera Unione. Purché sia chiaro che le trattative ufficiali e dunque l’ultima parola spettano solo ed esclusivamente all’Unione europea. Quanto, dopo la sbandata, l’Italia sia tornata a essere affidabile per l’Europa e per gli Stati europei lo si capirà nei fatti presto. Gli appuntamenti in agenda di qui a un mese, dal G7 in Canada al vertice Nato, dal Consiglio europeo immediatamente successivo a quel vertice alla conclusione della trattativa sui dazi entro il 9 luglio definiranno sia i rapporti tra Usa e Ue sia la posizione e lo schieramento dell’Italia.

4 Giugno 2025

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