Il rinvio a giudizio

Infami, ci chiamate a processo dopo 5 anni per aver salvato 27 persone in mare!

Alla fine faremo, dopo 5 anni, questo processo. Lo trasformeremo in un processo all’omissione di soccorso.

Politica - di Luca Casarini

3 Giugno 2025 alle 17:29

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Foto da X/Mediterranea Saving Humans
Foto da X/Mediterranea Saving Humans

Dopo 5 anni dai fatti, siamo chiamati a processo. Un dibattimento pubblico al quale non vogliamo sottrarci: non invochiamo l’immunità come se fossimo ministri. L’accusa di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver introdotto sul suolo italiano 27 persone senza documenti”, è una medaglia. Quelle 27 persone erano state abbandonate in mare per 38 giorni da più Stati: Malta, Italia, Danimarca, e infine, l’Unione Europea intera.

Durante le udienze preliminari dalla loro voce abbiamo potuto sentire, anche la giudice e anche il pubblico ministero, in quali condizioni erano a bordo della petroliera che li aveva soccorsi, ottemperando alla legge del mare. Una sola donna, con il marito e altri 25 uomini, uno minore: tutti dovevano fare i propri bisogni in un secchio. Erano relegati in una parte della prua della nave, all’aperto giorno e notte. Il Covid imponeva all’equipaggio il distanziamento, ma comunque su una petroliera non ci sono cabine passeggeri. Sono finiti i piatti di plastica sui quali poter mangiare quel poco che veniva spartito: hanno dovuto usare dei pezzi di cartone come recipienti per il cibo. Per lavarsi stessa storia: davanti a tutti, utilizzando un barile pieno d’acqua dissalata e un mestolo.

L’acqua di mare dissalata era anche quella da bere: si chiama così, ma il sale ancora si sente. Ad agosto, con 40 gradi di giorno, si sente ancora di più. In mezzo al mare, di notte invece fa freddo. Dormivano buttati sul cordame, sulle cime della nave, che è come dormire sui sassi. Il pavimento era tubi, acciaio, grate di ferro. Come stare su una graticola rovente con il sole, su una ghiacciaia durante il buio. La giovane donna, la chiamerò qui Miryam, ha raccontato di come le guardie del lager libico l’abbiano violentata in gruppo, davanti a suo marito e davanti a tutti gli altri prigionieri. Ha descritto, e questo la giudice e il pubblico ministero lo hanno sentito bene, di come quegli uomini strafatti di droga e viagra, facessero lo stesso con le altre, davanti ai loro figli. Il marito, lo chiamerò qui Yusuf, ha raccontato del tentativo di suicidio che tre dei sopravvissuti a bordo della petroliera, dopo un mese di abbandono, hanno tentato: si sono buttati in mare. Il pubblico ministero ha ironizzato: “Si sono buttati in acqua, non era mica un suicidio”. Peccato che la paratia della Maersk sia di 15 metri. Equivale a buttarsi da un palazzo di dodici piani in mare aperto.

Per 38 giorni nessuno, dico nessuno delle civili e democratiche autorità europee, ha sentito il dovere di mandare almeno un medico. Perché nessuno voleva essere costretto poi a prendersi carico di quei profughi fuggiti dalla Libia. E allora, dopo 38 giorni, ci siamo andati noi. Ci condanneranno per questo? Va bene, lo accetto. Lo rifarei mille volte. Ma loro lo sanno bene questo. E quindi non gli basta. Sanno che imputarci questo “reato” è come darci una medaglia. Per loro chi fa morire i naufraghi, chi paga per tenerli nei lager o perché siano deportati nel deserto, è“ onorevole”. Chi protegge i criminali contro l’umanità è ministro o premier. Noi ci teniamo a non essere come loro. E allora quale è lo stigma, l’accusa infamante da associare all’articolo 12, per il quale rischiamo 15 anni di galera? Il “lucro”. Come nel caso del mio amico e fratello Mimmo Lucano. Aver tratto profitto. Siamo spiati e scandagliati da anni. Sanno come viviamo, sanno quanti soldi abbiamo, o meglio: sanno quanti debiti abbiamo. Sanno che non ci siamo arricchiti, sanno tutto.

Si inventano la storia della Maersk che decide di farci una donazione tre mesi dopo quel settembre del 2020. Dal dossier dei servizi che è allegato agli atti con la formula della “relazione di polizia giudiziaria “, si capisce che hanno paura di una possibile, strana alleanza che potrebbe allargare il sostegno al soccorso in mare: i grandi armatori del traffico commerciale del Mediterraneo. Lo scrivono nero su bianco, sulla relazione che è agli atti: “obiettivo che gli imputati perseguono, nel tentativo di cambiare le leggi sull’immigrazione decise dagli Stati europei”. La donazione dunque – 125 mila euro, decisa dalla Maersk proprio per scelta politica dopo l’esperienza vissuta con i 27 naufraghi che nessuno voleva – diventa “il lucro”. A nulla valgono le deposizioni degli armatori, che spiegano perché hanno deciso di donare dei soldi a una ong.

Il pubblico ministero di fronte a tanta evidenza, nella requisitoria finale dichiara: “Non abbiamo trovato le prove di un accordo, ma come non ipotizzarlo?”. Nessuna prova. Ma ci voleva il “lucro” per farci condannare subito, dal governo e dai suoi sostenitori, per via mediatica. E per farci stare male, come lo sono stato io, per una accusa infamante e spregevole, una menzogna lurida. Una calunnia che infanga. Chi si leggerà la mia deposizione troverà le parole che ho rivolto al pubblico ministero: “Mi metta in galera per favoreggiamento, mi dia tutti gli anni che vuole, ma non usi contro di me l’infamia. Lei lo sa chi sono e come vivo. Voi mi conoscete. Sapete che non abbiamo mai fatto nulla, nessuno di noi, per trarre profitto “. Alla fine faremo, dopo 5 anni, questo processo. Lo trasformeremo in un processo all’omissione di soccorso.

3 Giugno 2025

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