L'esame della Corte Cosituzionale

La legge Piantedosi è l’affoga naufraghi: impedisce di salvare chi sta morendo in mare

Il difensore dell’Avvocatura dello Stato a fine udienza dice che sì, lo sa che i miliziani libici sparano e deportano ma che è al governo che bisogna chiederne conto, non a lui

Cronaca - di Angela Nocioni

22 Maggio 2025 alle 15:00

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La legge Piantedosi è l’affoga naufraghi: impedisce di salvare chi sta morendo in mare

“To leave! To leave!”. Andatevene, abbandonate l’area. Non soccorrete i naufraghi. L’ordine assassino dei miliziani libici risuona finalmente nella Sala udienze del Palazzo della Consulta. Eccolo qui l’ordine disatteso: andatevene! Questo intimano ai soccorritori i miliziani libici quando irrompono sulla scena di un’operazione di salvataggio. È il vicepresidente della Corte costituzionale, Francesco Viganò, a cogliere la sostanza. Chiede un chiarimento: “Quest’ordine di lasciare la zona è agli atti? Perché nel fascicolo non lo trovo”.

Per non aver obbedito a quest’ordine partito da una motovedetta libica, la nave di soccorso Ocean Viking della Sos mediterranée è stata punita con un fermo di 20 giorni nel febbraio scorso secondo le norme del decreto Piantedosi, convertite dal Parlamento in legge dello Stato, la cui compatibilità con la Costituzione italiana è arrivata finalmente ieri al giudizio dell’Alta Corte. Risponde al giudice Viganò per conto della Ocean Viking l’avvocato Dario Belluccio: “È a pagina 2 del verbale di contestazione, nel secondo periodo: lasciare l’area. È una email, è agli atti”. Gli avvocati della ong non sapevano dell’esistenza di questa email, le minacce dei libici quando piombano per impedire un soccorso sono a voce, per radio. La email è venuta fuori ad ottobre, presentata dall’accusa, quindi dal governo italiano, durante l’udienza del processo al tribunale di Brindisi in cui la giudice ha ritenuto di dover chiedere alla Consulta di verificare se le norme della legge Piantedosi violino le Costituzione italiana.

Il giudice Viganò: “Quella email bisogna produrla”. Belluccio: “È un piacere”. Ha da dire qualcosa a tal proposito l’avvocatura dello Stato? “Nel merito niente da osservare”. Avrà poco da osservare per tutta la durata dell’udienza l’avvocato dell’Avvocatura dello Stato, Lorenzo D’Ascia, cui tocca difendere la legge Piantedosi. Si rimette per lo più alla memoria difensiva scritta. Il giudice Viganò chiede alla difesa della ong quale norma abbia citato per ricordare che nessuno può intervenire nell’autonomia del comandante di una nave di fronte a un salvataggio. L’avvocato Belluccio risponde: “La regola 34 del capitolo 5 della Convenzione Solas, sottoscritta dall’Italia”. L’avvocato Lorenzo D’Ascia dice che gli “sembra strana l’autonomia dei comandanti”. E, sotto la testa mozzata di Oloferne (olio su tela, ‘Giuditta e Oloferne’ di Cristofano Allori, Firenze 1577-1621) pronuncia le seguenti parole: “L’obbligo di salvare si combina con l’obbligo dello Stato di garantire l’ordine dello svolgimento dei salvataggi”. E chi lo garantirebbe l’ordine dei salvataggi? I miliziani libici che non hanno mai fatto un solo salvataggio ma solo deportazioni?

L’Avvocatura dello Stato parla incredibilmente di comportamento adottato dai soccorritori che “mette in pericolo l’ordinato svolgimento dei salvataggi”. Parla anche di “istituzioni libiche”, come se ci fossero dei veri marinai di una vera guardia costiera a bordo delle motovedette date alla Libia dal governo italiano e non dei banditi spesso incappucciati, con i mitra in alto, che se arrivano a mettere mano sui naufraghi prima dei soccorritori li frustano, li picchiano – come provano numerosi documenti anche video – e li deportano in celle dove vengono sistematicamente torturati e stuprati. In Libia, come in Tunisia. Il modello libico è perfettamente replicato in Tunisia. A fine udienza, uscito dalla Sala, l’avvocato D’Ascia stringe le spalle, dice che sì, lo sa bene che sulle motovedette libiche ci sono miliziani armati che impediscono ai soccorritori di fare salvataggi e che lui personalmente ha grande stima di chi va in mare a salvare i naufraghi. Ma come può argomentare allora che sia compatibile con la Costituzione italiana un decreto che impedisce di fatto ai soccorritori il diritto di prestare soccorso e al capitano della nave di rispettare il dovere di salvare naufraghi? Dice che non è a lui che bisogna chiederlo, ma al governo e i politici che quelle norme hanno varato. Tant’è.

In una stanza laterale del Palazzo della Consulta ci sono due avvocate di Human Rights Watch e dell’European Center for Constitutional and Human Rights con l’interprete. Partecipano come amici curiae tramite memorie scritte che sottolineano gli obblighi dell’Italia secondo il diritto internazionale. Sono qui perché dicono “la decisione della Corte potrebbe incidere profondamente sulle politiche marittime adottate dall’Italia e sulla tutela dei diritti umani alle frontiere europee e in mare, sono a rischio diritti e principi fondamentali: si tratta di salvare vite in mare e di proteggere le persone da abusi indicibili”. Le questioni poste ieri all’esame dei giudici della Consulta riguardano la violazione da parte delle norme Piantedosi dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e determinatezza sanciti dalla Costituzione italiana ed egli obblighi vincolanti che derivano dal diritto internazionale, dal diritto del mare e dal diritto europeo.

Dopo che è stata portata all’attenzione della Corte la questione di costituzionalità della legge Piantedosi, la maggioranza di governo è intervenuta nel testo per dribblare la questione della fissità della sanzione che impediva al giudice nell’applicare la norma di graduare la sanzione rispetto alla condotta contestata. Prima la durata del fermo era di venti giorni, fissi, né no di più né uno di meno. È stata modificata e ora varia dai 10 ai 20. A fine udienza nota l’avvocata Francesca Cancellaro, legale di Sos mediterranée che ha seguito il caso dall’inizio: “Stante la natura sostanzialmente penale della previsione del fermo, il diritto più favorevole nel frattempo intervenuto dovrebbe essere applicato anche al caso di specie. Conseguenza: la giudice del tribunale di Brindisi deve essere messa nella condizione di valutare la disciplina nuova e considerare la sua legittimità costituzionale.  E per questo noi dicevamo che riguardo questo punto era importante che la Corte rimettesse alla giudice di Brindisi la valutazione solo di questa prima questione a fronte delle tre questioni sollevate, sulla seconda e sulla terza riteniamo debba pronunciarsi la Corte. Rispetto a questa introduzione normativa che da un punto di vista giuridico è l’elefante nella stanza, l’Avvocatura dello Stato ha preferito non prendere posizione nella sua memoria. Questo è un elemento importante perché è stata recepita la necessità di graduazione della sanzione ammettendo implicitamente la sua inadeguatezza”.

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Da notare che da quando la giudice di Brindisi ha rimandato la legge Piantedosi all’esame della Corte costituzionale, nessuna nave è stata più sanzionata con il fermo amministrativo nei porti. Così, magicamente.

22 Maggio 2025

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