Burrasca nel Mediterraneo

Perché la Ocean Viking è stata sequestrata, Roma agli ordini dei tagliagole libici

La Ocean Viking salva 261 persone in soccorsi ordinati da Roma. E Roma la blocca 20 giorni in porto e la multa. Perché non avrebbe obbedito a “Zawia”, una motovedetta di miliziani libici. Che in mare nella scena dei soccorsi nemmeno c’era

Editoriali - di Angela Nocioni - 11 Febbraio 2024

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Perché la Ocean Viking è stata sequestrata, Roma agli ordini dei tagliagole libici

Mettetevi comodi perché sembra una barzelletta. Il Comando delle capitanerie di porto di Roma (Mrcc) ordina a una nave di soccorso, la Ocean Viking, di “muovere senza indugio al soccorso immediato” di un gommone in difficoltà in acque internazionali al largo della Libia.

E’ la notte tra il 5 e il 6 febbraio. Fatto. Salvate 110 persone: 11 donne di cui due incinte, una quarantina di minori tra cui oltre 30 non accompagnati, un bambino di un anno. Anche un cucciolo di cane.

Mezzo libico compie un respingimento illegale

Roma ordina alla stessa nave di correre a un secondo salvataggio. Fatto. Salvate 58 persone: 5 donne di cui 2 incinte, un bambino e una ventina di minori non accompagnati. C’è un terzo mezzo in difficoltà. Roma ordina alla stessa nave di muoversi per un terzo soccorso. Fatto.

Salvate 49 persone tra cui un bambino e 5 minori non accompagnati (le foto che vedete in pagina si riferiscono a questa serie di salvataggi). In mare scorrazzano motovedette libiche, la nave di soccorso assiste a deportazioni illegali.

 

Secondo salvataggio

I libici si fiondano su mezzi di fortuna di migranti che stanno scappando dalla Libia, li affiancano, fanno salire a forza tutti a bordo e li riportano in Libia (nei lager dai quali per uscire, se va bene, i deportati dovranno pagare molti soldi a una lunga catena di vari criminali). La Ocean Viking avvista una barca bianca di vetroresina sovraffollata senza giubbotti di salvataggio.

Lo comunica via radio alle motovedette libiche che, incessantemente, hanno finora ostacolato i soccorsi precedenti avvicinandosi troppo, creando onde vicino a mezzi sovraccarichi facili a ribaltarsi.

Terzo salvataggio compiuto il 6 febbraio

Le persone sulla barca di vetroresina gridano, chiedono soccorso, l’uomo al timone fa loro cenno di buttarsi in acqua. Per fortuna non lo fanno. Sono a dieci, a cinque metri dalla Ocean Viking. Pericolo di collisione.

Una barca di queste dimensioni e sovraccarica in caso di urto con la grande nave si ribalterebbe. Il rischio è tale che l’equipaggio della Ov per non farli rovesciare comunica a Roma e alle motovedette libiche che procede a soccorso. Salva tutti: 44 persone, un minore non accompagnato. L’uomo al timone fa rapidamente manovra e punta verso sud.

Completato il quarto salvataggio – 261 persone in tutto, duecentossantuno esseri umani – la nave fa rotta verso il porto assegnato dal Comando delle capitanerie di porto di Roma per lo sbarco: Brindisi. Arriva, fa scendere tutti. Sale a bordo la polizia. Altolà, nave sequestrata su ordine di Roma.

Perché? Se abbiamo fatto tutto quel che ci ha chiesto Roma! Avete violato il decreto Piantedosi. Ma come, se abbiamo fatto tutto coordinati da Roma, abbiamo rispettato il porto di sbarco assegnato, non abbiamo deviato la rotta, abbiamo anche curato a bordo i feriti!

Quarto salvataggio

Eh sì, ma non avete rispettato nell’ultimo salvataggio le indicazioni impartite dalla motovedetta libica “Zawia”. (Che non c’era. Ripeto: non c’era, era altrove, la motovedetta “Zawia” non era sulla scena del soccorso).

Per punizione, per non aver rispettato la pretesa di miliziani libici a bordo di un mezzo nemmeno presente sulla scena, Roma in applicazione del decreto Piantedosi decide 20 giorni di fermo e 3333 euro di multa. Quindi, almeno fino a metà marzo, la Ocean Viking non potrà essere nel Mediterraneo centrale, dove è annunciata burrasca e non potrà soccorrere nessuno.

Né denunciare le deportazioni illegali che i miliziani libici fanno con le motovedette date dall’Italia. La strategia del Viminale di assegnare alle navi di soccorso delle Ong porti più lontano possibile – così da costringerle a molti giorni di navigazione e a lasciare libero il mare alle scorribande dei miliziani libici costringendo i naufraghi a bordo, bisognosi di cure immediate, appena salvati dalle onde, ad aspettare giorni prima di toccare terra – ha l’avallo del Tar del Lazio.

Manovra pericolosa di motovedetta libica

In una sentenza dello scorso giugno passata quasi sotto silenzio il tribunale amministrativo ha respinto un ricorso di Medici senza frontiere che contestava l’assegnazione di un porto lontano dal luogo del soccorso facendo notare l’ovvio: il diritto internazionale obbliga all’assegnazione di un porto sicuro per lo sbarco dei naufraghi e non può esser considerato tale un porto che costringe sopravvissuti a un naufragio a giorni di navigazione innecessari.

Il porto sicuro non è quello più vicino, ha detto il Tar del Lazio. Coprendo quindi con una sentenza contraria alla logica e al buon senso la decisione del governo Meloni di spazzar via dal Mediterraneo centrale le navi di soccorso delle Ong e, con loro, la possibilità di (il cielo sa quante) persone di non affogare.

11 Febbraio 2024

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