La retromarcia del tycoon

Il ricatto di Trump: gas o dazi

Tutti gli occhi dell’Europa saranno puntati sul viaggio di Meloni negli States della prossima settimana: avrà il compito di avviare il negoziato europeo...

Politica - di David Romoli

11 Aprile 2025 alle 07:00

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Pool via AP – Associated Press / LaPresse
Pool via AP – Associated Press / LaPresse

Le borse europee festeggiano, quella americana dopo l’euforia della prima ora non così tanto. Nessuno si illude che la partita sia terminata, chiusa con una scorpacciata all’italiana di tarallucci e vino.

Tutti sanno che è al contrario appena cominciata e il prosieguo non sarà affatto in discesa. Non di sicuro e non necessariamente almeno. E tuttavia non sono esagerati i festeggiamenti delle borse europee, la soddisfazione dei politici, l’apertura di credito della Commissione che ha deciso di non far scattare il 15 aprile la prima tranche di “controdazi” anche se la tregua di Trump sembra riguardare solo il diluvio di dazi annunciato il 2 aprile e non quelli di marzo su acciaio e alluminio ai quali l’Europa avrebbe dovuto iniziare a rispondere il 15 aprile. Fino a mercoledì sera infatti incerto non era solo l’oggetto di una possibile trattativa ma la possibilità stessa di avviare un negoziato. Almeno questa incognita, pesantissima, è ora risolta: la trattativa ci sarà. Di incerto resta solo l’esito e e scusate se è poco.

C’è un secondo motivo di comprensibile soddisfazione. Anche se dalla Casa Bianca si affannano giurando che era tutto previsto al millesimo la realtà è che Trump si è dimostrato, non per la prima volta, un giocatore d’azzardo spericolato ma pochissimo esperto e per nulla abile. Lo hanno costretto alla retromarcia diversi elementi sfuggiti alle sue previsioni. Il calo del dollaro e l’aumento vertiginoso della rendita dei titoli di Stato americano, già considerati il bene rifugio per eccellenza, hanno dimostrato che la sgangherata offensiva del presidente stava minando la pietra angolare stessa del primato americano, cioè il dollaro quale moneta di riserva mondiale.

L’avvicinamento tra Cina e Ue, imposto dall’attacco su entrambi i fronti degli Usa, ha dimostrato nei fatti al tycoon le conseguenze della sua poco meditata politica: invece che isolata la Cina, il vero nemico, avrebbe avuto a portata di mano un sistema di alleanze mondiale, esteso agli alleati storici di Washington. La stessa base elettorale del presidente, quella Main Street che non gioca in borsa e che il presidente afferma di voler difendere a scapito di Wall Street in realtà finisce per essere coinvolta dal tracollo della borsa attraverso gli investimenti dei fondi pensione. La conclusione è che nelle trattative gli europei non potranno più essere considerati come giocatori che “non hanno le carte”. Basta a spiegare e giustificare la sensazione di sollievo diffusa.

Le buone notizie però si fermano qui. Il prezzo che Trump pretenderà nei negoziati che condurrà con l’abituale buona grazia sarà esoso, forse da strozzo. Reclamerà massicci acquisti di armi e soprattutto di gas liquido americano. Politico, citando come fonte le stesso Trump, azzarda una cifretta: 350 miliardi di dollari.
Del pacchetto di richieste farà senza dubbio parte quella di affiancare gli Usa nella sfida all’ultimo dazio contro la Cina. Capitolo a sua volta spinoso: a fronte della parziale chiusura causa tariffe proibitive del mercato americano cercare altri territori, come suggerito anche da Draghi, era e resta un imperativo. Nessuno si illude che il mercato cinese possa compensare quello americano ma certamente l’ex celeste impero è una delle piazze principali alle quali guardare. Trump pretenderà di chiudere quella via d’uscita senza che gli interlocutori europei possano mai essere davvero certi di non averne bisogno domani, in caso di possibili o probabili nuove alzate di testa del tycoon.

La stessa guerra della Cina, come ormai ripetuto più volte, è un problema in sé per l’Europa. Con il mercato statunitense chiuso la produzione cinese non potrà che riversarsi sul Vecchio continente, rendendo ancora più difficile una situazione che comunque si configura delicatissima. Se a tutto questo si aggiunge la consapevolezza che avere a che fare con Donald Trump significherà sempre da un lato correre sulle montagne russe e dall’altro doversela vedere con un mercante pronto a tutto per costringere le controparti ad accordi capestro si può capire perché resti difficile il compito di Giorgia Meloni. Di fatto dovrà provare a rompere il ghiaccio e ad avviare il negoziato europeo, in via informale ma con la benedizione esplicita dell’amica Ursula von der Leyen.

Però anche con i fucili puntati di alleati molto meno amichevoli di Ursula, prima fra tutti la Francia, che a caldo, mercoledì sera, aveva già preso di mira la premier italiana accusandola di rompere l’unità europea salvo ripensarci dopo la copertura offerta all’italiana dalla presidente von der Leyen e dal Ppe. Ma quei fucili restano puntati e pronti a tirare su Giorgia se la settimana prossima a Washington farà anche solo un piccolissimo passo falso.

11 Aprile 2025

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