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È legge il decreto sicurezza, il Governo blocca il Parlamento per la norma repressiva e liberticida

L’esecutivo interrompe l’iter del disegno di legge e accelera sul pacchetto di misure securitarie. La premier “Norme necessarie che non possiamo più rinviare”

Giustizia - di Frank Cimini

5 Aprile 2025 alle 09:00

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Photo Valentina Stefanelli / LaPresse
Photo Valentina Stefanelli / LaPresse

Alla fine tenendo conto in linea di massima delle osservazioni del Presidente della Repubblica il governo ha aggiustato, anche se solo un po’, il provvedimento sulla sicurezza. Ma si tratta comunque di un decreto che interrompe il percorso di un disegno di legge senza che vi siano esplicite ragioni di urgenza.

La direttiva securitaria resta prioritaria. Insieme al fatto che in gioco ci sono sempre la Costituzione e il Parlamento il quale viene esautorato di fatto. Pur avendo un’ampia maggioranza c’è la paura di discutere. “Sono norme necessarie che non possiamo più rinviare. Ecco perché, d’accordo con Antonio Tajani e Matteo Salvini, abbiamo deciso di trasformare il testo del pacchetto sicurezza attualmente all’esame del Parlamento, comprese le migliorie che vi ho appena ricordato, in un decreto-legge, che quindi sarà immediatamente operativo ed entrerà subito in vigore”, ha dichiarato la premier Giorgia Meloni parlando nel Consiglio dei ministri che ha approvato la norma. “È una scelta di cui ci assumiamo la responsabilità, consapevoli del fatto che non potevamo più aspettare e che era prioritario dare risposte ai cittadini e assicurare ai nostri uomini e alle nostre donne in divisa le tutele che meritano”.

In sostanza rispetto all’ipotesi originaria le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi di pubblica utilità e gli enti di ricerca non sono più tenuti a collaborare con i servizi di sicurezza e stipulare convezioni che obbligano a cedere informazioni anche in deroga alle normative in vigore sulla riservatezza. La collaborazione sarebbe solo facoltativa anche se questo è già un passo indietro rispetto ai canoni normali di democrazia. All’interno delle carceri il delitto di rivolta si considera commesso solo in presenza della violazioni di ordini impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza” e non invece per qualsiasi tipo di ordine, per esempio quelli relativi alla pulizia della persona e della cella. In tali casi si tratterà di materia disciplinare. Insomma per essere condannati non basta la resistenza passiva. Lo stesso discorso vale per le rivolte nei centri per il rimpatrio dei migranti. Esclusa la contestazione dell’accusa di rivolta dentro i centri di accoglienza che si riferiscono a una situazione completamente diversa.

Per contestare l’aggravante di pena in occasione delle proteste volte a impedire la costruzione di opere pubbliche la norma rivisitata dice che deve trattarsi di infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici. In parole povere, le manifestazioni dei NoTav restano a rischio (eufemismo). Per i migranti che sbarcano sulle nostre coste sarà sufficiente presentare un qualsiasi documento di identità e non il permesso di soggiorno al fine di ottenere una Sim telefonica, evitando che molti si trovino nella impossibilità di comunicare.

Nei reati di aggressione a pubblico ufficiale non ci sarà per forza la prevalenza delle circostanze aggravanti. La norma era stata ritenuta non equa a livello di diritto Penale dal Quirinale. Quindi andranno tenute in conto anche le attenuanti. Per le donne incinte o madri di bimbi di età inferiore a un anno si prevede l’obbligo e non la facoltà di trattenimento in istituiti a custodia attenuata. Inoltre sarà il giudice a valutare le esigenze dei minori a cui dare priorità al di là della gravità del reato intestato alle mamme.

5 Aprile 2025

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