La premier al Consiglio Europeo

Meloni infiltrata di Trump in Europa, la premier in equilibrio tra UE e USA

Al Consiglio europeo di oggi la premier si presenta in disaccordo su tutto con von der Leyen: ostile al riarmo a debito, che favorisce la Germania e penalizza l’Italia, ostile ai dazi da contrapporre agli Usa, ostile al piano da 40 miliardi di Kallas per aiutare Kiev

Politica - di David Romoli

20 Marzo 2025 alle 08:00

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Foto LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili
Foto LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

La Giorgia Meloni che arriva oggi a Bruxelles per il Consiglio europeo non è la stessa degli anni precedenti. La realtà è che nemmeno nei giorni difficili della trattativa sul nuovo Patto di Stabilità la distanza tra il governo di Roma e buona parte dell’Europa era stata così grande. Nell’agenda del Consiglio ci sono tre temi tutti diventati nell’arco di due mesi incandescenti e fondamentali: il piano di riarmo presentato dalla presidente della Commissione von der Leyen, l’Ucraina e la competitività. Su tutti e tre la posizione della premier italiana è eccentrica per non dire radicalmente dissidente.

Sul riarmo in sé Meloni non ha obiezioni di sorta e il modello indicato da Ursula, riarmi nazionali senza prospettive a breve di esercito comune, le va benissimo, lo preferisce di gran lunga. Il nodo è nella parte sommersa di quel piano che riguarda sì le armi ma è anche un piano industriale in piena regola che va a sostituire il di fatto naufragato Green Deal. Solo che quel piano è modellato sulle convenienze e le esigenze della Germania, opposte a quelle dell’Italia. La sottrazione delle spese militari ai vincoli del Patto di Stabilità allevia il peso di una formula che fa ricadere il debito sulle spalle dei singoli Stati ma non lo cancella affatto. Va dunque benissimo per Paesi con basso debito e ampio spazio fiscale come in particolare la Germania, malissimo per Paesi in condizione opposta come l’Italia. Senza contare lo smacco che dovrà subire un governo che si è impegnato a fondo in politiche di austerità proprio per abbassare il debito e che lo vedrà crescere invece di diminuire. La premier si presenterà quindi con la richiesta di modificare il progetto von der Leyen puntando sugli investimenti privati, formula suggerita del resto anche da Draghi nell’audizione al Senato di due giorni fa, con garanzia dell’Unione nel complesso e non dei singoli Stati. Ma si troverà contro non solo la Germania ma anche la stessa amica Ursula.

Sull’Ucraina la posizione dell’Italia è sulla carta identica: pieno sostegno a Kiev per una pace giusta e duratura. Però è solo apparenza. La Ue diffida di Trump, pur non potendolo strillare apertamente lo considera un nemico, è convinta che le sue trattative mirino a svendere non solo l’Ucraina ma anche l’intero continente. Giorgia è attestata sulla posizione opposta. Non solo spalleggia il presidente americano e sostiene in pieno la sua mediazione ma, nel Parlamento italiano, ha persino sorvolato sulla necessaria partecipazione dell’Europa alla trattativa. In una Unione che si muove in direzione opposta a quella di Trump, nella quale la diplomazia è affidata a un falco come l’Alta commissaria Kallas, la sua posizione è quasi antitetica rispetto a quella di Bruxelles e delle principali capitali. Senza contare i dubbi dell’Italia, esplicitati dallo stesso Tajani, sulla proposta Kallas di stanziare altri 40 miliardi di aiuti per l’Ucraina.

Anche il rifiuto di partecipare alla missione di peacekeeping vagheggiata da Macron e Starmer ha il suo peso. La vicenda non riguarda l’Unione della quale l’Uk, ma anche Paesi “volenterosi” come il Canada, non fanno parte. L’Italia poi non è isolata, dal momento che il rifiuto di inviare truppe è condiviso da Germania e Polonia. Ma la somma tra il credito pieno che Giorgia concede a Trump, il suo opporsi a qualsiasi ulteriore allontanamento tra Usa e Ue e il no alla missione a guida anglo-francese la rende ancora più sospetta agli occhi di Bruxelles. Competitività oggi vuol dire soprattutto guerra dei dazi e su quel fronte la premier italiana ha rotto clamorosamente il fronte europeo avanzando dubbi sostanziosi sull’utilità di ingaggiare una sfida a colpi di dazi con gli Usa. Lo ha fatto mettendo sul tavolo ragionamenti credibili e fondati.

Ha messo in guardia dal rischio di infilarsi in una classica spirale composta dall’inflazione, che inevitabilmente seguirebbe i dazi, dal rialzo dei tassi che la Bce deciderebbe di conseguenza e dall’impatto di questi ultimi sulla crescita dell’intera Unione. Ma, soprattutto nel clima di bellicosità a tutto campo che si sta diffondendo in Europa, revocare in dubbio la rappresaglia per i dazi di Trump è un ulteriore elemento di contrapposizione. Giorgia tenterà ancora di tenersi in equilibrio tra Europa e Usa. Sull’immigrazione, capitolo per lei importantissimo, il sostegno della Ue di Ursula è prezioso e fondamentale. Ma la corrente tira sempre di più in quella direzione.

20 Marzo 2025

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