La tardiva ammissione

Israele, il mea culpa dell’esercito: il “fallimento totale” del 7 ottobre 2023

Il giudizio emesso dalle forze di sicurezza in seguito all’indagine interna è lapidario: “Abbiamo fallito nella nostra missione di proteggere le persone, è una delle nostre più grandi debacle”

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

1 Marzo 2025 alle 10:00

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Photo credits: Imagoeconomica via Idf Us
Photo credits: Imagoeconomica via Idf Us

Un’autocritica spietata. L’ammissione di un “fallimento totale”, come mai era accaduto nella storia dello Stato ebraico. L’attacco sferrato da Hamas il 7 ottobre del 2023 contro il sud di Israele è stato “un completo fallimento” della sicurezza israeliana.

Questo quanto si legge nell’indagine interna condotta dall’esercito israeliano, secondo cui “le Idf hanno fallito nella loro missione di proteggere le persone” e che si è trattato di “uno dei più grandi fallimenti” nella storia dell’esercito. Un’indagine frutto di decine di migliaia di ore di lavoro da parte del Comando meridionale delle Idf, che ha scoperto che circa 5.600 terroristi hanno fatto irruzione in Israele in tre ondate. Dall’indagine è emerso che le Forze di difesa israeliane credevano, prima dell’assalto del 7 ottobre, che Hamas non rappresentasse una minaccia significativa per Israele, che non fosse interessato a una guerra su larga scala, che la sua rete di tunnel fosse stata notevolmente danneggiata e che qualsiasi minaccia transfrontaliera sarebbe stata sventata dalla recinzione di confine ad alta tecnologia.

Nessuno nell’apparato di sicurezza israeliano era a conoscenza o aveva previsto gli attacchi sferrati da Hamas e le forze di stanza al confine erano al livello minimo richiesto per affrontare le minacce quotidiane.  L’attenzione principale all’epoca era rivolta alla minaccia rappresentata dall’Iran e da Hezbollah che, emerge dall’inchiesta, erano a conoscenza dei piani di Hamas, ma non conoscevano il momento esatto in cui avrebbero attaccato. Gaza era quindi vista come una minaccia secondaria e, sebbene Hamas fosse ritenuto un organo di governo illegittimo di Gaza, non vi era stato alcun tentativo di sviluppare un’alternativa. Il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano, il generale Herzi Halevi, si è assunto intanto la ‘’piena responsabilità’’ del ‘’fallimento totale’’ della sicurezza israeliana dopo che sono emersi i risultati dell’inchiesta. ‘’Mi assumo la responsabilità. Ero il comandante dell’esercito il 7 ottobre e mi assumo la piena responsabilità di fronte a voi’’, ha affermato in una dichiarazione video.

Annota su Haaretz Amos Harel, ritenuto, a ragione, uno dei più equilibrati e informati analisti militari israeliani: “Se qualcuno si aspettava di vivere una catarsi, a quanto pare non è successo. ‘Siamo ancora tutti bloccati al 7 ottobre’, ha ammesso un ufficiale che ha preso parte alle indagini, ‘è impossibile disconnettersi’. Sullo sfondo aleggia inesorabilmente il timore che il cessate il fuoco sui fronti principali, Gaza e Libano, sia solo temporaneo. Se i colloqui dovessero effettivamente naufragare, la guerra potrebbe riprendere e le prospettive di liberare gli ostaggi ancora in vita si ridurrebbero notevolmente. Ci sono ancora 59 soldati e civili rapiti nella Striscia di Gaza, 24 dei quali si ritiene siano vivi”.

E ancora: “Halevi non manca di coraggio civico. A differenza di Netanyahu, si è assicurato di visitare la regione di confine sia prima che dopo il 7 ottobre. Durante una delle sue visite a Nir Oz, il kibbutz dimenticato e abbandonato dall’esercito, ha sentito qualcosa che lo ha scioccato. L’ultimo terrorista coinvolto nel massacro, gli disse un membro del kibbutz, aveva lasciato Nir Oz molto prima che entrasse il primo soldato. Questa è la tragedia in poche parole. Nir Oz era l’apice, ma l’Idf semplicemente non era presente nel sud di Israele quella mattina, almeno non al momento giusto e con il numero di truppe necessarie[…]Il punto fondamentale è che le indagini confermano molte delle informazioni pubblicate da Haaretz e da altri media negli ultimi 16 mesi e condividono molte delle stesse conclusioni. Ciò che si è verificato è stata soprattutto una fissazione concettuale. La comunità dell’intelligence, con l’Idf e il servizio di sicurezza Shin Bet in prima linea, non credeva che Hamas fosse in grado di organizzare un attacco coordinato di migliaia di terroristi in più di 100 punti di passaggio, che avrebbero superato con successo la divisione di Gaza e preso il controllo di gran parte del territorio di cui la divisione era responsabile. Israele ha scelto di adottare interpretazioni alternative, anche quando sono arrivate le prove che Hamas aveva preparato un piano operativo dettagliato per un attacco a sorpresa di questo tipo (il documento sul Muro di Gerico), stava addestrando le sue unità per metterlo in atto (come ha scoperto e riferito la sottufficiale dell’intelligence V.), stava conducendo insoliti giri sul campo (di cui gli osservatori dell’esercito erano stati avvertiti) e stava intrattenendo un dialogo operativo diversificato con i suoi partner riguardo al carattere dell’assalto e forse alla sua tempistica”.

Incalza Harel: “In pratica, al confine con Gaza, dove vigeva una politica particolarmente permissiva di permessi per lo Shabbat e le festività, la mattina dell’attacco c’erano solo 770 soldati da combattimento (o 680, secondo un’altra versione) e 14 carri armati. Hanno dovuto affrontare un’ondata di invasori che comprendeva quasi 5.600 terroristi prima che i rinforzi dell’Idf raggiungessero l’arena. La situazione al confine con il Libano avrebbe potuto essere ancora più grave se il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, non avesse esitato; il Comando Nord ha approfittato del momento per schierare tre divisioni sul posto entro sera. Essendo in inferiorità numerica di 5 o più a 1, i soldati negli avamposti e nei posti di comando lungo il confine con Gaza si sono trovati bloccati, cercando disperatamente di difendersi e avendo difficoltà a portare aiuto alle comunità o agli occupanti delle auto che venivano attaccate sulle autostrade, lungo le quali Hamas tendeva imboscate letalmente efficaci”.

“Il disastro del 7 ottobre, più che essere il risultato delle decisioni sbagliate di quella notte, riflette il culmine e l’intersezione di processi negativi che si sono sviluppati nel corso di molti anni. A capo di questi ci sono la concezione politica (Hamas come risorsa israeliana), l’errore di intelligence (Hamas non vuole e non può organizzare un attacco su scala di divisione) e il debole schieramento difensivo. Si è trattato di un’eclissi totale le cui conseguenze si sono abbattute sugli israeliani, come una diga fatta scoppiare da uno tsunami, alle 6:29 di quella mattina”, sottolinea l’analista di Haaretz. Ora, dovrebbe essere la classe politica a sottoporsi ad un’inchiesta altrettanto approfondita per accertare le indubbie responsabilità per il 7 ottobre. A cominciare dal Primo ministro. Ma Netanyahu continuerà a fare di tutto per impedirlo.

Annota in proposito Harel: “Le dimostrazioni settimanali di insensibilità da parte dei membri della coalizione, che continuano a fare i loro affari come se la tragedia li toccasse appena, hanno solo intensificato il dolore. Il Primo ministro Benjamin Netanyahu li ha superati tutti. Un minuto prima sventola le foto della madre e dei bambini alla Knesset e diffonde dettagli sul loro terribile omicidio in cattività, ignorando completamente la richiesta della famiglia di astenersi dal farlo. Due giorni dopo, si presenta in tribunale indossando una cravatta arancione e chiede ai giudici di iniziare il procedimento con un minuto di silenzio in memoria della famiglia Bibas, cercando di suscitare maggiore simpatia per sé. I giudici, dando prova di un coraggio fuori dal comune, hanno giustamente rifiutato”. Ecco chi governa oggi Israele.

 

 

1 Marzo 2025

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