La mozione di sfiducia
Tra borse taroccate e tacchi 12, Santanché si salva alla Camera: caso a livello “Isola dei famosi”
Il voto salva la cadrega di Danielona, che ribatte all’opposizione: “Ce l’avete coi tacchi 12”. Il Guardasigilli annuncia un nuovo intervento sul caso Almasri
Politica - di David Romoli

Due sfiducie al prezzo di una, entrambe alla Camera: la mattina la mozione contro il ministro della Giustizia Nordio per il caso Almasri, il pomeriggio è il turno della ministra del Turismo Santanchè. Dovrebbe essere una di quelle giornate in cui la tensione si taglia con la sega elettrica invece è smorta e flaccida come poche. Il governo si disinteressa, i deputati della maggioranza stanno lì solo per bocciare la sfiducia ai danni di Danielona. Quella su Nordio, infatti, era solo discussione generale senza ancora il voto. Uguale lo sforzo del governo per derubricare entrambe le sfiducie a notiziola breve, diverse le motivazioni. La decisione di azzardare una mozione contro Nordio pur sapendo che sarà certamente sconfitta era dettata dalla disperazione. Altra strada per evitare che la premier riuscisse a “voltare pagina”, cioè a sorvolare come se nulla fosse sul più grave scandalo che si sia verificato nei suoi due anni e mezzo di governo, l’opposizione non ha trovato. Ma più che una strada era un vicolo cieco come la giornata di ieri ha confermato in abbondanza.
I capi d’accusa erano già noti, anzi notissimi. Il ministro non ha replicato, promette di farlo però prima del voto. Si è perso il conto delle versioni discordanti offerte sinora e chissà che nella replica, se ci sarà davvero, non ne tiri fuori un’altra. Ma neppure in questo caso il danno sarebbe rilevante. Su tutta la vicenda ha pesato, smorzando la valenza esplosiva del fattaccio, la complicità di tutti gli ultimi governi con trafficanti e torturatori libici in nome del memorandum con la Libia ideato a suo tempo dall’allora ministro degli Interni Minniti e firmato dal premier dell’epoca Gentiloni, poi confermato dal governo Conte 2, quello con il Pd, e da quello in carica. La sola via per evitare l’oblio su cui puntava Meloni sarebbe stata quella di mettere sotto i riflettori non tanto il ministro della Giustizia quanto l’accordo ma nessuno ha avuto lo stomaco di farlo sul serio. La sola istituzione che possa alzare di nuovo lo scandalo è dunque la Corte dell’Aja, se deciderà di dar seguito in qualche modo alle denunce contro lo stesso Nordio, il ministro degli Interni Piantedosi (che ieri in aula ha accompagnato, almeno lui, il Guardasigilli) e il sottosegretario Mantovano. Sul tribunale dei ministri invece c’è poco da far conto. Se anche la richiesta d’autorizzazione arrivasse in Parlamento sarebbe affossato senza neppure troppo clamore.
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Opposto il caso Santanchè. Lì governo e maggioranza hanno scelto di tenere quanto più bassi possibile i riflettori perché sono in vero imbarazzo. La faccenda è molto meno grave di quella andata in scena qualche ora prima, ma non così per l’opinione pubblica. Un po’ la personalità della ministra, un po’ le notizie da cronaca rosa degli ultimi giorni, nello specifico le false borse griffate regalate dalla medesima, portano il caso a livello “Isola dei famosi”. La ministra ieri ha replicato alle accuse che le sono piovute addosso nella discussione generale, un paio di settimane fa. Il carattere non le manca, ha tenuto botta, assicurato di volersi difendere in tribunale, controaccusato gli accusatori di prenderla di mira per quel che rappresenta socialmente, “i miei tacchi da 12 cm e il Bilionaire”. L’argomento forte era il garantismo, la denuncia dei tribunali mediatici che emettono “condanne a vita”. Non le si può dare torto, se non fosse per la lista di casi in cui a chiedere dimissioni per ogni motivo immaginabile è stata proprio lei: Faraone, Iv, parla subito dopo di lei e la snocciola nome per nome. Effettivamente impressionante. Santanchè aveva peraltro provato ad anticipare il colpo: “Ho sbagliato e me ne scuso. Direte che è poco ma io almeno ammetto gli errori”. Un arrampicarsi sugli specchi.
La ministra promette però di riconsiderare l’eventualità delle dimissioni se finirà rinviata a giudizio anche per la truffa ai danni Inps, il guaio più serio con cui deve fare i conti. Lei per la verità è convintissima a tener duro anche in quel caso ma che una Meloni già piuttosto esasperata glielo permetta non è affatto detto. Nelle dichiarazioni di voto Conte alza i toni a uso del pubblico, prende di mira il “disastro morale”, si chiede e chiede se Meloni si ostini a non licenziarla “perché sotto ricatto”. Schlein se la prende soprattutto con la premier che “scarica la ministra e scappa”. Senza alcuna sorpresa la mozione non passa e forse sarebbe ora che l’opposizione si rendesse conto che la richiesta di dimissioni, con o senza mozione di sfiducia, non è l’unico strumento che si possa adoperare in politica. Anche per quella richiesta il tasso d’inflazione è un problema serio.