La violazione dei diritti
Governo e violazione dei diritti: nei centri d’Albania negata la difesa
I migranti trattenuti nel centro di Gjader hanno il diritto inviolabile a difendersi nelle udienze di convalida e per impugnare il rigetto della domanda di asilo. Ma come può in tempi brevissimi, una persona che non parla italiano, non ha un interprete e non può muoversi, trovare un avvocato di fiducia?
Cronaca - di Gianfranco Schiavone

Dopo aver esaminato le grandi carenze che, nell’ambito della terza missione in Albania, hanno caratterizzato l’intera fase dello screening (L’Unità 11 febbraio 2025), in questa seconda parte propongo una riflessione sulle non meno rilevanti problematiche che sembrano emergere in relazione alla modalità di svolgimento delle audizioni dei richiedenti asilo che, fino alla decisione della non convalida, sono stati trattenuti nella struttura di Gjader.
Come noto, sia nell’ultima che nelle due missioni precedenti, la procedura di esame delle loro domande (audizione dinnanzi alla Commissione territoriale, decisione e notifica del provvedimento di rigetto di riconoscimento della domanda) si è consumata letteralmente nel giro di poche ore, indistintamente per tutti i richiedenti. In tutte le tre missioni l’esito negativo del procedimento era stato già notificato ai richiedenti persino prima dell’udienza di convalida, nonostante come noto, detta udienza avendo come oggetto lo status libertatis delle persone, debba avvenire entro il termine brevissimo di 48 ore. Il tribunale della convalida si è quindi trovato di fronte a richiedenti asilo la cui fase amministrativa di esame della loro domanda di asilo era già interamente conclusa.
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La procedura accelerata di frontiera prevede indubbiamente tempi molto stretti per l’esame di merito della domanda di asilo da parte della Commissione territoriale competente la quale “entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all’audizione e decide entro i successivi due giorni” (d.lgs 25/08 art. 28bis). La velocità, che potremmo definire fulminea più che tempestiva, delle audizioni e delle relative decisioni di rigetto, solleva diversi interrogativi; apparentemente nulla vieta alla Commissione territoriale di esaminare la domanda di asilo con immediatezza; tuttavia la Direttiva 2013/32/UE (procedure) dispone che “gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti ricevano gratuitamente, su richiesta, informazioni giuridiche e procedurali, comprendenti, come minimo, le informazioni sulla procedura con riguardo alla situazione particolare del richiedente” (art.19) e che le informazioni giuridiche e procedurali gratuite di cui all’articolo 19 (possano essere fornite da) organizzazioni non governative, professionisti di autorità governative o servizi statali specializzati” (art.21).
Il tenore letterale della norma esclude che l’obbligo informativo possa ritenersi esaurito tramite la sola distribuzione di un opuscolo (o di un video) informativo, ma viene prevista un’informazione e un orientamento specifico per ogni richiedente il quale “può inviare alla Commissione territoriale memorie e documentazione in ogni fase del procedimento” (d.lgs 25/08 art. 31) e ha la facoltà di farsi assistere, in sede di audizione, da un avvocato (art. 16). Una lettura sostanzialista e teleologica della norma non può che portare a concludere che, pur nell’abbreviazione dei tempi dell’audizione prevista dalla procedura accelerata, tali tempi non possono essere così brevi da impedire o comunque ostacolare l’accesso del richiedente a incontri di preparazione all’audizione, nonché esercitare in concreto il diritto di nominare un avvocato e farsi assistere dallo stesso, nonché disporre di un tempo minimo per poter raccogliere o farsi inviare documentazione utile alla sua domanda. In tutta la vicenda colpiscono molto due ulteriori aspetti: il primo è che per nessuno, ma proprio per nessuno delle decine di richiedenti asilo la cui domanda è stata esaminata in Albania, sia mai intervenuta la necessità di aggiornare l’audizione, e rinviare dunque la decisione, per acquisire nuovi elementi, o per disporre accertamenti medici, psicologici o di altra natura (torniamo dunque ai temi già evidenziati sulla fase di screening nell’edizione dell’11.02.25); il secondo aspetto che colpisce è il fatto che tutti i dinieghi, nessuno escluso, siano avvenuti sulla base di una valutazione di manifesta infondatezza delle domande.
Veniamo infine ora al gruppo di problematiche più rilevanti che sono emerse durante la terza operazione albanese: esse riguardano la tutela legale delle persone trattenute in relazione alle due fasi cruciali della difesa tecnica in sede di convalida dei trattenimenti e dell’impugnazione dei dinieghi delle domande di asilo.
Sussiste, anche per i cittadini stranieri tradotti in Albania e trattenuti nel centro di Gjader, il diritto inviolabile a difendersi in giudizio (articolo 24 Costituzione) e godere di un giusto processo (articolo 111 Costituzione); ciò comporta il diritto a poter scegliere un avvocato di fiducia che fornisca assistenza nell’udienza di convalida. Come può però concretamente agire a sua tutela in tempi brevissimi una persona che non parla italiano, non ha a disposizione un interprete, non dispone nemmeno di un telefono e ovviamente non è libero di muoversi? Su come garantire diritti essenziali il Protocollo Italia-Albania prevede solo all’art. 6 par. 7 che “le competenti autorità italiane sostengono ogni costo necessario all’alloggio e al trattamento delle persone accolte nelle strutture di cui all’Allegato 1, compreso il vitto, le cure mediche (anche nei casi che necessitano l’assistenza delle autorità albanesi) e qualsiasi altro servizio ritenuto necessario dalla Parte italiana, impegnandosi affinché tale trattamento rispetti i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo, conformemente al diritto internazionale”.
Si tratta, come si vede, di disposizioni talmente generiche da risultare persino evanescenti. Lo straniero internato nello sperduto centro di Gjader in Albania (al quale, va sottolineato, è finora stato impedito l’accesso ad organizzazioni che siano terze rispetto all’ente gestore) potrà mettersi alla ricerca di un avvocato e parlarci in una lingua comprensibile ad entrambi solo se e nella misura in cui vi sia una benevola disponibilità da parte di chi gestisce il centro di trattenimento. Nel protocollo Italia-Albania l’esercizio di diritti fondamentali della persona, costituzionalmente tutelati, dipende dunque da fattori del tutto casuali o arbitrari. Avverso il diniego emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento del diritto d’asilo competente per i centri in Albania è ammesso ricorso nel termine tassativo di soli sette giorni; si tratta di un termine fissato dalla L. 187/2024 che ha modificato il d.lgs 25/08, dimezzando i già assai brevi termini previgenti. Diversamente dalla convalida nella quale la difesa tecnica è assicurata d’ufficio in caso di mancanza di un legale di fiducia, il richiedente asilo (come è evidente ma è bene ricordarlo) può scegliere se impugnare o meno la decisione negativa e il relativo obbligo di rimpatrio.
L’individuazione di un avvocato di fiducia è quindi dirimente; oltre alle stesse problematiche sopra indicate (come trovarlo? In che lingua parlarci?) assume rilievo la più macroscopica delle questioni, ovvero l’effettività del diritto alla difesa, ovvero la concreta possibilità che nei tempi previsti e nelle circostanze date (il trattenimento in Albania) l’impugnazione si possa realmente esperire. Una volta individuato (e solo per questo aspetto potrebbero passare alcuni giorni) l’avvocato dovrebbe, a distanza, oppure facendo un viaggio in Albania (ma chi può essere disposto a farlo, non come missione etica, bensì nell’ambito del suo ordinario lavoro di professionista?) sentire in modo approfondito il suo assistito in genere in più incontri e sempre con l’assistenza di un interprete, raccogliere e valutare eventuale documentazione utile, scrivere un ricorso adeguatamente argomentato che richiede competenze specialistiche di diritto interno, europeo e internazionale; tutto ciò dovrebbe farlo ad horas per riuscire depositare l’atto in tempo utile. Come tollerare un simile svilimento del diritto inviolabile alla difesa in materia di diritti fondamentali?
Nel disciplinare il diritto ad un ricorso effettivo la vigente Direttiva 2013/32/UE prevede che “Gli Stati membri prevedono termini ragionevoli e le altre norme necessarie per l’esercizio, da parte del richiedente, del diritto ad un ricorso effettivo di cui al paragrafo 1. I termini prescritti non rendono impossibile o eccessivamente difficile tale accesso” (art.46 par.4). La giurisprudenza della Corte Costituzionale sulla materia delle regole processuali è sempre stata molto stretta sostenendo che “il legislatore, nel regolare il funzionamento del processo, dispone della più ampia discrezionalità, sicché le scelte concretamente compiute sono sindacabili soltanto ove manifestamente irragionevoli” (Cort. Cost. ordinanza n. 7 del 1997). Una scelta come quella di prevedere i termini sopra esposti per proporre ricorso su un diritto fondamentale dal cui accertamento dipende la vita stessa dei ricorrenti mentre gli stessi sono trattenuti, neppure in Italia ma in una struttura all’estero, non è manifestamente irragionevole? Chi scrive ritiene di sì e confida che al più presto la Corte Costituzionale sia investita dalla questione.
FINE SECONDA E ULTIMA PARTE