Parola alla professoressa
Intervista ad Anna Foa: “Israele? I crimini di guerra a Gaza sono provati, Papa Francesco colpevole di dire la verità”
Anna Foa: “Il Papa ha detto che la popolazione della Striscia vive una condizione ignobile: è stato documentato dall’Onu, dall’Unicef, da giornalisti coraggiosi. Maledetto il 7 ottobre, ha diffuso la paura in Israele. Anche a sinistra...”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
![Photo credits: Marco Cremonesi/Imagoeconomica Photo credits: Marco Cremonesi/Imagoeconomica](https://www.unita.it/public/uploads/2025/01/anna-foa-1-992x661.jpg)
Definirla una intellettuale coraggiosa è peccare in difetto. Perché non è da tutti, soprattutto in questi tristi tempi dove a “regnare” è una sorta di pensiero unico e una informazione mainstream, andare controcorrente è una virtù che va coltivata, difesa, valorizzata. Virtù che Anna Foa sfodera nel suo ultimo libro Il suicidio di Israele (Editori Laterza), giunto alla seconda edizione, con vendite sorprendenti per un saggio. La professoressa Foa ha insegnato Storia moderna all’Università di Roma La Sapienza. Si è occupata di storia della cultura nella prima età moderna, di storia della mentalità, di storia degli ebrei. Tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo: Le vie degli ebrei; Gli ebrei in Italia. I primi 2000 anni; Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all’emancipazione XIV-XIX secolo; Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento; Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43; La famiglia F.; Donne e Shoah.
Papa Francesco nel suo discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha definito la condizione in cui versa la popolazione di Gaza, ignobile. Di nuovo, una presa di posizione forte di Bergoglio.
Io credo che Bergoglio abbia del tutto ragione utilizzando questo aggettivo così forte e angosciante. Lui ha ripreso le dichiarazioni che sono state fatte da più parti, dalle organizzazioni internazionali e dalle stesse organizzazioni che in Israele si occupano dei diritti umani. D’altro canto, le immagini che noi abbiamo – gli israeliani ne hanno di meno – di Gaza, sono immagini terrificanti. Si dice, a ragione, che lì si stia consumando qualcosa di terribile, che non ha eguali dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Che Bergoglio lo dica mi sembra positivo. Almeno c’è qualcuno che continua a dirlo. Non capisco di cosa possa essere accusato quando queste cose sono dette da tutti, sono dette e documentate dall’Onu, da agenzie umanitarie come l’Unicef, dalle organizzazioni di soccorso. Cose che sono state dette e raccontate da giornalisti coraggiosi, quali sono i giornalisti di Haaretz. Ieri, ad esempio, ho letto un bellissimo pezzo di Gideon Levy sullo scempio di vite umane che si sta perpetrando a Gaza e sulla deriva morale, non solo politica, che sta corrodendo Israele. Quanto a Bergoglio sta facendo il suo mestiere: il Papa. E lo sta facendo molto bene.
A proposito d’Israele. Il suo ultimo libro, Il suicidio d’Israele, sta avendo un grande successo. A cosa deve, a suo avviso, questa rispondenza così forte?
Forse al fatto che sono una ebrea, una ebrea della diaspora che dice cose che il mondo ebraico o non condivide o stenta a dire per tutta una serie di circostanze: l’idea di sollecitare l’antisemitismo, l’idea di non urtare le comunità, l’idea che Israele sia in pericolo oltre a commettere quello che sta commettendo a Gaza, e quindi che bisogna appoggiarla senza se e senza ma. Del libro, mi è stato detto anche che è stato scritto in modo molto chiaro e tale che le persone leggendolo capissero di cosa si parlasse. Io ormai sono abituata a divulgare. Anche nei miei libri più di studio cerco di usare un linguaggio di divulgazione e questo forse ha giovato. A questo aggiungerei che c’è una forte consapevolezza che ciò che sta accadendo a Gaza è una questione che ci riguarda tutte e tutti.
Professoressa Foa, non crede che l’appiattirsi sempre e comunque nella difesa d’Israele, finisca poi per far male a Israele stesso?
Lo credo assolutamente. Io credo che l’unico modo in cui la diaspora poteva aiutare Israele, era quello di sostenere l’opposizione, di impedire che scivolasse in questi crimini. Non vogliamo usare la parola genocidio, non usiamola, ma quella di crimini di guerra e contro l’umanità è del tutto confacente a ciò che da quindici mesi sta avvenendo a Gaza. Aiutare a far crescere l’opposizione che si è afflosciata dopo il 7 ottobre, che in qualche modo era anche quello che Hamas voleva.
Lei prima faceva riferimento ad Haaretz, uno degli ultimi bastioni di una stampa davvero indipendente in Israele. Sul quotidiano progressista di Tel Aviv, si è riaperto un vivace dibattito su una soluzione della questione palestinese fondata su uno Stato binazionale.
Lo Stato binazionale era la soluzione dei primi sionisti. Era una soluzione che in qualche modo è andata avanti anche nelle forme sioniste più istituzionali, fino alla grande rivolta del 1936. Ed è la soluzione migliore, in teoria, anche se oggi la vedo moltissimo come utopistica. Può essere che anche quella dei due Stati lo sia, però da un punto di vista realistico credo che bisognerebbe fare quello che è possibile, sapendo bene che non sarà il meglio. Se la soluzione a due Stati è più forte e in qualche modo consente di essere realizzata, anche se ha tutta una serie di problematiche e di possibilità di crearsi, forse si dovrebbe puntare a questo, sempre tenendo presente che lo Stato binazionale era l’idea dei primi sionisti, di quelli che hanno gettato le basi ideali e politiche nella prima metà del ‘900, di quello che poi s’inverò nello Stato d’Israele. L’idea, per l’appunto, di uno Stato binazionale, l’idea di mettere alla prova il sionismo sui rapporti con gli arabi. Il sionismo si sarebbe messo alla prova su questo, non su altre cose, non sull’identità israeliana, nemmeno sui kibbutzim o sul socialismo. Il sionismo si sarebbe messo alla prova sui rapporti con gli arabi. Purtroppo, la prova è fallita.
Nel sionismo, non era presente anche una componente messianica che oggi innerva le politiche della destra che governa oggi Israele?
Una piccola componente c’era, però anche i sionisti religiosi non erano in maggioranza messianici. Il messianismo nasce dopo il ’67, dopo la Guerra dei Sei giorni. Se Ben Gurion poteva dire, nel ’48, “non farò una battaglia sulla religione e sull’osservanza religiosa ebraica perché non vale la pena di scannarsi su questo quando fra due generazioni non ci saranno più religiosi”, era perché non era ancora affiorata quell’ala messianica che ci ricorda molto, lo dicevano gli israeliani prima del 7 ottobre, gli zeloti che hanno poi portato alla rovina il Regno di Giuda nella guerra con i Romani. Volete di nuovo distruggerci, gli zeloti sono di nuovo riapparsi, questo si diceva nelle discussioni e nelle piazze israeliane. Questi nascono con i coloni, nascono con una forte influenza degli ebrei americani ortodossi. Li abbiamo letti nei libri di Amos Oz, tantissimi anni fa, questi coloni con la kippah all’uncinetto che parlano, esaltati, della Grande Israele. Sono cresciuti anche perché hanno fatto dieci figli per due o tre generazioni, e questo ha aumentato il loro numero e di conseguenza anche il loro impatto sulla vita, sociale e politica, d’Israele. Sono questi esaltati che assaltano e danno fuoco ai villaggi palestinesi in West Bank e che vogliono colonizzare tutta Eretz Israel, la Terra d’Israele, e forse anche un pezzo in più.
Il 20 gennaio si reinsedia alla Casa Bianca Donald Trump. Nella vulcanica conferenza stampa di Mar-a-Lago, il presidente eletto ha sostenuto, tra le altre cose, che se Hamas non libera subito gli ostaggi che ancora ha in mano, quando diventerà a tutti gli effetti commander in chief degli Stati Uniti, scatenerà l’inferno a Gaza.
L’inferno c’è già a Gaza, dobbiamo non stancarci nel dirlo. Ogni inferno può essere peggiorato, certamente, puoi mettere tutti i palestinesi al muro e sterminarli uno dopo l’altro. In quella vulcanica conferenza stampa, ha detto anche altre cose, come volersi prendere la Groenlandia o Panama col suo canale, o fare del Canada il 51° stato americano. Siamo ormai ad un livello che forse un bravo psichiatra giudicherebbe pericoloso per la salute mentale del soggetto in questione. Si parlava molto del fatto che in fondo l’interesse di Trump per un rapporto con l’Arabia Saudita, lo avrebbe portato a mollare le punte più estreme di Netanyahu. Non mi sembra che stia succedendo questo, ma vedremo quello che accadrà dopo il 20 gennaio.
Allargando l’orizzonte a livello globale, non crede, professoressa Foa, che vi sia stata una regressione etica e culturale, per cui non esiste più l’avversario ma solo il nemico da distruggere con qualunque mezzo e a qualunque costo?
Sì. E io non perdonerò mai al 7 ottobre, e a coloro che l’hanno provocato, oltre alle tante vittime innocenti uccise brutalmente, di aver accelerato il processo di disgregazione dell’etica della sinistra, degli oppositori, attraverso la paura, a tutti quegli elementi negativi che sappiamo bene a cosa portano. La paura di un attacco fisico porta ad allinearsi alle posizioni di chiunque pur di evitare che qualcuno venga a tagliarti la gola dentro casa tua. Questo lo vediamo ovunque, ma lì in particolare dove era successo. Io credo che se non ci fosse stato il 7 ottobre, Netanyahu probabilmente sarebbe caduto nello spazio di un mese o due, perché era veramente sul bordo del precipizio, e invece il 7 ottobre, con questo mare di sangue, ha scatenato chiamiamola una depressione, chiamiamola una perdita di consapevolezza politica anche in tanti che l’avevano avuta e manifestata nel corso di quel lungo, straordinario 2023, in cui in centinaia di migliaia era scesi in piazza, con una determinazione e continuità eccezionali, contro la repressione interna e la spinta antidemocratica del governo Netanyahu. Tutto questo in parte è venuto meno. Ci sono però ancora tanti gruppi, tanti movimenti che si battono e dovremmo riconoscerli e aiutarli.
L’ultima domanda, ci rimanda ad un altro suo libro molto bello, Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43. Nel suo discorso di fine anno, il Presidente Mattarella, ha ricordato che nel 2025 si celebreranno gli 80 anni dalla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Professoressa Foa, cosa un millenial dovrebbe ricordare di quella storia?
Dovrebbe cercare di collegare quella storia ai suoi interessi di oggi, interessi intesi come le cose che lo interessano, le cose che ancora suscitano emozioni in lui o lei, ammesso che si possa parlare di questo. Vede, io cerco di dire sempre di sì agli inviti che mi vengono dalle scuole, ma nelle presentazioni, tante, del mio ultimo libro, le teste che ho davanti a me son tutte bianche. E questo è qualcosa di molto triste. Un giovane forse dovrebbe capire, per esempio, cosa sia stata la Liberazione. È difficile spiegare a qualcuno cosa abbia voluto dire per uno che è stato nascosto, uscire all’aria aperta e poter dire il suo vero nome e non un nome falso. Io che sono nata con un nome falso, ma non ero abbastanza grande per pronunciare il mio nome vero perché avevo cinque-sei mesi quando c’è stata la liberazione, capisco questa cosa, proprio perché sono stata costretta a vivere con un nome falso e anche a essere nascosta. Bisognerebbe spiegare loro la vita quotidiana di allora. Io ho tentato di farlo in quel libro che lei ha citato e che tra tutti quelli che ho scritto è quello che preferisco. In Portico d’Ottavia, ho cercato di far vedere come vivevano, come si nascondevano, che emozioni avevano coloro che abitavano lì, molti dei quali non sono più tornati indietro dai campi di sterminio. Un approccio di questo tipo potrebbe risultare utile, chissà. Cerco di trovare delle aperture nelle loro menti, e spesso la trovo. E non sono puramente quelle di pancia. Sono quelle in cui in qualche modo riesci ad identificarti con la vita e con la storia di un altro , che è altra cosa del piangersi addosso e avere solo emozioni e non ragioni.