Gaza sull'orlo del collasso

L’Onu contro l’esercito israeliano: “Spari su nostro convoglio umanitario”

Il 5 gennaio scorso nei pressi del checkpoint Wadi. Nessuno degli 8 membri dello staff del Wfp è rimasto ferito. L’agenzia delle Nazioni Unite: “Inaccettabile, va consentito il passaggio sicuro degli aiuti”. Nella Striscia mancano cibo e acqua, le testimonianze raccolte da Human Rights Watch

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

8 Gennaio 2025 alle 17:30

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AP Photo/Abdel Kareem Hana – Associated Press / LaPresse
AP Photo/Abdel Kareem Hana – Associated Press / LaPresse

Un convoglio di aiuti alimentari è un bersaglio da colpire. A Gaza. Per Israele. Il Programma Alimentare Mondiale (Wfp), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare, ha denunciato che un suo convoglio è stato colpito il 5 gennaio da spari esplosi dalle forze israeliane nei pressi del checkpoint Wadi Gaza. “Assolutamente inaccettabile: un convoglio del Wfp, chiaramente contrassegnato e con a bordo 8 membri del team, è stato colpito dalle forze israeliane nei pressi di Wadi Gaza, nonostante le autorizzazioni precedenti. Gli operatori umanitari non sono un obiettivo”, ha scritto su X Cindy McCain, direttrice dell’agenzia Onu. Nessun membro dello staff è rimasto ferito.

Stando a quanto rivela il World Food Programme il convoglio preso di mira dai militari dell’Idf era composto da tre veicoli e trasportava in tutto otto membri dello staff. Almeno 16 proiettili hanno colpito i mezzi. “Questo evento inaccettabile è solo l’ultimo esempio del complesso e pericoloso ambiente di lavoro in cui operano oggi il Wfp e altre agenzie. Le condizioni di sicurezza a Gaza devono migliorare urgentemente affinché l’assistenza umanitaria salvavita possa continuare. Il Wfp esorta tutte le parti a rispettare il diritto internazionale umanitario, a proteggere le vite dei civili e a consentire un passaggio sicuro degli aiuti umanitari”.

Il 17 novembre, il Pam ha avvertito della “possibilità immediata” che manchi il cibo, sottolineando come le forniture di cibo e acqua fossero praticamente inesistenti. Il 3 dicembre ha segnalato un “alto rischio di carestia”, indicando che il sistema alimentare di Gaza era sull’orlo del collasso. Il 6 dicembre ha dichiarato che il 48% delle famiglie nel nord di Gaza e il 38% degli sfollati nel sud di Gaza avevano sperimentato “gravi livelli di fame”. Al 6 dicembre, l’unico impianto di desalinizzazione nel nord di Gaza non era funzionante e la conduttura che fornisce acqua al nord da Israele è rimasta chiusa, aumentando il rischio di disidratazione e di malattie trasmissibili attraverso il consumo di acqua proveniente da fonti non sicure.

Human Rights Watch, l’Ong americana per i diritti umani, ha parlato con 11 civili evacuati dal nord di Gaza per andare a sud a causa di pesanti bombardamenti, per paura di imminenti attacchi aerei o perché Israele ha ordinato loro di evacuare. Molti di loro hanno raccontato di essere stati sfollati più volte prima di raggiungere il sud, mentre lottavano per trovare rifugi adeguati e sicurezza durante il viaggio. A sud hanno trovato rifugi sovraffollati, mercati vuoti e prezzi in aumento, e lunghe file per le limitate forniture di pane e acqua potabile. Per proteggere le identità delle persone intervistate, Hrw ha deciso di utilizzare pseudonimi.

“Devo camminare per tre chilometri per prendere un gallone di acqua”, ha detto Marwan, 30 anni, fuggito a sud con la moglie incinta e i due figli il 9 novembre. “E non c’è cibo. Se riusciamo a trovare del cibo, è cibo in scatola. Non tutti mangiamo bene”. “Manca di tutto”, ha detto Hana, 36 anni, che è fuggita dalla sua casa nel nord a Khan Younis nel sud con suo padre, sua moglie e suo fratello l’11 ottobre. Ha detto che nel sud non sempre hanno accesso all’acqua pulita, e perciò sono stati costretti a bere acqua non potabile e salata. Fare il bagno è diventato un lusso, a causa della mancanza di mezzi per riscaldare l’acqua, che li costringe a cercare legna. In situazioni disperate, ha detto, ricorrono persino a bruciare vecchi vestiti per cucinare. Anche il processo di produzione del pane pone delle sfide, data la scarsità di ingredienti che non possono permettersi. “Facciamo del pane scadente perché non abbiamo tutti gli ingredienti e non possiamo permettercelo”, ha detto.

Majed, 34 anni, che è fuggito con la moglie e i quattro figli superstiti verso sud intorno al 10 novembre, ha detto che la situazione nella zona è terribile, ma non è paragonabile a quella che lui e la sua famiglia hanno dovuto sopportare restando nel nord. Si trovavano in un’area vicina all’ospedale al-Shifa di Gaza, da poco più di un mese, dopo che la loro casa era stata bombardata il 13 ottobre, uccidendo il figlio di 6 anni di Majed. “In quei 33 giorni non avevamo pane perché non c’era farina”, ha detto. “Non c’era acqua la compravamo, a volte per 10 dollari americani a tazza. Non sempre era potabile. A volte l’acqua che bevevamo veniva dal bagno e a volte dal mare. I mercati della zona erano vuoti. Non c’era nemmeno cibo in scatola”. Taher, 32 anni, fuggito a sud con la sua famiglia l’11 novembre, ha descritto condizioni simili nella città di Gaza nelle prime settimane di novembre. “La città era priva di tutto, di cibo e di acqua”, ha detto. “Se si trovava del cibo in scatola, i prezzi erano altissimi. Abbiamo deciso di mangiare solo una volta al giorno per sopravvivere. Stavamo finendo i soldi. Abbiamo deciso di avere solo il necessario, di avere meno di tutto”.

Tutto questo non è casuale, episodico. È una strategia di annientamento perseguita dal governo Netanyahu, di cui fanno parte, con ruolo di primo piano, ministri dell’estrema destra. Come il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, che ha dichiarato in un tweet del 17 ottobre: “Finché Hamas non rilascerà gli ostaggi – l’unica cosa che dovrebbe entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivi dell’aviazione – non un grammo di aiuti umanitari”. Il 4 novembre, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato che nessun carburante deve entrare a Gaza “in nessuna circostanza”.

In seguito, ha definito la decisione del gabinetto di guerra israeliano di permettere l’ingresso di piccole quantità nella Striscia un “grave errore”, e ha detto di “fermare immediatamente questo scandalo e impedire l’ingresso di carburante nella Striscia”, come riportato Jerusalem Post. E’ lo stesso ministro che, poco tempo prima, aveva sostenuto pubblicamente che lasciar morire di fame due milioni di civili a Gaza “potrebbe essere giustificato e morale”, nel braccio di ferro tra Israele e Hamas sugli ostaggi israeliani ancora nelle mani dei miliziani palestinesi.

Scrive l’Osservatore Romano: “Quindici mesi ininterrotti di guerra, 45.800 palestinesi morti, 110.000 feriti e 11.200 dispersi a causa degli attacchi israeliani. La devastazione è imperante nella Striscia di Gaza e, secondo le autorità locali, riguarda ormai più dell’86% degli edifici”. Ben-Gvir e Smotrich sono ancora ai loro posti di comando.

 

8 Gennaio 2025

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