Regge la tregua in Libano, ma Gaza?
Mandato d’arresto contro Netanyahu, la corte dell’Aja chiede a Israele un’indagine interna
Gran Bretagna, Francia e Germania fanno pressione alla Corte internazionale perché ritiri il mandato di cattura contro Netanyahu e Gallant. Tajani: “Arresto rischia di rimanere solo un messaggio politico”
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Siete uno stato di diritto? Avete una magistratura ancora indipendente? Bene, allora aprite una inchiesta seria su ciò che è stato compiuto a Gaza.
La Corte penale internazionale potrebbe revocare i mandati d’arresto spiccati nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, se la Corte si convincesse del fatto che in Israele fosse aperta un’indagine approfondita, seria. Lo ha detto, in un’intervista radiofonica a Kan, il portavoce della Cpi, Fadi El Abdallah. Mercoledì Israele ha notificato alla Corte penale internazionale la sua intenzione di ricorrere in appello contro i mandati di arresto contro il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra. Lo ha annunciato ufficialmente l’ufficio del premier. In attesa di una decisione nel merito, Israele ha anche chiesto alla Corte penale internazionale di sospendere l’esecuzione di questi due mandati di arresto.
La richiesta della Corte penale internazionale sui mandati di arresto nei confronti del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e dell’ex ministro della Difesa, Yoav Gallant, «rischia di restare solo un messaggio politico». Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, durante il question time alla Camera dei deputati. «Non possiamo ignorare che in un momento di estrema tensione occorre continuare a perseguire obiettivi realistici che favoriscano dialogo e de-escalation. Per questo ribadiamo che il ruolo della Corte penale internazionale deve rimanere esclusivamente giuridico. Le decisioni non possono essere strumenti che complicano la ricerca di una soluzione pacifica ai conflitti», ha affermato Tajani.
Di rischio parla il titolare della Farnesina, ma ormai è una quasi certezza, tanto più di fronte al sostanziale passo indietro compiuto dalla Francia (“Terremo conto dell’immunità del primo ministro israeliano”). che ha messo da parte gli iniziali buoni intendimenti quanto all’attuazione dei mandati d’arresto in cambio dell’assenso israeliano al monitoraggio francese della tregua in Libano, in condominio con gli Stati Uniti. La pietra tombale arriva nel pomeriggio, quando i ministri degli Esteri di Germania, Francia e Regno Unito hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, affermando che non vi è alcuna giustificazione per cui la Corte penale internazionale debba adottare misure contro i leader israeliani. Lo riporta Haaretz.
In Libano si fa festa – anche se Israele già denuncia ripetute violazioni del cessate il fuoco – a Gaza si continua a morire. Poche ore dopo l’annuncio del cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah in Libano, le forze armate israeliane hanno intensificato i raid sulla Striscia di Gaza, che hanno causato almeno 15 morti e altre distruzioni. Nel mirino ci sono obiettivi civili, quali campi sfollati e abitazioni. Secondo l’agenzia Wafa, un bambino è stato ucciso nel bombardamento nella sua casa di famiglia nel quartiere Zeitoun di Gaza City. Un altro palestinese è stato ucciso nel bombardamento israeliano nel campo profughi di Jabalia. A queste due vittime si aggiungono altri quattro morti nei raid a due case a Beit Lahiya, sempre nel nord della Striscia di Gaza. Al centro della Striscia, almeno 9 persone sono morte nel bombardamento di un edificio residenziale nel campo di Nuseirat, dove un corrispondente di Al Jazeera, Talal al-Arouqi, è rimasto ferito. Secondo quanto riferito da Ap, centinaia di civili sono scappati da Beit Lahiya assediata a nord di Gaza, mentre le forze israeliane hanno separato le donne e i bambini palestinesi dagli uomini, che sono stati arrestati e inviati in Israele per essere interrogati.
L’allarme di Oxfam su Gaza
“Israele sta finalizzando il suo piano di pulizia etnica nel nord di Gaza e da 50 giorni ormai sta impedendo l’ingresso di qualsiasi aiuto, mentre la popolazione sta morendo di fame”. È l’allarme lanciato oggi da Oxfam, che lancia un appello urgente per un immediato cessate il fuoco e l’ingresso degli aiuti. “Da due mesi i nostri operatori e partner a Gaza cercano disperatamente di soccorrere la popolazione rimasta intrappolata a nord, ma Israele continua a bloccare qualsiasi tentativo e sappiamo già che molti bambini moriranno di fame” – spiega Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia. “La pulizia etnica che si sta consumando nel nord di Gaza dimostra ancora una volta come Israele stia operando nella più totale impunità, violando il diritto internazionale. Siamo di fronte all’annessione de facto di quest’area, mentre svanisce ogni speranza di una soluzione giusta e pacifica, con la comunità internazionale inerte e in qualche caso palesemente complice. Israele continua ad usare la fame come arma di guerra nei confronti di decine di migliaia di persone che vengono definite combattenti solo perché non sono riuscite a scappare. Al momento è impossibile sapere esattamente quanti stiano morendo per malnutrizione”.
Anche le Nazioni Unite confermano che dal 6 ottobre non gli è stato possibile consegnare aiuti alimentari nel nord di Gaza. “Il nord è isolato dal resto del mondo – racconta un operatore di Oxfam a Gaza. – A Jabalia, Beit Lahia, Beit Hanoun c’è solo caos, fame e morte. La popolazione è alla carestia e nessuno riesce a fare nulla. Siamo di fronte ad un orrore senza fine”. Al pari di tutte le organizzazioni e agenzie Onu che fanno parte della Food Security Cluster, a Oxfam è stato negato l’accesso nel governatorato di Gaza Nord da quando Israele ha intensificato l’assedio militare, il 6 ottobre. In questo lasso di tempo, si sarebbero potuti distribuire 800 pacchi di viveri utili a sfamare 5.600 persone.
Secondo Oxfam, in tutta Gaza, compreso il sud, a ottobre sono entrati in media 37 camion di aiuti al giorno, mentre nella prima settimana di novembre, 69 al giorno: prima del 7 ottobre ne entravano 500. Oxfam chiede un cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente e l’accesso degli aiuti umanitari a Gaza nord: “Gli aiuti devono arrivare in tutta Gaza e ai palestinesi deve essere data la libertà di tornare a casa, di ricostruire e di vivere in pace senza occupazione o blocco”.
Il ministero della Salute nella Striscia gestita da Hamas ha annunciato ieri che almeno 44.330 persone sono state uccise in più di 13 mesi di guerra tra Israele e i militanti palestinesi. Il bilancio include 48 morti nelle ultime 24 ore, secondo il ministero, che ha affermato che 104.933 persone sono state ferite nella Striscia dall’inizio della guerra, il 7 ottobre 2023. L’agonia di Gaza non ha fine. A Gaza è morta l’umanità. E la giustizia.