Stati Uniti e Francia garanti
Tregua in Libano: perché l’accordo è anche uno schiaffo all’Italia, Meloni ai margini
Il nostro, con la Spagna, è il Paese Ue che dà il maggior contributo in uomini a Unifil e per anni ha avuto il comando della missione. Una Caporetto per Meloni che si era spesa in prima persona, anche con una visita a Beirut. Israele ha condizionato il cessate-il-fuoco al coinvolgimento di Parigi, che aveva annunciato di non poter arrestare Netanyahu
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Tregua armata. Una parentesi, sulla carta lunga 60 giorni, tra una guerra e l’altra. Una tregua che serve ai principali contraenti: un Primo Ministro (Netanyahu) in odore di commissione d’inchiesta e sotto mandato di cattura internazionale, e un movimento (Hezbollah) che ha visto decapitare la sua leadership politica e militare, e che prova a spacciare la tregua come la vittoria della “resistenza”. In sintesi, una tregua di affari. Con l’aggiunto, del perfido sberleffo di Netanyahu all’uscente presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.
Dopo tredici mesi di no, di prese in giro, dopo aver contribuito alla vittoria di Trump, ecco il contentino al povero Joe: la treguetta. Che per non smentirsi colleziona l’ultima “perla”: l’inquilino in uscita dalla Casa Bianca ha approvato in via preliminare la vendita di 680 milioni di dollari di armi a Israele. Lo riporta il Financial Times sottolineando che si tratta di armi di precisione che il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha citato come uno dei motivi per sostenere il cessate il fuoco con Hezbollah. I funzionari americani hanno di recente informato il Congresso dell’intenzione di fornire a Israele ulteriori kit di munizioni per l’attacco diretto, i Jdams, e bombe di piccolo diametro.
La cronaca racconta che è entrata in vigore la tregua tra Israele e gli Hezbollah libanesi, preceduta da forti esplosioni nella zona di Beirut. Le potenti deflagrazioni, fino all’entrata in vigore della tregua, sono state avvertite anche da un giornalista dell’agenzia Dpa nella capitale libanese. Nel corso dell’altra notte, nel mirino dei militari israeliani sono finite zone nei pressi dell’aeroporto internazionale e nel sud del Paese dei Cedri. Sono state segnalate operazioni anche nei sobborghi meridionali di Beirut, senza che fossero stati diffusi ordini di sgombero. Hezbollah ha rivendicato il lancio di razzi contro il nord di Israele, contro l’area di Even Menachem, poco prima dell’entrata in vigore della tregua, affermando di continuare a sostenere i palestinesi della Striscia di Gaza. Poi è entrata in vigore la tregua. Poco dopo le forze israeliane hanno confermato che manterranno il dispiegamento militare nel sud del Paese, in linea con l’accordo, e rimarcato il divieto agli abitanti delle aree sgomberate di tornare nelle proprie case fino a nuovo avviso.
Su X il portavoce delle Idf, Avichay Adraee, ha scritto che i soldati “restano dispiegati nelle loro posizioni nel sud del Libano” con un riferimento alle “clausole” dell’accordo entrato in vigore alle 4 ora locale. Il quotidiano The National, degli Emirati Arabi Uniti, ha pubblicato il testo completo dell’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah. Secondo il media, il documento in 13 punti incarica le forze armate libanesi di far rispettare la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite del 2006, che impedisce a Hezbollah di rifornirsi di armi e infrastrutture militari a sud del fiume Litani, e richiede l’invio di 10mila soldati libanesi nella zona il prima possibile, sotto la guida di Stati Uniti e Francia. Gran parte del testo riguarda il funzionamento di un meccanismo tripartito istituito dalla forza di osservazione internazionale Unifil, dagli Stati Uniti e dalla Francia per gestire l’applicazione e le violazioni del trattato. L’accordo indica all’esercito libanese di controllare l’accesso alle aree a sud del Litani, anche se molti libanesi sembrano essersi già riversati nella zona.
Un ultimo punto include una richiesta da parte di Gerusalemme e Beirut affinché gli Stati Uniti e l’Onu aiutino a “facilitare i negoziati indiretti tra Israele e Libano con l’obiettivo di risolvere i punti controversi rimanenti lungo la Linea Blu (frontiera Israele-Libano), in linea con la Risoluzione 1701”. C’è “gioia per l’arrivo del cessate il fuoco” tra Hezbollah e Israele in Libano, ma “la situazione umanitaria rimane comunque tragica”. Così a LaPresse Valentina Corona, capa missione dell’organizzazione umanitaria internazionale Intersos in Libano. “I nostri operatori e tutta la popolazione sfollata si preparano a rientrare. Molti sono già rientrati mentre parliamo o stanno pianificando di rientrare”, racconta, “purtroppo non tutti hanno una casa in cui rientrare. Molti hanno case danneggiate, alcuni non hanno proprio niente”. “Il centro di Tiro e di Beirut sono stati devastati, sono in macerie”, aggiunge Corona, “iniziamo a ricevere prime immagini dei nostri centri nel sud che finalmente siamo riusciti a raggiungere. Hanno subito dei danni, ma finalmente adesso ci metteremo in moto per farne una stima e riattivare subito l’assistenza nelle zone che non riuscivamo più a raggiungere”.
I meccanismi di controllo della tregua rappresentano uno schiaffo in faccia all’Italia. A farsi garanti dell’attuazione dell’accordo raggiunto, sono Stati Uniti, e fin qui nulla di nuovo, e la Francia. E qui invece c’è la Caporetto di Giorgia Meloni. L’Italia è, assieme alla Spagna, il Paese europeo che dà il maggior contributo in uomini alla missione Unifil. L’Italia, nel 2006, sulla scia sanguinosa della guerra tra Israele ed Hezbollah, di quella missione fu artefice primaria, con Prodi premier e D’Alema ministro degli Esteri. Di quella missione l’Italia ha avuto per anni il comando. La presidente Meloni si è spesa in prima persona nel rafforzare le relazioni tra l’Italia e il Libano, recandosi di recente a Beirut. Il risultato? I fratelli-coltelli francesi ci hanno relegato ai margini.
Fratelli, per modo di dire, incoerenti, una certezza. Israele ha condizionato il coinvolgimento della Francia nell’accordo di cessate il fuoco in Libano all’annuncio pubblico da parte di Parigi che non avrebbe rispettato il mandato di arresto della Corte penale internazionale nei confronti del primo ministro Benjamin Netanyahu. Lo scrivono Haaretz e l’emittente pubblica israeliana Kan. Qualche ora dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco in Libano, infatti, la Francia ha annunciato di non poter arrestare Netanyahu perché ritiene che il premier israeliano abbia l’immunità dalla Cpi. “La dichiarazione francese sembra contraddire quella fatta poco dopo l’emissione dei mandati di arresto, quando Parigi aveva affermato che avrebbe confermato la decisione della Corte”, fa notare la stampa israeliana. Cosa non si fa per una parvenza di grandeur. E l’Europa? Non pervenuta. Come sempre.