Annullati i fermi in Albania
Deportazioni nei lager albanesi bocciate, Meloni perde la testa: “Risolveremo in cdm”
In visita in Libano, la premier è livida dopo lo stop dei giudici al piano antimigranti. “Una decisione politica, risolveremo in Consiglio dei ministri”
Esteri - di David Romoli
I giudici di Roma hanno rovinato la giornata libanese a Giorgia Meloni. L’irritazione, incontenibile, per lo smacco subìto sul Protocollo albanese ha la meglio su tutto, le impedisce di gestire la giornata come vorrebbe. Forse nessun premier più di lei, neppure Silvio Berlusconi che s’illuminava solo quando si trattava di politica estera, ha puntato tanto sull’immagine internazionale. L’escursione in Libano da prima premier che atterra a Beirut dall’ingresso delle truppe israeliane nel sud dovrebbe aumentare il lustro della sua immagine oltre confine, anche in nome di vecchi tempi mai del tutto dimenticati. “Sono fiera di essere il primo premier venuto in Libano dall’inizio dell’escalation. È un segnale importante”.
Peccato non poter coronare il viaggio con la classica visita al contingente italiano della missione Unifil, obbligo al quale in passato non si era mai sottratto nessuno. Anche perché non si sparava così tanto. A Giorgia la rinuncia pesa ma il ministro della Difesa Crosetto è stato ultimativo: troppo pericoloso, non se ne parla neppure. “Mi sarebbe piaciuto tornare alla base Unifil come avevo fatto qualche mese fa ma le condizioni di sicurezza non lo hanno consentito”, commenta la presidente che comunque ci tiene a ribadire “l’importanza di questi militari che tra mille difficoltà hanno contribuito a garantire sicurezza e stabilità sul confine”. Non chiede una modifica delle regole di ingaggio della missione Onu ma “la loro piena applicazione”, che non significa necessariamente cambiarle. È un esercizio di equilibrismo diplomatico nei confronti del Libano, le cui forze armate devono essere “pienamente operative e in grado di controllare il territorio”. In realtà Meloni sa benissimo, anche perché glielo ha ripetuto più volte Crosetto, che con queste regole di ingaggio le truppe Onu possono fare poco e niente.
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Tra i grandi Paesi europei l’Italia è stata negli anni ‘70 e soprattutto ‘80 forse il più centrale, quello più rispettato e considerato amico un po’ ovunque, grazie alle politiche impostate da Enrico Mattei ma portate poi avanti soprattutto da Moro, Andreotti e Craxi. Un Paese che aveva voce in capitolo e che, con la premier di centrodestra spera di dimostrare di averne ancora. Non sospetta di antipatia per Israele, la premier chiede proprio a Israele uno sforzo per riportare la pace nella regione: “La scomparsa di Sinwar può aprire la finestra per una stagione nuova: una finestra che deve essere colta da Israele”. Per questo annuncia che “alla fine di questa visita tornerò a chiamare il primo ministro Netanyahu”.
Giorgia Meloni non è una visionaria. Non s’illude di riuscire dove ha puntualmente fallito Joe Biden, con argomenti ben più convincenti a disposizione. Spera però che le circostanze, e in particolare proprio l’uccisione di Sinwar la cui imprendibilità forniva a Israele quasi un alibi per proseguire nell’offensiva, smuovano qualcosa nel governo israeliano e in quel caso vuole essere pronta a occupare il centro della scena. In fondo l’Italia era in grado di farlo trent’anni fa. Perché non provarci di nuovo? Anche per questo l’italiana è molto attenta a non guastare i rapporti con Israele, nonostante le posizioni di dura condanna prese dopo gli attacchi dell’Idf contro le postazioni Unifil, tra cui quelle tricolori.
Al suo fianco l’ospite, il premier libanese Miqati, va giù duro: “Condanniamo gli attacchi israeliani e le minacce all’Unifil. Sono una palese violazione della legittimità internazionale. Dobbiamo unirci contro questi attacchi. Ho ribadito alla premier italiana che la priorità deve essere fernare gli attacchi di Israele contro i civili”. L’italiana, invece, fa sfoggio di diplomazia: “Sulla sicurezza di Unifil ho parlato molto chiaramente con tutti i miei interlocutori. Dò per scontato che alcune cose accadute nei giorni scorsi non accadranno ancora”.
Nel complesso però la sceneggiata non ingrana, la comunicazione resta fiacca. Meloni conosce la politica. Sa che la missione in Libano è destinata a essere eclissata da uno scontro senza precedenti con la magistratura sul tema più vitale che ci sia per la destra europea, l’immigrazione. Dunque alza i toni passando dalla guerra libanese al conflitto politico e istituzionale italiano. “La decisione dei giudici – tuona – è pregiudiziale. Ci sono parlamentari pagati dal popolo italiano che chiedono alle istituzioni europee di colpire il popolo italiano. Ho convocato il cdm per lunedì e troveremo una soluzione”. Potrebbe trattarsi di un decreto legge non immediatamente impugnabile perché se in Libano la premier chiede il cessate il fuoco in Italia è pronta ad aprirlo.