Dopo gli altri attacchi alla base militare

UNIFIL via dal Libano: l’unica soluzione per l’Italia, Crosetto furioso con Israele: “Volete che rispondiamo al fuoco?”

Dopo il secondo assalto, Israele finge di abbassare la cresta: “Abbiamo colpito i militari inavvertitamente”. Ma il ministro della Difesa ribadisce: “Da lì non ci muoviamo”

Esteri - di David Romoli

12 Ottobre 2024 alle 11:00

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Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse
Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse

Stavolta Israele non rivendica. Il nuovo attacco alla postazione Unifil, nel quale sono rimasti feriti due militari cingalesi, viene derubricato a incidente: “Sono stati feriti inavvertitamente durante i combattimenti con Hezbollah” e le Idf si impegnano “a prendere ogni precauzione per ridurre al minimo i danni ai civili e alle forze di pace”. Probabilmente non è vero e gli attacchi di ieri, come quelli anche contro il contingente italiano del giorno prima, miravano a forzare la mano a Unifil costringendola a spostarsi. Ma almeno sul piano diplomatico è un passo avanti rispetto alla rivendicazione del giorno prima.

La torsione nella posizione israeliana dipende certamente dalla levata di scudi mondiale, particolarmente dura in Europa con l’ambasciatore israeliano convocato dal ministro degli Esteri francese e dichiarazioni più che irritate di Berlino e Madrid. Ma forse in parte dipende anche dalla telefonata all’omologo ministro della Difesa israeliano Gallant di Crosetto, che a nome dell’Italia ha assunto, parole sue, la posizione “più dura di tutti”. Il ministro rivela di aver chiesto all’israeliano, “come domanda provocatoria”, se l’Italia la prossima volta “debba rispondere”, insomma se debba sparare su chi spara. Poi prosegue sullo stesso fiammeggiante tono: “Non saremo mai noi quelli che si spostano perché qualcuno ce lo chiede con la forza. Da Israele pretendo il rispetto dovuto a una nazione amica impegnata in una missione di pace”. Con Gallant, di cui è amico, il ministro italiano non ha adoperato i toni molto bruschi con i quali aveva trattato il giorno prima l’ambasciatore di Israele ma la sostanza non cambia e qualcosa, almeno sul piano della forma che però non è secondario, ieri ha ottenuto.

Il collega ministro degli Esteri Tajani è molto più diplomatico. Definisce “inaccettabile” l’attacco. Dice di aspettarsi “le scuse di Israele”. È tassativo sul punto chiave: “I soldati italiani non si toccano”. Ma evita affondi come quelli di Crosetto. Non è il riflesso di una divisione reale nel governo o nella maggioranza ma quasi un gioco delle parti. L’intero governo è infatti consapevole di essere alle prese con una situazione molto difficile dalla quale il solo modo per uscire a testa alta è che sia l’Onu a ritirare la missione, senza che nessuno debba sganciarsi da solo, cosa che l’Italia non ha alcuna intenzione di fare, e prima che succedano incidenti ancora più gravi. In realtà, anche se nessuno lo ammetterebbe apertamente, nei palazzi del governo a Roma l’irritazione contro il segretario dell’Onu Guterres è pari a quella contro l’esercito israeliano. Crosetto, in conferenza stampa, lo fa capire senza margini di dubbio: “Da un anno e mezzo chiedo che vengano modificate le regole di ingaggio. Ho detto a tutti che se applichiamo la 1701 prima o poi lo farà qualcun altro. Inascoltato”.

La 1701 è la risoluzione che doveva garantire la smilitarizzazione della fascia tra il fiume Litani e il confine con Israele e la missione Unifil ha clamorosamente fallito nell’assolvere al compito per il quale si trova in Libano: proprio da quella fascia Hezbollah spara da anni su Israele. D’altra parte con regole di ingaggio che non permettono neanche di fermare e perquisire un camion pieno di militanti armati di Hezbollah e impone invece di rivolgersi all’esercito libanese perché proceda le cose non potevano andare diversamente. Ma ora è tardi per trasformare una missione di Peace-Keeping come quella di Unifil in una di Peace-Enforcing, modificando le regole di ingaggio. Bisognerebbe che prima Israele accettasse di mettere fine alla guerra e non ha alcuna intenzione di farlo. Anche il ripiegamento chiesto dalle Idf, a questo punto, suonerebbe come una resa al dikat israeliano ed è quindi fuori discussione.

L’unica soluzione è il ritiro della missione per poi sostituirla con un’altra, come chiede peraltro anche Israele. Ma non è una mossa che l’Italia possa fare da sola: significherebbe perdere ogni autorevolezza a livello internazionale. Né si tratta di un risultato che può derivare solo dalle pressioni, inconfessate e discrete ma robuste, di un solo Paese. La richiesta deve essere di tutti i principali Paesi che partecipano o finanziano la missione e a questo dovrebbe servire la conference call convocata per i primi giorni della settimana prossima, mentre il Consiglio europeo ha spostato la crisi libanese al primo posto nell’agenda del vertice del prossimo 17 e 18 ottobre.

Per il governo, peraltro, la crisi è un problema doppio, non solo sul fronte internazionale ma anche su quello della politica interna. L’opposizione martella, reclama comunicazioni in aula. Schlein si dice del tutto d’accordo con le posizioni di Crosetto l’ala sinistra, M5S e Avs, reclama passi concreti ben più drastici: la fine di ogni fornitura militare a Israele, addirittura l’interruzione dei rapporti diplomatici. Ma soprattutto quel che Meloni teme è l’immagine di una leader debole, opposta a quella sulla quale ha sempre scommesso. Anche da questo punto di vista un ritiro della missione deciso dal Palazzo di vetro sarebbe accolto a palazzo Chigi con un sospirone di sollievo.

12 Ottobre 2024

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