Il tramonto del Movimento
C’era una volta Beppe Grillo: la scatoletta di tonno si è richiusa
Il canotto, piazza San Giovanni, le parole d’ordine di un altro futuro basato sul green e i beni comuni, che aveva riportato alla politica tanti giovani. Dell’era del comico non restano che coriandoli
Editoriali - di Fulvio Abbate
Beppe Grillo, l’Invisibile, lo Scrivente. Remote, cinema politico ormai d’essai, le immagini del tempo felice, plebiscitariamente vincente. Con Beppe lì pronto a conquistare con la semplice forza dell’intuito un incredibile bottino di consensi elettorali. Miracoli della fantasia. Sembrava allora, appunto, che il Movimento 5 Stelle, certamente nelle pupille di chi ne aveva accolto l’esistenza come preziosa novità pubblica, dovesse davvero spalancare il Parlamento come una “scatola di tonno”. E sempre Grillo a guidare un nuovo Cln, suo personalissimo Comitato di liberazione nazionale 2.0.
In verità, a guardar meglio con gli strumenti del politologo, un ircocervo capace di accogliere e così riassumere ogni possibile pulsione politicamente collezionistica: destra, sinistra, ribellismo puro, rabbia condominiale, jacquerie municipale, acqua bene comune, sogni distopici, comunitarismo, autogestione e molto altro ancora, tutto ciò sovente accompagnato da un intento assembleare, l’apoteosi del capannello che si fa lista di lotta. E la metafora dell’apriscatole pronta a obliterare ogni altro simbolo pregresso. Il “nuovo” a portata di clic. Così almeno da parte di chi aveva contezza del significato “civico” dei cinque astri che, come emoticon, comparivano, e forse ancora adesso compaiono, nel contrassegno elettorale. Vita pentastellata, appunto. Irrilevante perfino che, più prosaicamente, pensando all’Inventore dell’accrocco, quasi chiunque aveva invece modo di chiamarli “grillini”, figli e nipotini adottivi di “Beppe”, creature cui l’estro di un attore comico aveva dato un’identità, forse anche un destino, la convinzione assoluta d’esserci nell’isola pedonale delle idee. L’avventura e il traguardo mai raggiunti da Jack Folla finalmente conquistati dal paziente Grillo, rottamatore ormai pentito di computer come inizialmente accadeva nei suoi show a pagamento.
Era Bologna, era piazza Maggiore, il luogo che Lucio Dalla ha trasfigurato in canzone, quando Grillo, aveva avuto cura di portare con sé un canotto, di quelli che solitamente si mostrano, inoffensivi, sui tettucci delle auto che filano dirette verso la villeggiatura marina, poco importa se Rimini, Viareggio o Pantelleria, e proprio su quel canotto, spinto dalle mani della folla festante. Lui si era accomodato, pronto ad essere trascinato dal suo popolo, idealmente verso una crociera politica fino a quel momento inaudita. Sembrava appunto in quel momento che nulla potesse più arrestarne la scommessa, l’azzardo. Ora che ci penso, avrebbe perfino attraversato a nuoto lo Stretto di Messina, dimostrazione atletica d’essere d’altra tempra rispetto alle grisaglie dei governanti che avevano in comodato, tradendolo, il bene comune. Grillo pronto a proclamare per sé stesso una nuova pagina rispetto a quando era un comico popolare televisivo in salopette, destinato, nel migliore dei casi, a irrompere nel sabato sera di Pippo Baudo con un copione sui socialisti “ladri” allora in trasferta in Cina.
Se il canotto evocato dal poeta Vladimir Majakovskij era andato a infrangersi sullo scoglio dell’esistenza e dell’amore mancato per Lilija, chiudendo con la vita con un colpo di pistola al cuore, il canotto non meno esemplare del Fondatore, del Garante, del futuro Elevato, creatore di un MoVimento grazie e soprattutto ai suggerimenti mediatici e futuribili di Gianroberto Casaleggio, sembrava porsi come l’unica originale “proposta giovane” della politica italiana. L’“uno vale uno” a fronteggiare i bugiardi pronunciamenti altrui, guerra dichiarata ai “professionisti” della politica.
Dov’è ora quel canotto? A un certo punto della nostra accidentata microstoria partitica è passato di mano, offerto a un avvocato dall’aspetto compito, Giuseppe Conte, il blazer “Davide Cenci”, abito ministeriale da Campo Marzio a Roma, surclassa così ogni memoria della salopette. Attraverso un asse ereditario che ha visto l’insieme dei pentastellati affrontare perfino le prove del governo, seminando strada facendo faccine e nomi di proconsoli convinti talvolta di avere “sconfitto la miseria”, innalzando intanto il papello del reddito di cittadinanza.
A giudicare dai dissidi ora in corso d’opera nel movimento, quasi liti familiari su possibili imposte di successione, appare cancellata ormai ogni memoria dei gazebi, dei meetup, delle dirette online affermate come prova di democrazia assoluta e ogni altra volontà assembleare. Nostalgia di quando sembrava che il Palazzo della politica dovesse essere semmai una “casa di vetro”, affinché i “cittadini”, emendati dal titolo indicibile di “onorevole”, vigilassero come virtuosi titolari dell’ideale Caf del movimento stesso. L’immagine stessa del canotto liberatorio appare infine trafitta dai reciproci pugnali dei sopravvissuti responsabili dell’impresa. Parlano a compendio del destino finale i carteggi pubblici fra il Padre e l’Erede.
Giuseppe Conte, come Bruto rivolto a Cesare, garante in bilico, accenna alla sospensione del contratto di consulenza con il M5s, dunque alla fine della tutela legale per il Fondatore, nella prospettiva di un congresso-Costituente incentrato sui tre capisaldi: limite del doppio mandato, simbolo e nome. “Il tuo comportamento”, scrive infatti Conte-Bruto a Grillo-Cesare, “mi obbliga a valutare possibili iniziative dirette a sospendere l’esecuzione delle prestazioni a carico del Movimento derivanti dalla malleveria. Nessuna norma statutaria è sottratta a possibili modifiche e/o revisioni”. La replica dell’Elevato, superati il formale “Caro Giuseppe” e l’evocazione del Suggeritore Trapassato Gianroberto, non nasconde asprezza: “In questi giorni stiamo assistendo allo spettacolo delle tempeste ormonali di commentatori eccitati al pensiero di ciò che potrebbe accadere, che speculano su battaglie, scissioni, contese sul nome e sul simbolo, e così via”.
L’amarezza e il disincanto del Garante davanti all’ormai preteso diritto di prelazione del Successore. Davanti a un mare sempre più minuscolo, sempre meno braccia a sostenere le reciproche barche. Dove sono adesso le braccia che un tempo spingevano il canotto di Grillo quando questi, affacciato sul Foro di Nerva dalla finestra della sua camera d’albergo annunciava la presa del Campidoglio e del palazzo di città torinese, mimando, con gesto faraonico, Raggi e poi mostrando una gruccia, nel senso di Appendino? Si dirà dell’impermanenza delle cose, si dirà ancora che un conto è la protesta ben altra storia è il governo, la responsabilità istituzionale, la credibilità perduta insieme alle illusioni, si dirà ancora, pensando segnatamente al movimento, di una classe politica di improvvisati, gli stessi che nella propria trousse intellettuale custodivano, almeno inizialmente, timori ossessivi per le scie chimiche e ogni altra forma di narrazione complottistica da “Giornale dei Misteri”. O forse anche nei frangenti terminali, Grillo sempre più sfocato di sfondo, torna nuovamente il biglietto d’addio di Majakovskij: “Come si dice, l’incidente è chiuso. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici”.
Una questione privata, insomma. E ogni riflessione sulla possibile adesione al “campo largo” un dettaglio, estraneo all’intento incendiario iniziale dell’intera impresa. Fico, Lombardi, Crimi, Di Maio, Azzolina, Taverna, Toninelli, Bonafede, Spadafora, Morra, Raggi e lo stesso Di Battista, al di là dei singoli destini politici oscillanti, ormai cognomi nel vento, stelle dalle luci boccheggianti. Cosa penserà di tutto questo l’anonimo sostenitore in costume da D’Artagnan, sciabola al fianco, che occhi increduli ha avuto modo di scorgere anni addietro al Circo Massimo, durante l’ultimo oceanico, fiducioso, raduno dei grillini, quando sembrava che “Beppe” si fosse infine rassegnato a benedire dalla sdraio, nella sua casa al mare, laggiù a Marina di Bibbona, il nuovo corso affidato all’avvocato Curatore Fallimentare non a caso devoto di Padre Pio?