L'ex coordinatore del Comitato Scientifico
“Un atto di clemenza per i carcerati è un atto di giustizia, ogni ritardo si misura in vite perse”, parla Glauco Giostra
“Altro che istigazione per delinquere!” Tuona il giurista, che nel 2017 fu a capo della commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario. La task force di Nordio? “Senza senso”.
Interviste - di Angela Stella
In questi ultimi giorni, il ministro Nordio si è reso protagonista di pensieri davvero poco encomiabili sulla situazione carceraria. In più ha messo su una task force che dovrebbe risolvere il sovraffollamento, ma che in realtà è solo uno specchietto per le allodole. Ne parliamo con il professor Glauco Giostra, già Coordinatore del Comitato Scientifico degli Stati Generali dell’Esecuzione penale ed ex Presidente del Gruppo di studio per elaborare una proposta di interventi in tema di ordinamento penitenziario e, in particolare, di misure alternative alla detenzione.
Che ne pensa dell’iniziativa del ministro Nordio di costituire una task force con i Presidenti dei tribunali di sorveglianza?
Prima di entrare nel merito delle soluzioni indicate, mi consenta di risponderle con una domanda. Si prefiguri questa situazione. Lei passeggiando ai margini della strada si accorge che sull’asfalto è riversa una persona, che urla per il dolore e perde copiosamente sangue, verosimilmente investita da una autovettura. Sopraggiunge finalmente il comandante della polizia stradale del posto che, invece di soccorrerla e di chiamare un’ autoambulanza, si preoccupa di rassicurare le persone accorse promettendo che studierà l’opportunità di introdurre un più severo limite di velocità in quel tratto di strada, di posizionare telecamere e di predisporre un percorso alternativo per i pedoni. Cosa penserebbe?
Intende dire che la situazione è di una tale gravità che si deve intervenire subito e con efficacia?
Certo. La situazione è da tempo gravissima e indegna di un Paese civile. Da più di vent’anni il sovraffollamento carcerario costituisce l’insufficienza più grave nella pagella civile di questo nostro Paese, al punto da meritarci ustionanti condanne da parte della Corte di Strasburgo per violazione dell’art.3 (divieto di tortura) della Convenzione europea, perché infliggiamo alle persone ristrette nei nostri penitenziari trattamenti inumani e degradanti. L’attuale drammatica situazione non è certo responsabilità solo dell’attuale governo, anche se questo è riuscito nell’improbo compito di peggiorarla con ripetute scorrerie legislative, all’insegna di una cieca repressione penale che, nel giro di meno di tre anni, hanno aumentato la popolazione penitenziaria di quasi il 30%. Molti dei nostri penitenziari sono ormai ridotti a invivibili stabulari che cagionano disturbi mentali, numerosi gesti di autolesionismo, il più agghiacciante numero di suicidi nella non edificante storia penitenziaria del nostro Paese.
A proposito di suicidi, come giudica la considerazione del ministro Nordio secondo cui «paradossalmente, il sovraffollamento è una forma di controllo» dato che «alcuni tentativi di suicidio sono stati sventati proprio dai compagni di cella»?
Ineffabile. Se si tratta di una battuta, sarebbe di cattivo gusto tenuto conto della realtà cui si riferisce; altrimenti, sarebbe di cattivo gusto il commento che ne seguirebbe spontaneo. Resterebbe inspiegabile, poi, come sia allora possibile che il numero dei suicidi sia aumentato con l’aumentare del sovraffollamento. Oltretutto, a voler ammettere questa funzione “provvidenziale” del sovraffollamento, dovremmo aggiungere al già raccapricciante elenco dei suicidi quello di coloro che hanno maturato la straziante decisione di togliersi la vita, sebbene poi salvati in extremis.
Torniamo alle linee di intervento che il governo intenderebbe perseguire.
Mi sembra una giacca non abbottonata in corrispondenza delle asole. A normativa costante, infatti, delle due l’una: o ci sono oggettive difficoltà a perseguire le soluzioni indicate dal ministro (riguardanti stranieri, tossicodipendenti, imputati) o è la magistratura a non svolgere bene e sino in fondo l’attuazione della normativa vigente. In entrambi i casi, istituire la task force con i magistrati di sorveglianza per dare risposte entro settembre non ha senso. Se, come è molto più probabile, sussistono ostacoli normativi, carenze strutturali, gravi deficit di organico, è sulla rimozione di queste cause che si dovrebbe semmai intervenire; ma, come ha chiarito il ministro, non sono soluzioni che si improvvisano. La sensazione, affiorata sin dalla promessa mai realizzata di utilizzare come strutture da adibire a soluzioni di custodia attenuata edifici demaniali, confermata con l’inutile e talvolta controproducente DL carcere sicuro, è che si continui con la politica del “promettente differimento”. Mediante la quale tacitare ad un tempo sia le voci di quanti, anche nella maggioranza, non sono più disposti ad accettare l’immobilismo dinanzi al disperato grido di dolore che da tempo giunge dalle nostre carceri e sia quelle di chi solleciterebbe ulteriori inasprimenti della risposta sanzionatoria. Il problema, almeno per la coscienza di chi non ha optato per una cinica sordità, è che ogni ritardo in tal caso si misura in vite umane perdute o comunque distrutte.
Quali dovrebbero essere le soluzioni in grado di risolvere o quanto meno drasticamente ridurre il sovraffollamento carcerario?
Intanto, mi lasci dire, il primo rimedio sarebbe stato quello di non produrlo, il sovraffollamento, come invece è accaduto con una politica che sa soltanto digrignare i denti della punizione carceraria per ostentare demagogicamente che si intende contrastare ogni illegalità. Emblematica la popolazione penitenziaria minorile, che era l’unica a non presentare nessun problema di eccedenza rispetto alle capienze regolamentari ed ora è già oltre il limite consentito. Anzitutto andrebbe elaborata una soluzione sulla falsariga di quanto previsto dalla proposta Giachetti: aumentare lo sconto di pena attualmente previsto per i condannati meritevoli, tenendo presente che non si tratterebbe di una regalia, di una prova di debolezza, come pure è stato purtroppo affermato, ma di un adeguamento di giustizia, poiché la riduzione di pena vigente è stata “pensata” dal legislatore per i condannati che se ne dimostrassero meritevoli in normali contesti di restrizione, e non – come avviene negli ultimi decenni – in una realtà che li sottopone ad un trattamento contrario al senso di umanità, vietato dalla nostra Costituzione (art.27, comma 3). Essendo poi questa soluzione probabilmente insufficiente, si dovrebbe emanare un indulto attentamente circoscritto quanto a tipologie di reato, che tenda ad evitare gli ultimi due anni di pena carceraria.
Ma non varrebbe la obiezione del ministro Nordio, secondo cui «da un punto di vista logico» questa sarebbe «un’istigazione a delinquere»?
I provvedimenti clemenziali hanno in genere diminuito – come studi indipendenti hanno attestato – la propensione a delinquere di coloro che ne hanno beneficiato, anche perché, ove recidivassero, dovrebbero scontare anche la parte di pena condonata. Non mi sembra, poi, che le preoccupazioni del nostro ministro abbiano turbato la Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha confermato, quindici anni fa nel caso Brown v. Plata, l’ordine al Governatore della California di liberare circa 36000 detenuti (sic!) per le condizioni degradanti e disumane in cui il sovraffollamento costringeva i ristretti nei penitenziari di quello Stato. Come pure, stranamente insensibili a questo caveat del ministro, si mostrano l’ordinamento tedesco che ammette la sospensione dell’esecuzione della pena se deve avvenire in condizioni contrarie al senso di umanità e la nostra stessa Corte costituzionale, che in una sentenza del 2013 ha precisato che sarebbe bene che una soluzione analoga andasse disciplinata dal legislatore, ma ha ammonito che «non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema» delle condizioni contrarie al senso di umanità determinate dal sovraffollamento.