Il vicepresidente Pd-Idp alla Camera

Intervista a Paolo Ciani: “Siamo il Paese del riarmo e dei suicidi in carcere, serve un’alternativa”

«È nata Rete Civica Solidale, un progetto che vuole affrontare le sfide di oggi: astensionismo, sfiducia nella politica, guerre, tagli alla spesa sociale. No al meloniano si vis pacem, para bellum: la pace va costruita. Il sistema penitenziario? Abbandona e non rieduca»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

9 Luglio 2025 alle 08:00

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Photo credits: Giulia Palmigiani/Iamgoeconomica
Photo credits: Giulia Palmigiani/Iamgoeconomica

Paolo Ciani, vicepresidente del gruppo Pd-Idp alla Camera dei deputati. La butto giù seccamente: nel PD è nata la corrente pacifista?
Seccamente: è nata Rete Civica Solidale. Un progetto politico che nasce dall’iniziativa di un gruppo di persone e movimenti politici e civici che si sono già “messi in gioco” candidandosi, essendo eletti, amministrando, facendo opposizione, a livello locale, nazionale ed europeo, nella coalizione di centrosinistra, ma non appartenenti ai partiti rappresentati in Parlamento. Personalmente chiamati all’impegno da una formazione cristiana e laica accomunata dai grandi valori costituzionali. Fra di noi non c’è nessuno iscritto al PD e già questo è indicativo del fatto che non possiamo costituire una corrente. C’è grande rispetto per tutti i partiti del campo del centrosinistra e siamo felici dell’attenzione che il PD ci ha dato il giorno della presentazione, con la presenza della coordinatrice della segreteria nazionale Marta Bonafoni. Così come ringrazio la capogruppo di IV alla Camera Maria Elena Boschi per essere stata alla conferenza stampa. Rispetto ai partiti del centrosinistra ci poniamo il tema dell’allargamento, dell’attenzione ai temi, del sanare il “divorzio” tra politica e cultura, provando a raggiungere e coinvolgere persone che non si sentono rappresentate. Ciò che vogliamo è unirci ed impegnarci insieme con maggior responsabilità per rispondere alle sfide che il nostro tempo ci pone…

Quali?
Crisi della democrazia, astensionismo, disillusione verso il mondo politico, crescita di individualismo e solitudini, in un mondo sempre più infuocato da guerre, tagli alla spesa sociale, diseguaglianze e violenza. Vogliamo che Rete Civica Solidale sia un luogo di esperienze politiche e umane, aperto, accogliente e dialogante, che contribuisca a connettere i tanti che oggi non si riconoscono più nei partiti e nella politica. Siamo in dialogo e attenti a figure di sindaci che possono allargare i confini della coalizione e raggiungere i cittadini comuni. In un tempo di ego smisurati, di ‘mentalità della forza’ e dell’’io’, vogliamo costruire un ‘noi’: persone ed esperienze che si mettono insieme in nome del primato del bene comune.

Per aver sostenuto le ragioni del pacifismo e denunciato la mattanza di Gaza, Elly Schlein è stata accusata di veteropacifismo e di minoritarismo. Siamo di nuovo al “tiro al segretario”?
Che la Segretaria del PD si pronunci sulla tragedia in corso a Gaza è importante e doveroso ed anche che lo faccia con attenzione e fermezza. Che qualcuno possa non condividerlo fa parte della democrazia e della normale dialettica. Rispetto alla guerra, personalmente, oltre alla condanna per i crimini commessi a Gaza, ho apprezzato il posizionamento di Schlein rispetto al piano ReArm EU, sul no al riarmo dei singoli Stati e il sì alla difesa comune europea, chiaro messaggio contro la normalizzazione ed eternizzazione dei conflitti.

Nel suo intervento alla Camera in risposta alla Presidente del Consiglio, la segretaria dem ha avuto parole molto forti e critiche sull’incremento del 5%, sia pur diluito nel tempo, delle spese militari. Lei è stato tra i parlamentari dell’opposizione a partecipare alla manifestazione di Roma del 21 giugno.
In questo tempo grave, il fatto che ci siano piazze piene, pacifiche, che si riuniscono in nome della pace e contro la guerra e il riarmo degli stati nazionali, è un atto di resistenza importante. Significa opporsi alla logica pervasiva del conflitto e non arrendersi ad un orizzonte di guerra che appare sempre più inevitabile. Non vogliamo abituarci al linguaggio del riarmo, della guerra, della corsa alle spese militari, soprattutto nel quadro di un riarmo dei singoli stati nazionali. Per questo la scelta del Governo di innalzare al 5% l’investimento annuo in difesa e sicurezza chiesto dalla NATO entro il 2035 non è una scelta che possiamo accettare passivamente. È una decisione che cambierà la fisionomia economica e sociale del nostro Paese: temo significherà sottrarre risorse alla sanità, alla scuola, al welfare, alla transizione ecologica, alle politiche sull’abitare. A tutte quelle politiche che tengono insieme una società: non è questa la nostra idea di Paese. Questo processo finisce per avvantaggiare proprio gli Stati Uniti e Donald Trump, poiché l’industria bellica europea è ancora in ritardo e i Paesi UE saranno costretti a comprare forniture americane. Ma c’è un ulteriore aspetto preoccupante…

A cosa si riferisce?
L’annuncio di questo incremento ha già innescato una corsa all’adeguamento industriale, con aziende italiane, spesso in difficoltà, che hanno deciso di riconvertire impianti civili in produzione bellica, nutrendo così un’economia di guerra che rischia di diventare sempre più strutturale. Non possiamo farci trascinare dentro questa logica perversa, che sposta l’economia su un binario di produzione militare a discapito di quella civile e sociale. Nel ‘tempo della forza’ siamo consapevoli che anche l’Europa debba dotarsi di una difesa comune. E che per far questo debba riformarsi, completando il processo di integrazione. In questo, i leader sovranisti e nazionalisti che dicono “prima noi” sono particolarmente pericolosi. Io preferisco una Germania europea, ad uno Stato nazionale che investe 100 miliardi all’anno per le armi. Noi crediamo in una Europa e un’Italia che mette al centro la persona, i suoi diritti, la sua salute. E non dobbiamo dimenticare quanto ci dice la nostra Costituzione all’articolo 3, impegnandoci a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini alla vita del Paese. Pace, giustizia e sicurezza sociale sono le due facce della stessa medaglia. Non accettiamo il meloniano si vis pace para bellum: se vogliamo la pace dobbiamo costruirla, cambiare la narrazione della guerra come compagna di strada, della guerra “normale”, delle bombe intelligenti (e buone o cattive a seconda di chi le lancia) di cui sappiamo modello, grandezza e performance senza più chiederci dove cadranno e cosa provocheranno.

Altro tema scottante, su cui lei è particolarmente impegnato, è quello delle carceri. Il sovraffollamento è insostenibile, i luoghi di detenzione non devono trasformarsi in “palestra per nuovi reati”, “i suicidi sono un’emergenza sociale”. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella è tornato nei giorni scorsi a denunciare l’inciviltà delle carceri italiane. I numeri dell’emergenza: l’anno scorso ci sono stati 91 suicidi. Un record. «Un problema che non dà segni di arresto, un’emergenza sociale sulla quale occorre interrogarsi per porre fine immediatamente a tutto questo», ha denunciato il presidente della Repubblica. Non si può morire in carcere, non si deve morire di carcere.
No, non si deve morire di carcere. Lo hanno detto con chiarezza la settimana scorsa il Presidente Mattarella, ma anche Papa Leone, ricordando come “troppo spesso in nome della sicurezza si fa la guerra ai poveri, riempendo le carceri di coloro che sono soltanto l’ultimo anello di una catena di morte”. Purtroppo, però, continuiamo a sentire frasi come “buttare via la chiave”, o addirittura definire come “una gioia non lasciarli [i detenuti] respirare”. Sono parole gravi, perché pronunciate da rappresentanti delle istituzioni. Non sono semplici battute: sono il segnale di un clima culturale che considera i detenuti come persone a cui si può negare dignità e speranza. Tutto questo accade mentre il sistema penitenziario italiano è in piena emergenza strutturale e morale. I dati sono agghiaccianti: 91 suicidi in carcere nel 2024, un tragico record che non accenna ad arrestarsi. A maggio eravamo a 33 suicidi. A questi numeri si aggiunge la questione drammatica del sovraffollamento, che ha raggiunto un tasso medio del 134% e in alcune carceri si arriva a tassi anche più alti. Celle sovraffollate, mancanza di personale, assenza di attività educative o trattamentali, strutture vecchie e fatiscenti. E questo, nonostante gli sforzi encomiabili del personale, non è un sistema che rieduca: è un sistema che abbandona.

Questa la drammatica fotografia della realtà. Cosa fa il Governo per migliorarla?
Nulla, se non agire con provvedimenti che aumentano le pene e le fattispecie di reato, acuendo problemi già esistenti e situazioni già gravi. Si criminalizza la marginalità, si colpiscono i fragili, alimentando un’idea punitiva dello Stato, che di fatto riesce solo a dire: più pene, più carcere. Qualcuno quando parlo delle carceri mi dice: “Giusto pensare a Caino, ma ricordati di Abele…”. Ecco, credo che l’arretramento dei diritti umani sia molto grave anche per tutti gli Abele (soprattutto i più deboli) che nella loro vita quotidiana si trovano in una società peggiore, dove vige la legge del più forte (e del più ricco). Peraltro, ho da poco ricevuto risposta ad un’interrogazione che avevo depositato qualche tempo fa sul tema delle telefonate in carcere, un modo come un altro per umanizzare un minimo la vita dei detenuti, e quello che ho letto mi ha molto colpito. È la chiara dimostrazione della lontananza, non solo fisica ma anche umana, da quei luoghi: il ministro Nordio ha scritto che il Governo con il decreto “carcere sicuro abbia dato, cito, “risposte straordinarie ed energiche all’emergenza del sovraffollamento, ma anche soluzioni adeguate, proporzionali e lungimiranti ai problemi strutturali (..) del sistema penitenziario”. Lascio ai detenuti stessi, alla polizia penitenziaria e a tutti gli operatori che orbitano nel mondo del carcere commentare questo auto encomio del ministro, limitandomi a ricordare alcune delle parole del Presidente Mattarella che ha parlato della situazione del carcere come di una “vera e propria emergenza sociale su cui interrogarsi per porvi fine immediatamente”. Dunque, se è vero che le carceri sono lo specchio della civiltà di un Paese, oggi quello che vediamo non fa onore all’Italia.

9 Luglio 2025

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