La vicepresidente dem

Intervista a Chiara Gribaudo: “L’Italia affonda e Meloni spende il 5% in armi: follia”

«Su Gaza e Medio Oriente va deciso da che parte stare. Non vedo spinta propositiva da parte del ministro degli Esteri, anzi: non contiamo nulla nelle dinamiche geopolitiche ed è triste»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

1 Luglio 2025 alle 07:00

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Photo credits: Alessia Mastropietro/Imagoeconomica
Photo credits: Alessia Mastropietro/Imagoeconomica

Chiara Gribaudo, parlamentare, vicepresidente del Partito Democratico. Per aver sostenuto le ragioni del pacifismo e denunciato la mattanza di Gaza, Elly Schlein è stata accusata di veteropacifismo e di minoritarismo. Siamo di nuovo al “tiro al segretario”?
Penso che ci siano questioni infinitamente più importanti di questa o quell’accusa: di fronte a quello che sta avvenendo a Gaza e nel Medio Oriente in generale, la politica deve dare delle risposte chiare e decidere da che parte stare. La segretaria e io con lei, così come i militanti del Partito Democratico, ci identifichiamo nella piazza del 7 giugno, quella che abbiamo organizzato e che si basava sulla piattaforma politica condivisa anche con le altre forze di opposizione. Quella che preveda innanzitutto la richiesta dell’immediata cessazione del fuoco a Gaza, il riconoscimento dello stato di Palestina e la cessazione immediata di forniture, autorizzazioni e compravendita di armi con Israele, punti più che condivisi. Infatti, c’era tutto il partito e la partecipazione è stata elevatissima, anche se banalizzata. Quella piazza così come le crescenti manifestazioni ci dicono che serve ora un’attenzione più forte. E, se posso, aggiungo che solo dimostrando chiaramente da che parte stiamo in questo momento storico saremo forse credibili domani nei confronti di un popolo oggi massacrato e che crescerà ancora di più chiedendosi cosa ha fatto l’Occidente e l’Italia per evitare tutto questo. Badate, qui non stiamo parlando del diritto di Israele ad esistere, né stiamo dibattendo della legittimità di una risposta dopo l’orrore del 7 ottobre 2023. Quello che vediamo ogni giorno a Gaza, quello che ci raccontano le persone che stanno là, è qualcosa che va oltre.

Nel suo intervento alla Camera in risposta alla presidente del Consiglio, la segretaria dem ha avuto parole molto forti e critiche sull’incremento del 5%, sia pur diluito nel tempo, delle spese militari.
L’Italia ripudia la guerra e crede nella pace. Lo dice la nostra Costituzione e Schlein non ha fatto altro che ricordarlo. Questa folle imposizione del 5% senza una chiara visione prospettica di difesa comune non ha senso e soprattutto l’Italia non può permetterselo, neanche volessimo. Inoltre, lo considero un errore, o meglio: capisco il contesto, ma se si vuole aumentare la spesa militare si faccia bene e con prospettiva. E soprattutto, prima ancora, il Governo intervenga sulla povertà che aumenta in Italia e che colpisce il ceto medio, chi lavora ormai fa fatica ad arrivare a fine mese, introduca quindi il salario minimo, perché la destra dovrebbe guardare alla Germania non solo quando parla di spese militari ma quando, come è accaduto la scorsa settimana, ha aumentato il salario minimo. Senza politiche salariali, sociali e sanitarie adeguate oggi non ha senso chiedere un’adesione cieca e sorda a questa corsa al riarmo. Aggiungo poi che l’Italia ha storicamente sempre avuto un ruolo importantissimo di mediazione in Medio Oriente, dal secondo dopoguerra in poi i ministri degli Esteri italiani sono stati capaci di tenere e tessere equilibri importanti. Purtroppo in questo momento non vedo alcuna spinta propositiva e proattiva del nostro ministro degli Esteri. Anzi, diciamo la verità: non contiamo nulla nelle dinamiche geopolitiche ed è davvero triste. Lavoriamo su questo come democratici e progressisti, pur dall’opposizione, perché, per quanto sia vero che il regime iraniano sia da condannare, non è con le bombe che si ottiene qualcosa. Lavoriamo affinché sia chiaro che è un percorso di pace la nostra priorità. Un incremento delle spese militari – che non deve voler dire solo armi ma anche e anzi, soprattutto, tecnologie, comunicazione, cybersecurity, innovazioni che abbiano ricadute sulla qualità della vita – deve avvenire in un contesto più ampio di cooperazione internazionale per la pace. Perché forse dovremmo capire se davvero tutti gli attori oggi lavorano per la pace. Serve davvero un forte impegno per la diplomazia e per la risoluzione pacifica dei conflitti. Oggi semmai l’Europa dovrebbe svegliarsi e fare i passaggi che servono per velocizzare i processi di integrazione europea, soprattutto sul pretendere e costruire una difesa comune europea.

Altro terreno di polemica, anche interna, è stato lo schierarsi del PD sui cinque referendum. Con quella scelta, è il mantra mediatico-politico, Schlein si è mostrata subalterna a Landini.
Il referendum è stato proposto dal sindacato, non dalla politica e, visti i temi in ballo, non potevamo certo non prendere una posizione. Non si tratta di subalternità, ma di buon senso. Lo stesso non si può dire dei partiti di Governo, o addirittura di alcune figure apicali istituzionali, che hanno invitato ad andare al mare o peggio. In questo Paese manca da troppo una concertazione di qualità e così un dibattito serio sui temi del lavoro. Quei cinque quesiti erano importanti, in particolar modo il quarto sugli appalti, di profonda attualità collegata alla piaga della mancata sicurezza con i subappalti a cascata introdotta da questo Governo. Su questi temi serve agire e incalziamo l’esecutivo. Dodici milioni di italiani hanno dato un segnale: è vero, non si è raggiunto il quorum, ma ora il compito della politica deve essere quello di non dilapidare questo percorso.

I censori in servizio effettivo permanente accusano il Pd schleiniano di essere privo di cultura di governo. Ma cos’è, per lei, cultura di governo?
È mettersi a disposizione: prima di tutto, in ascolto dei cittadini e delle richieste reali del Paese. Troppo spesso, semmai, il “governismo” ha rappresentato una tenuta dello status quo. Ci sono troppi paradossi: parliamo, a proposito di lavoro e appalti, di intelligenza artificiale applicata, però non sappiamo chi entra nei grandi cantieri di partecipate pubbliche. Mandiamo i rover su Marte e i droni in guerra, però non si può avere il badge di cantiere elettronico che consentirebbe di sapere chi entra ed esce, se è formato e per quale mansione nel 2025. Le pare normale? Per me cultura di governo è fare ciò che la segretaria ha fatto nei momenti difficili: in ultimo quando Schlein, subito dopo il bombardamento americano in Iran, ha giustamente chiamato la Meloni per ribadire la nostra serietà e disponibilità a seguire le crisi insieme. Così come abbiamo fatto in questi due anni durante le leggi di bilancio: il Pd, nonostante la compressione e l’arroganza dell’esecutivo, ha fatto avere le risorse per i centri anti-violenza tagliati dal governo Meloni e più ispettori del lavoro proprio per cercare di tutelare i lavoratori e le lavoratrici italiani sui luoghi di lavoro. Purtroppo, poco, perché stiamo all’opposizione, ma abbiamo sempre dimostrato che, se c’è seria volontà di dialogo, non stiamo certo a guardare o ad accarezzare un certo populismo. Inoltre, da presidente della Commissione d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, mi sono messa più volte, e continuerò a farlo, a disposizione dei ministeri competenti per poter lavorare fianco a fianco ed ottenere l’unico risultato che conta, e cioè fermare la strage delle morti sul lavoro, mettere in sicurezza chi si trova nei cantieri, dotare di tutte le misure adeguate chi esce di casa la mattina e, purtroppo in questo Paese troppo frequentemente, non sa se tornerà dai propri cari. Questa è cultura di governo. Certo, dall’altra parte ci deve essere la predisposizione a fare lo stesso, e mi piacerebbe trovare una maggiore disponibilità all’ascolto.

1 Luglio 2025

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