I due rinvii pregiudiziali della Cassazione

La Cassazione dice stop ai Cpr in Albania, la sentenza

Secondo la Suprema Corte il protocollo è in totale contrasto con la direttiva rimpatri: “lo Stato membro non è titolare di un potere illimitato di trasferimento dei migranti da espellere”. Quindi il rinvio pregiudiziale alla Corte Ue, a cui i giudici italiani hanno chiesto di stabilire se il sistema di trattenimento nei centri albanesi non violi le norme europee sulle procedure di asilo

Politica - di Gianfranco Schiavone

25 Giugno 2025 alle 15:30

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AP Photo/Vlasov Sulaj
AP Photo/Vlasov Sulaj

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione è destinata a segnare una svolta in merito alla scelta, di cui il Governo italiano si è a lungo vantato in Europa, di utilizzare il centro di Gjader, in Albania, con la funzione di Cpr. Nonostante la sentenza sia di straordinaria importanza, quasi nessuno ne ha parlato. Il 22 marzo 2025 il prefetto di Ancona disponeva l’espulsione di un cittadino tunisino con accompagnamento alla frontiera e applicazione della misura del trattenimento nel CPR di Bari; la misura veniva convalidata dal giudice di pace competente.

L’11 aprile il Ministero dell’Interno disponeva però il trasferimento coatto della stessa persona nel centro di Gjader in Albania, centro nel quale il 22 aprile l’interessato presentava domanda di asilo. Il Questore di Roma ne disponeva dunque il trattenimento nel medesimo centro in Albania ma in tal caso come richiedente asilo (d.lgs 142/2015 art. 6 c.3) da trattenere in pendenza dell’esame della domanda. Appena il giorno successivo, 23 aprile, la domanda di asilo veniva esaminata con fulminea solerzia, e infine rigettata, da parte della commissione territoriale per l’esame delle domande di asilo. Tuttavia, il 24 aprile la Corte d’Appello di Roma non convalidava il trattenimento e ordinava il ritorno della persona in Italia ritenendo che in base all’art. 9 della Direttiva 2013/32/UE sulle procedure in materia di diritto d’asilo, il cittadino straniero non fosse espellibile, né rimpatriabile e avesse diritto di rimanere nel territorio dello Stato fino alla scadenza del termine per proporre ricorso o, se presentato, fino alla decisione sull’istanza di sospensione connessa al ricorso stesso.

Il Ministero dell’Interno impugnava in Cassazione la decisione della Corte d’Appello sostenendo che la struttura posta nel centro di Gjader è equiparabile ad un qualsiasi CPR (centro per il rimpatrio) ubicato nel territorio nazionale (e analogamente l’ala del centro di Gjader destinata invece ad hotspot sarebbe del tutto equiparabile ai pochi hotspot aperti in Italia). La prima sezione penale della Cassazione investita del caso sopra descritto (e di analogo caso che nello stesso periodo aveva coinvolto un altro straniero di nazionalità algerina) si è interrogata sulla legittimità, alla luce del diritto europeo, della equiparazione della struttura di Gjader con i CPR e gli hotspot che si trovano sul territorio nazionale e dunque sulla legittimità della previsione, di cui al citato Protocollo italo-albanese, di applicare in tali centri, “in quanto compatibili”, le normative di diritto interno ed europeo in materia di ingresso, permanenza e allontanamento degli stranieri.

Unendo i due procedimenti, con decisione n. 23105-25 ha dunque operato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con il quale ha chiesto alla stessa di stabilire se il sistema del trattenimento degli stranieri espulsi presso le strutture aperte a seguito del Protocollo tra Italia ed Albania, ratificato con L. 14/24 non si ponga in contrasto con il diritto europeo, sia sotto il profilo del rispetto della normativa europea sui rimpatri, sia in relazione al rispetto della normativa europea sulle procedure di asilo. Osservando giustamente che le disposizioni contenute nel Protocollo Italia-Albanianon trasformano le aree delle quali si tratta [ndr. il centro di Gjader] in una porzione del territorio italiano” la Corte di Cassazione si sofferma “proprio sul fine dell’allontanamento e, in conseguenza, sull’obiettivo perseguito da tutte le misure di trattenimento”. La Cassazione muove il suo ragionamento dalla definizione di “rimpatrio” contenuta nell’articolo 3 della Direttiva 115/CE/2008 sui rimpatri quale processo di allontanamento della persona nel suo paese di origine o in un paese di transito, se ciò è previsto da accordi internazionali, o in un paese terzo nel solo caso in cui il cittadino straniero vi scelga volontariamente di ritornare.

L’accordo tra Italia e Albania non rientra tuttavia in nessuna di tali ipotesi. Poiché secondo il diritto europeo (art. 15 Direttiva rimpatri) il trattenimento è una misura che può essere adottata solo come extrema ratio quando le altre misure meno afflittive si sono dimostrate, in concreto, non possibili, e può essere mantenuto per il periodo più breve possibile, secondo la Cassazione “occorre verificare appunto che le misure adottate – con le conseguenti privazioni della libertà personale che ad esse si accompagnino – siano funzionali ad assicurare il rimpatrio come sopra individuato” (ovvero come definito dall’articolo 3 della Direttiva). La Cassazione mette in luce impietosamente come “non è dato riscontrare indici normativi puntuali e specifici che documentino, nel Protocollo [Italia-Albania] il perseguimento dell’obiettivo di assicurare il rimpatrio dei migranti in condizioni di irregolarità”. Altresì “in nessun luogo dell’accordo è stabilito in qual modo l’obiettivo è destinato ad essere attuato (….) in un territorio che resta (…) quello di uno stato non membro, ancorché assoggettato alla giurisdizione italiana – in termini di maggiore efficienza che nel territorio italiano con il necessario rispetto delle garanzie della disciplina eurounitaria vigente”.

Secondo la Cassazione, con la cui interpretazione concordo pienamente (della non conformità del Protocollo italo-albanese con la Direttiva rimpatri ho già scritto su queste pagine), “lo Stato membro non è titolare di un potere illimitato di trasferimento degli stessi [migranti espulsi] potendo solo disporre, in linea generale, un rimpatrio nei termini di cui al citato articolo 3 della Direttiva”. In altre parole, le persone in fase di esecuzione dell’espulsione non possono essere condotte e poi trattenute in un paese terzo, comprimendo i loro diritti fondamentali, al solo scopo di perseguire a piacimento delle finalità politiche (ad esempio il vagheggiato effetto deterrenza ad arrivare in Europa). Secondo la Cassazione la nuova disciplina italiana rappresentata dal Protocollo Italia-Albania si pone pertanto in contrasto con l’intero impianto della Direttiva rimpatri ed in particolare con gli articoli 3, 6, 8, 15 e 16 (di fatto tutti gli articoli fondamentali della norma in questione).

La Cassazione ha effettuato infine anche un secondo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE che verrebbe preso in esame solamente “in caso di risposta negativa” al primo rinvio, ovvero nel caso in cui la Corte di Giustizia effettui una ricostruzione (che ritengo poco probabile) del diritto UE che la conduca a ritenere legittimo deportare e trattenere in un paese terzo degli stranieri espulsi senza che vi sia in ciò alcuna specifica e concreta finalità di eseguirne il rimpatrio. In tale caso il quesito che la Cassazione pone alla Corte di Giustizia è quello della conformità del Protocollo Italia-Albania con l’articolo 9 della Direttiva 2013/33/UE (procedure) che prevede che gli stranieri che hanno fatto domanda di asilo (anche se trattenuti) sono autorizzati “a rimanere nel territorio di uno Stato membro ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l’autorità accertante non abbia preso una decisione”. Nel caso ci sia dunque una limitazione della libertà nei casi previsti dalla legge essa può attuarsi solo nel territorio dello Stato UE, non all’estero. Secondo la Cassazione infatti la “strettissima e ineludibile connessione tra richiesta di asilo e diritto di accedere al territorio” non può determinare, nel caso in cui la domanda sia stata fatta dentro un CPR che si trova all’estero “un minore livello di garanzie e diritti per l’istante, tanto più laddove (…) siano le stesse autorità italiane ad aver condotto in un Paese terzo i soggetti che, ivi giunti, abbiano chiesto di essere ammessi alla protezione internazionale”.

Più o meno negli stessi giorni in cui la Cassazione effettuava il descritto rinvio alla Corte di Giustizia UE il Governo italiano forzava ulteriormente la normativa vigente: secondo un’inchiesta condotta dal mensile AltrEconomia il 9 maggio 2025 un aereo noleggiato al prezzo di 139mila euro dal Governo italiano recuperava alcuni stranieri di nazionalità egiziana dal CPR di Roma per poi atterrare a Tirana e da lì ripartire alla volta de Il Cairo con altri egiziani che erano stati trattenuti a Gjader. Un’espulsione eseguita quindi direttamente dall’Albania, senza rientro in Italia delle persone espulse in violazione, a mio avviso, della Direttiva rimpatri (il già citato art. 3 in particolare) ma anche in chiara violazione dell’articolo 13 della Costituzione perché le operazioni di polizia condotte fuori dal centro di Gjader in territorio albanese nei confronti delle persone trasportate (trasporto e imbarco da Tirana) sono completamente prive di controllo giurisdizionale. A meno di nuove gravi forzature politiche, i due rinvii pregiudiziali operati dalla Corte di Cassazione dovrebbero, almeno nell’attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia, condurre dunque alla totale cessazione del trattenimento nel centro di Gjader sia dei cittadini stranieri espulsi che non presentano domanda di protezione internazionale a Gjader, sia di coloro che invece tale domanda nello stesso centro la presentano.

25 Giugno 2025

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